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Elezioni: un rito deviante

di Massimo Fini - 24/01/2006

Fonte: lineaquotidiano.it


Se il prossimo governo,
di sinistra o di destra
che sia, avesse sul
serio a cuore la democrazia
affronterebbe per prima una
questione che in realtà non
può affrontare: l’invadenza
dei partiti nella vita nazionale.
E non lo può affrontare
per la semplice ragione
che lo stesso governo non è
che un’espressione di questa
invadenza.
Già in linea di principio i
partiti non sono, come sempre
si dice, l’essenza della
democrazia, ma la sua fine,
almeno rispetto al suo
modello ideale, perché ledono
il fondamentale criterio
liberaldemocratico dell’uguaglianza
di tutti i cittadini
sulla linea di partenza. Sono
infatti delle minoranze organizzate
che opprimono,
ledendone sostanzialmente i
diritti, il cittadino singolo
che rifiuta di infeudarsi ad
esse, di sottomettersi ad
umilianti e feudali assoggettamenti,
cioè proprio quell’uomo
libero di cui la dottrina
liberale voleva valorizzare
capacità, meriti e potenzialità,
che sarebbe il cittadino
ideale di una democrazia,
se esistesse davvero, e
che ne diventa invece la vittima
designata.
Non è certamente un caso
che i primi teorici della
democrazia non menzionino
i partiti e che, come notava
Max Weber, fino al 1920 le
Costituzioni degli Stati liberaldemocratici
non li prendevano
nemmeno in considerazione.
La Costituzione italiana del
1948 ne fa cenno in un solo,
scarno, articolo (il 49) per
dire che “Tutti i cittadini
hanno diritto di associarsi
liberamente in partiti per
concorrere in modo democratico
a determinare la
politica nazionale”. Da quell’unico
articolo i partiti preso
l’abbrivio per occupare
gli altri 138.
Com’è stata possibile questa
distorsione? Innanzitutto
taroccando le elezioni. Scrive
Gaetano Mosca ne ‘La
classe politica’: “Cento che
agiscano sempre di concerto
e d’intesa gli uni contro gli
altri trionferanno sempre su
mille presi uno a uno che
non avranno alcun accordo
fra loro”. Il voto del cittadino
singolo,
segue dalla prima
(…) libero, non intruppato, si
diversifica e si disperde, proprio
perché libero, laddove gli apparati
dei partiti prima scelgono i candidati
e poi, facendo blocco,
anche gli eletti. Col sistema maggioritario
o con quello con cui
andremo alle prossime elezioni
non devono prendersi nemmeno
questo disturbo: gli eletti sono
calati direttamente dall’alto. Il
voto di opinione, cioè quello veramente
libero, non ha alcun peso.
Lo stesso Bobbio è costretto ad
ammettere: “Oserei dire che l’unica
vera opinione è quella di coloro
che non votano perché hanno
capito... che le elezioni sono un
rito”.
Con le elezioni, falsate in questa
maniera, i partiti si impadroniscono
innanzitutto dello Stato e
delle sue istituzioni attraverso le
quali esercitano un potere formalmente
legale, ma sostanzialmente
arbitrario per il modo con cui è
stato ottenuto, che è poi la fonte
di tutte le altre sopraffazioni sul
cittadino.
Infatti i partiti possono agire
anche in quella vastissima area
grigia, che non è legale, ma nemmeno
apertamente illegale, e
quindi inafferrabile, degli abusi e
dei soprusi contro i quali il cittadino
è privo di difesa proprio a
causa della loro indeterminatezza
giuridica. Gli esempi sono infiniti.
Si va dal sistema clientelare organizzato
dai partiti per favorire, in
ogni settore, pubblico e privato, i
propri seguaci a danno degli
altri, all’occupazione abusiva della
Tv di Stato e di tutto il parastato,
agli equivoci intrecci con i
poteri economici, finanziari, bancari,
all’ordine del giorno di questi
tempi, ma che sono da sempre
uno dei modi a disposizione delle
oligarchie politiche, di queste
minoranze organizzate, di questa
aristocrazie mascherate, per
autopotenziarsi ed esercitare un
potere, una “tirannia dei parecchi”
avrebbe detto Voltaire, che
con la democrazia non ha nulla a
che fare.