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Giampaolo Pansa: «carte false», male antico

di Lucia Bellaspiga - 30/05/2008


 
«Come per l’omicidio di Nicola a Verona. Come per l’aggressione al Pi­gneto. I fatti della Sapienza non esi­stono, la destra gira la testa dall’altra parte, 'è solo una rissa'...». Così l’U­nità dell’altro giorno, che titola 'Ba­sta violenza fasciste'. Ma così anche, a pioggia, molte testate, per ideologia o solo per inerzia: la notizia si urla, non si verifica. E nel polverone del­l’approssimazione tre episodi oppo­sti diventano tutti indistintamente di matrice politica. Una matrice che a Verona è stata subito esclusa dagli in­quirenti, mentre al Pigneto ci ha pen­sato lo stesso picchiatore a sbugiar­darla: «Ma quale svastica, io c’ho Che Guevara»... Pure il 'raid fascista' alla Sapienza si è rivelato uno scontro tra bande, estrema destra contro estre­ma sinistra, entrambe violente, en­trambe ignoranti.
 Giampaolo Pansa, decenni di gior­nalismo su autorevoli testate, autore di libri dal titolo già eloquente come 'Carte false, peccati e peccatori del giornalismo' o 'Comprati e vendu­ti'... Pare ci sia un grave problema di cattiva informazione.

C’è e riguarda una stampa che in Ita­lia è troppo schierata politicamente, nella quasi totalità a sinistra. Tutti i giornali, tranne due o tre, sempre pronti a gridare alla marea nera. E non mi riferisco ai giornali politici, che hanno una loro logica seppure per­dente, visto che poi non vendono, ma a quelli di informazione...
Un vizio antico, direi.

Cose che ho già visto quando lavora­vo a Milano per la Stampa e poi per il Corriere, negli anni che poi origina­rono le Br: negli scontri i fascisti era­no sempre gli aggressori, mai gli ag­grediti, anche se - poi si è visto - non era così. I giornalisti dovrebbero fare cronaca in un’ottica diversa, dare le notizie senza lasciarsi trascinare dal­le proprie pulsioni.

Il caso di Pigneto rileva in modo im­pietoso la superficialità della nostra categoria...

È bastata la vaga testimonianza di u­na collega che 'forse' aveva intravisto una svastica perché una storia di ordinaria vio­lenza diventasse im­mediatamente su gior­nali e tivù un raid nazi­sta organizzato, senza che uno solo dei gior­nalisti andasse a vede­re se era vero. Poi lo scoop di Repubblica ha ristabilito la verità... Di­rei che si tratta di una malattia della vecchiaia: i giornali ormai raccontano le cose attraverso gli occhiali politici che inforcano. Per questo stanno mo­rendo: la gente sa che non può fidar­si di quello che legge.

Il problema è che i media così crea­no allarme sociale, alzano la tensio­ne, distorcono la realtà al punto che il racconto della verità - per cui sono nati - non è più l’obiettivo.

Pensi solo al caso della Sapienza. Io sono laico, agnostico, non vado a Mes­sa
e la sera prego i miei genitori, che sono i miei penati, ma non posso tol­lerare che il Pontefice non possa en­trare a dire la sua opinione nel luogo del dialogo per eccellenza, un’univer­sità. Da laico mi sono sentito umilia­to. Io, antifascista, pago tasse robuste e quindi sovvenziono la Sapienza, e non posso accettare che diventi la ca­sa privata dei 'collettivi antifascisti'. Così se un rettore revoca il permesso dato a un convegno di destra sulle foi­be, consente che la Sapienza sia sta­bilmente occupata da un gruppo po­litico. Per forza poi finisce in rissa.

Anche lì si è parlato di raid fascista...
 
Appunto, e allora per­ché dovrei spendere un euro per il giornale, o pagare un canone tivù, se non mi forniscono il servizio che mi devono? Vedo una recrudescen­za post elettorale, come se dopo il 14 aprile, a­vendo vinto il centro­destra, ogni pretesto fosse buono per raccontare balle e creare allarmi. Ma bisogna stare at­tenti:
così si perdono i lettori.

Lettori a parte, c’è un’etica professio­nale...

In un Paese come l’Italia è merce proi­bita, molto più cara della droga più raffinata. Nella nostra categoria come in quella dei politici è una malattia dalla quale il 90% si guarda bene. E i politici sono i primi a cavalcare la cat­tiva informazione: è il gioco delle par­ti che li tiene in vita.