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Crisi economica: la sfiducia dei risparmiatori, l'oligarchia mondialista e la crisi del capitalismo

di Vittoriano Peyrani - 30/05/2008

 

Crisi economica: la sfiducia dei risparmiatori, l'oligarchia mondialista e la crisi del capitalismo



E’ importante cercare di spiegarci come mai chi detiene quasi tutto il potere finanziario mondiale non sappia, non possa o non voglia far rientrare la crisi economica che sta avanzando molto pericolosamente. Infatti i poteri forti controllano tutta la filiera economica e del credito costituita dalla emissione delle monete, banche internazionali, Banca federale americana e Banche centrali di tutti i paesi, Banca dei regolamenti internazionali, Organizzazione mondiale del commercio e ogni altra istituzione internazionale.
Sembrerebbe naturale che di fronte al profilarsi di una inquietante situazione mondiale tutti questi enti, già collegati da interessi comuni, trovassero il modo di prendere gli accordi necessari per superare le gravissime difficoltà incombenti sul sistema capitalistico che vorrebbe controllare il pianeta, ma forse non ci riesce più.
E’ da ritenere poco probabile l’ipotesi che questo disordine sia voluto allo scopo di conseguire più rapidi arricchimenti e accentramenti di capitali.
Non si ha nemmeno sentore che lotte fra grandi gruppi finanziari possano essere la causa di quelli che sembrerebbero essere i prodromi di una crisi simile a quella degli anni 1929 e 1930. L’Italia oggi andrebbe incontro a più gravi vicende rispetto ad allora non avendo più il supporto di una guida forte ed illuminata come sicuramente fu il Fascismo che affrontò energicamente il momento con la realizzazione dell’IRI (Istituto di Ricostruzione Industriale) e l’imposizione della quota novanta che ci permisero di evitare molte delle sciagure che colpirono le altre nazioni, in particolare per quanto riguardò l’occupazione.

Sfiducia nel sistema
Cerchiamo di capire come si è arrivati a questo punto.
Innanzi tutto bisogna considerare che le banche centrali di emissione di tutte le nazioni del mondo (Banca d’Italia, Banca di Germania, Banca Centrale Europea, Banca d’Inghilterra, Banca Federale Americana eccetera) non sono gestite dai governi ma sono private e che le loro azioni sono possedute da quelle stesse banche di cui dovrebbero controllare, ma non lo possono evidentemente fare, la correttezza della condotta.
Cosicché le banche possono lucrare forti interessi fino a quando vengono riservatamente informate dell’imminente crollo di azioni o di buoni del tesoro di alcuni stati. E prima del disastro consigliano l’acquisto delle traballanti azioni in loro possesso agli ignari clienti.
Questo in Italia si è verificato per i buoni del tesoro argentini, per le azioni della Parmalat e della Cirio solo per fare gli esempi a tutti più noti. I risparmiatori si vedono così annullare, da un giorno all’altro, le somme accumulate con sacrifici e investite proprio secondo i consigli della propria banca. La Banca d’Italia, prima della guerra controllata da aziende irizzate e quindi sotto il controllo del governo, oggi è privata, di proprietà cioè dei più importanti istituti di credito italiani, ma che ha anche il compito di controllare il sistema creditizio: non si accorge però di queste manovre truffaldine. Ripetuti imbrogli di tale entità non sono stati percepiti in anticipo dagli enti di controllo governativi, né, come sarebbe stato suo dovere, dall’informazione, evidentemente anch’essa sotto stretto controllo del potere finanziario. Le mancate verifiche non sono state nemmeno debitamente o sufficientemente sanzionate a posteriori dalla magistratura “indipendente”. Qualcosa di molto grosso non funziona nel governo che dovrebbe in qualche modo controllare e nella magistratura.
Anche all’estero, negli Stati Uniti, sono state lasciate fallire grosse banche che dovevano garantire le pensioni dei lavoratori.
La sfiducia dei risparmiatori nel sistema creditizio, nelle banche e nei fondi di investimento ha raggiunto limiti impensabili fino a poco tempo fa ed il risultato è stato una grande fuga dagli investimenti. Questa potrebbe essere una delle concause della attuale situazione pericolosa. Ma esaminiamone altre.

Prezzo del petrolio
ed accaparramenti
L’aumento del prezzo del petrolio, che ha raggiunto livelli astronomici e che non accenna a fermarsi, è effetto e causa al tempo stesso della crisi economica che avanza molto velocemente.
I signori del denaro, percepito il pericolo del calo dei valori azionari, si sono premurati di vendere i titoli per passare la rovina ad altri e si sono trovati quindi ad avere la disponibilità di grandi risorse monetarie liquide.
Hanno quindi studiato come far fruttare i capitali provvisoriamente disponibili e hanno deciso di accaparrare ingenti quantità di petrolio per effettuare successivamente vendite maggiorate, con il meccanismo dei “futures”, cioè attraverso impegni di acquisti futuri quotati (a prezzi superiori), che hanno fatto aumentare continuamente il valore del petrolio in loro possesso con una rincorsa tra acquisti e vendite.
Visto che il sistema funzionava la speculazione si è scatenata in questa direzione. L’avidità crescente delle multinazionali finanziarie ha portato il prezzo del barile a livelli pericolosi per la stabilità del sistema creando irresponsabilmente ingenti danni all’apparato produttivo ed ai consumatori. Ma non basta: visto che l’accaparramento pagava, si è passati alle altre materie prime cosicché rame, zinco, piombo, ferro, materiali edilizi, legnami ed altro sono stati fatti segno ad azioni speculative che ne hanno fatto aumentare vertiginosamente i prezzi.
Il peggio sta arrivando con la speculazione sulle derrate alimentari che genera aumenti molto preoccupanti su grano, mais, cereali e che da questi si sono travasati in tutti i generi di prima necessità.
Va notato, in particolare, che l’aumento del prezzo del mais avviene anche sotto un’altra spinta convergente. Gli Stati Uniti hanno deciso di evitare l’eccessivo esborso per l’importazione del petrolio utilizzando il mais per ottenere alcol etilico (etanolo) da usare come carburante per autotrazione. La cosa naturalmente ha galvanizzato la speculazione che si è gettata su questo prodotto agricolo di uso alimentare il cui aumento di prezzo ha portato la fame nei paesi più poveri.
Come conseguenza sono ulteriormente saliti, come in vasi comunicanti, i costi di tutti i cereali e degli altri alimenti in generale.
Si può facilmente immaginare che i valori monetari dei prodotti di ogni merce sono interdipendenti: l’aumento della spesa per il petrolio incide sui costi finali di tutte le merci a causa dei trasporti e delle lavorazioni. Segue il prezzo del metano che viene calcolato in base alle calorie che produce rispetto al petrolio; seguono ancora energia elettrica, materie plastiche, vernici, tessuti e tutti quei prodotti che derivano da queste materie prime o che ne necessitino per la lavorazione.

Globalizzazione
Un altro motivo della crisi economica è la globalizzazione.
L’Organizzazione Mon-diale per il Commercio ha affrettatamente permesso quasi ovunque una libera circolazione delle merci e dei prodotti industriali. Solo gli Stati Uniti, accampando una serie di pretesti di ordine tecnico e normativo, si permettono di chiudere le frontiere ad alcuni prodotti stranieri (di solito europei o Giapponesi), in realtà perché disturbano le loro industrie. Agli altri questo non è concesso. La forza militare è un ottimo supporto che permette ogni prepotenza: altro che libero mercato.
Una concorrenza asimmetrica, date le spese sociali, le normative a maglia stretta e la legislazione sindacale europea, destabilizza l’equilibrio industriale del nostro continente. Non si possono infatti mettere a confronto i costi dei prodotti europei con quelli di paesi che ignorano completamente le normative sociali, i controlli antinfortunistici e che accettano lo sfruttamento del lavoro minorile e retribuzioni ignobilmente basse, intorno ai cento euro mensili. E’ pura follia persistere sulla linea della globalizzazione, delle liberalizzazioni e del libero mercato senza prevedere la distruzione o un disastroso ridimensionamento dell’economia europea. Come non pensare che questo sia il disegno delle centrali finanziarie di Wall Street che certo non ignorano i risultati delle loro “linee di sviluppo”?

Fuga dei capitali
Tutti i guadagni industriali ottenuti in Europa e negli altri paesi avanzati vengono sottratti dalla circolazione locale e regionale e investiti in Cina dove hanno rese percentuali più alte proprio per lo sfruttamento incontrollato del lavoro, deprivando la nostra industria della liquidità necessaria.

Precarietà del
lavoro e mercato
degli immobili
L’eccessiva liquidità nelle mani della speculazione crea anche l’accaparramento di immobili che, in periodo di volatilità del valore delle azioni, rappresentano beni reali più sicuri aumentandone i prezzi oltre ogni ragionevole misura. Questo impedisce la creazione di un mercato immobiliare regolare.
Il tentativo di reagire alle conseguenze della globalizzazione precarizzando l’occupazione con lo scopo, non troppo nascosto, di diminuire le retribuzioni, contribuisce a cristallizzare il mercato degli immobili poiché i lavoratori precari non possono certo accedere ai mutui necessari per gli acquisti. Non si risolve in questo modo nemmeno il problema del livello del costo del lavoro, sempre troppo alto rispetto a quello della Cina dove ottocentomilioni di agricoltori premono per elevare il proprio tenore di vita inserendosi alle dipendenze di aziende industriali. E il dislivello del costo industriale, al quindici per cento rispetto al nostro, non sarà di breve durata, come gli ottimisti si prefigurano: durerà a lungo, fino a quando cioè tutti o quasi gli ottocentomilioni di agricoltori saranno assorbiti dall’industria. E nel frattempo l’Europa corre il rischio di una forte deindustrializzazione delle cui conseguenze sull’occupazione e sul tenore di vita di moltissime famiglie nessuno sembra preoccuparsi seriamente.

Selezione
alla rovescia
A quanto sopra esposto si deve aggiungere che il sistema capitalistico, democratico ed egualitario quale è, genera una classe dirigente non selezionata o selezionata alla rovescia e questo crea ulteriori difficoltà a sostenere la concorrenza dei paesi in via di sviluppo.
Il confronto dovrebbe avvenire attraverso lo studio da parte di menti superiori di tecniche operative più economiche e di prodotti di più elevato valore aggiunto o più sofisticati: le dirigenze tecniche non hanno davanti a sé la certezza di tempi definiti per impegnarsi a fondo in questo lavoro. Queste, infatti, sono nominate precariamente da una onnipotente classe finanziaria che non ama avere sottoposti troppo intelligenti con i quali potrebbe trovarsi, incapace e arrogante quale è, a fare i conti o comunque a dover trattare. Percependo questa situazione di precarietà il dirigente tecnico o amministrativo, nel timore di una facile sostituzione, si circonda di elementi di scarso valore, perché fra questi fatalmente dovrà cadere la scelta del suo successore da parte dell’amministratore delegato e degli azionisti. Si innesca quindi una catena di scelte di personale sempre meno valido che genera dirigenze inette, irresponsabili, poco capaci salvo naturalmente le eccezioni. Queste si verificano soprattutto nelle medie e piccole aziende che infatti sono la ricchezza dell’Italia nonostante la persecuzione fiscale e la normativa di cui vengono fatte oggetto. Non si può in queste condizioni socio-culturali affrontare con successo un confronto vitale con i paesi a basso costo del lavoro.

Grave carenza
del potere politico
E’ inutile poi parlare della classe politica, la cosiddetta “Casta”, dove dominano ogni più ignobile sentimento di servilismo verso il potere, arrivismo, corruzione, incapacità che, chiunque abbia avuto occasione di accostarsi agli uomini dei partiti ha potuto certamente constatare. Naturalmente anche qui esistono eccezioni. Certamente la classe politica, nel suo insieme, non ha la volontà di controllare e regolare i comportamenti eccessivi della finanza pericolosi fino al suo stesso suicidio. Si preferisce vivacchiare nell’ozio decisionale, solo preoccupati di non farsi togliere alle prossime elezioni le poltrone ed i connessi privilegi, godendo tranquillamente gli esagerati emolumenti concessi dal potere purché niente cambi nei rapporti di sudditanza dei politici al potere bancario.

Rapporti
internazionali
A livello internazionale poi dominano la violenza e la menzogna più sfacciate: si parla di diritti civili solo quando si vuole minacciare una nazione avversaria o ci si vuole impadronire delle risorse economiche di qualche paese recalcitrante; si bombardano paesi e città e si accusano le vittime di connivenza con il terrorismo mentre si infierisce sulle popolazioni civili proprio allo scopo di creare una atmosfera di terrore. E per sottomettere i popoli, non si bada a spese attribuite, se possibile, con l’accondiscendenza dei corrotti rappresentanti democraticamente eletti, ad altri popoli: l’aumento del prezzo del petrolio, per esempio, ha come concausa quella di far pagare a noi le spese delle guerre americane nel vicino oriente.

Classi dirigenti
inadeguate
Considerando il livello bassissimo delle classi dirigenti politiche, vergognosamente asservite al potere finanziario internazionale che ha sede negli Stati Uniti, non si può essere ottimisti: probabilmente la crisi ci sarà, sarà grave e durerà molti anni.
Anche i vertici della finanza non sembrano più avere la volontà, la possibilità o la capacità di mettere un freno salutare all’esagerato e pericolosissimo comportamento del sottobosco speculativo che vive di truffe legalizzate, usura, imbrogli, arricchimenti a danno delle persone per bene, di sovvenzioni statali pagate con le nostre tasse per la gloria effimera di qualche ignobile politicante. Si aggrava così la rabbia dei popoli già infuriati per la perdita della sicurezza del lavoro, per la contrazione del potere di acquisto e l’abbassamento del tenore di vita.

Mancanza
di consenso
Favorisce la crisi del capitalismo anche la constatazione che, in seguito alle politiche violente e folli degli stati Uniti, sono diventati antiamericani molti popoli del Sud America come anche quelli dei paesi arabi, del terzo mondo, della Cina, dell’India e della Russia. Che in Europa i governi democratici restino sordi alla volontà pacifista dei loro elettori non potrà durare a lungo. Le tensioni monetarie sono dovute anche al fatto che i governi dei paesi a sovranità nazionale libera, che vengono per questo definiti stati canaglia, ma ora anche gli altri, non possono più sopportare le perdite dovute all’obbligo di commerciare in dollari e di farsi imporre di tenere riserve in questa moneta, ormai poco affidabile. Essa è, infatti, sottoposta a continua svalutazione e al rischio di vedere annullato all’improvviso ogni valore. L’arroganza tipica degli esponenti bancari internazionali ha già percorso questa via quando durante la crisi argentina sono stati bloccati anche i fondi depositati in dollari. Come possono infatti, per esempio i cinesi, credere, in questo contesto internazionale, che i buoni del tesoro americani, accumulati in crescente continua astronomica quantità per il pagamento delle merci esportate, saranno un giorno pagati?

Dio non voglia, tuttavia, che l’oligarchia mondialista, prima di perdere il potere bancario attraverso il quale cerca di dominare il mondo intero, induca gli Stati Uniti a lanciare bombe atomiche a destra e a manca: essa è capace di tutto e lo ha già dimostrato nelle guerre mondiali, regionali o locali che ha effettuato fino ad ora per schiacciare qualunque volontà di indipendenza e di sovranità nazionale anche a costo di spaventosi genocidi e gravissimi danni ambientali.
La rovina ecologica del pianeta è una forma di pazzia suicida ma il complesso autodistruttivo di Sansone è ancora molto vivo in quelli che credono nella bibbia.