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Patocka, critica della ragion tecnica

di Edoardo Castagna - 31/05/2008



 N
on ha perso un briciolo della sua attualità, la quasi profeti­ca riflessione sull’Occidente e la sua civiltà sviluppata da Jan Pa­tocka più di trent’anni fa. Forse per­ché maturata negli anni più duri della repressione comunista nel Blocco o­rientale, forse perché sviluppata pro­prio ad appena un passo oltre la Cor­tina di ferro, l’indagine del coraggioso filosofo ceco, morto nel 1977 a causa delle torture subite per essere stato promotore del movimento democra­tico Charta 77, conserva intatta tutta la sua acuta capacità di comprensio­ne dell’Europa occidentale (che oggi è finalmente tornata ad abbracciare anche la sua Praga) e il destino che l’aspetta. Pubblicati clan­destinamente nel 1975 in poche copie dattiloscritte e finora disponibili in ita­liano soltanto in una da­tata e incompleta versio­ne della prim’ora pubbli­cata nel 1981 dal bologne­se Centro studi Europa o­rientale, oggi i suoi Saggi eretici sulla filosofia della storia ven­gono riproposti da Einaudi in versio­ne integrale e curata criticamente, of­frendoci la possibilità di apprezzare nella sua completezza la profondità della riflessione di Patocka. Che aveva già lucidamente colto, pur nel pieno dell’epoca del trionfo delle ideologie, che «il pericolo – scrive Paul Ricoeur nella sua prefazione – non è più rica­dere nell’idealismo, ma di cedere al nichilismo. Ciò che tormenta Jan Pa­tocka è il destino dell’Europa occi­dentale al di là del nichilismo». Per il fenomenologo ceco, il nichilismo è altrettanto dogmatico di «una fede ingenua e intatta del senso», quale quella che aveva caratterizzato l’uma­nità 'pre-istorica' quando anche la morte, anche le catastrofi non pote­vano scuotere la fede ingenua dell’u­manità: a riscattare tutto era suffi­ciente il fatto che l’eternità, nel senso dell’immortalità, rimanesse preroga­tiva esclusiva degli dei. «La ricerca di un senso diverso – per esempio, della vita eterna – non è una faccenda u­mana », scrive Patocka, e tutto finiva lì. Ma poi questo senso comunemen­te accettato della pre-istoria è stato sconvolto, e ha fatto irruzione la sto­ria vera e propria con il suo attore protagonista: l’anima, che anela al­l’immortalità. È l’avvento di Cristo il salto decisivo: «La fede cristiana è il senso non cercato dall’uomo, e non da lui autonomamente trovato, ma dettato dall’altro mondo. Ad esso ap­partiene qualcosa che non si presen­ta nella vita greca, vale a dire la co­scienza della limitatezza dell’uomo».
  Dal trionfo del cristianesimo, al mo­mento del tramonto dell’impero ro­mano, è sorta l’Europa come soggetto storico. I
Saggi indagano l’intera sua parabola dal Medioevo al Novecento, ma è nel delicato passaggio dell’inizio della modernità che il filosofo indivi­dua la frattura decisiva, quella che ha posto le premesse dei problemi che oggi abbiamo di fronte a noi. Ovvero, l’affidarsi dell’uomo alla 'scienza na­turale matematica', o 'tecno-scien­za'. «In seno alla società dell’Europa occidentale, educata dal cristianesi­mo, è sorta una concezione del reale che non solo si è a poco a poco di­staccata dalla sorgente stessa del sen­so cristiano, ma che è anche giunta a un completo divorzio tra la realtà e il senso». A questo strappo, a questa «realtà del sapere efficace, vuota e priva di senso» si aggrappa il moder­no nichilismo, contro il quale Patocka ricerca possibili germi di speranza.
  Non si può, chiaramente, tornare in­dietro come nulla fosse, ignorare il postulato del non senso, perché vor­rebbe dire ignorare l’intera moder­nità 'tecno-scientifica' laddove «bi­sogna tener conto anche della sua straordinaria effi­cacia ». Ma occorre anche denunciare come il suo po­tere «non si arresta neppure davanti all’uomo». Il filosofo ceco denuncia: «La civiltà industriale non ha risolto il grande, principale proble­ma interiore dell’uomo, cioè non soltanto vivere, ma vivere in mo­do umanamente autentico», e anzi ha allontanato tale pienezza attraver­so l’esaltazione di quelle facoltà 'tec­niche' che nulla possono, in questo ambito. I concetti vincenti nella so­cietà contemporanea «appiattiscono il pensiero e offrono dei surrogati»; la civiltà industriale «indirizza la cono­scenza verso l’uniforme modello del­la matematica applicata e l’uomo è privato del suo 'sé', del suo io inso­stituibile; viene identificato con il suo ruolo, esiste e cade con esso». Certo, «è anche vero che questa civiltà rende possibile ciò che nessun altro prece­dente agglomerato umano aveva reso possibile: una vita senza violenza e u­na generale uguaglianza di possibi­lità ». E questo va non solo difeso, ma anzi sostenuto quanto più possibile, e «sarebbe un tragica colpa (e non una disgrazia) dell’intellighenzia se que­sta possibilità non venisse compresa e colta». Ma per Patocka indispensa­bile è trarre il dado verso l’«assumere la responsabilità dell’insensatezza» attraverso un disciplinato «atteggia­mento di distacco», capace di realiz­zare un nuovo senso 'problematico'.
  Mentre accogliamo il portato benefi­co della tecnica e della scienza, dob­biamo al tempo stesso riconoscere – e denunciare – come metta tra paren­tesi proprio il concetto intorno al quale l’Europa è sorta e dal quale ha tratto la sua linfa vitale: l’anima indi­viduale, e il suo destino anelante im­mortalità: «Questo dramma interiore – conclude Patocka – è un dramma di redenzione e di grazia».

 Jan Patocka

 SAGGI ERETICI SULLA FILOSOFIA DELLA STORIA
a cura di Mauro Carbone
 Einaudi. Pagine 184. Euro 17,50

 L’Occidente verrà sconfitto dal proprio nichilismo