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La personificazione come fenomeno parapsicologico (I parte)

di Francesco Lamendola - 03/06/2008

Sindrome della personalità alternante, sindrome della personalità multipla: la psicologia poco si occupa di questo genere di fenomeni, e sempre con un certo disagio. Anteponendovi, poi, la parola "sindrome", si sforza di farli rientrare in un quadro clinico 'normale' e, in definitiva, di averli 'sotto controllo'.

Ma è solo un'illusione, perché i fenomeni in questione sono tali da poter mettere seriamente in crisi, almeno a certi livelli, l'intero paradigma materialistico della scienza moderna, psicologia in primis. È come se uno speleologo, dopo aver esplorato centinaia di caverne di ogni tipo e averne studiato i fenomeni geologici, sino ad essersi fatto un'idea abbastanza precisa di che cosa siano le grotte in generale, giungesse a un certo punto sull'orlo di un pozzo naturale completamente diverso da tutti  quelli che ha visto finora. Immaginiamo che, da quel pozzo, escano suoni impressionanti, sospiri, voci incomprensibili, e bagliori di origine ignota guizzino in lingue impressionanti fuori dalla profondissima oscurità del sottosuolo.

Se quello speleologo avesse appena qualche minima nozione di mitologia e storia delle religioni, oppure se avesse letto anche solo poche terzine della Divina Commedia, non potrebbe dubitare di esser giunto presso l'imbocco del regno dell'eterna dannazione, dell'Inferno. Tuttavia, se egli fosse un seguace convinto di dottrine rigidamente materialistiche, non potrebbe ammettere un'ipotesi del genere, nemmeno per un istante. La scarterebbe a priori, come inaccettabile; non sarebbe disposto a prenderla in considerazione neanche come semplice ipotesi di lavorio, bisognosa di ulteriori verifiche.

Allora, e senza darsi la pena di scendere con la scaletta avvolgibile lungo quel pozzo inquietante, comincerebbe a fare ipotesi su ipotesi, tutte sulla base dei ristretti confini che le sue convinzioni ideologiche gli consentono. Dopo di che, scartatene alcune, giungerebbe a formulare una interpretazione complessiva di quei fenomeni misteriosi, mediante la quale arriverebbe anche a descrivere la parte più profonda di quella caverna, una parte che egli non ha mai visto e dove non si è mai spinto.

Ebbene, è proprio così che procede la psicologia accademica di fronte ai fenomeni delle personalità alternanti o della personalità multipla. In primo luogo, scarta a priori tutte le possibili spiegazioni non materialistiche, dall'emergere di vite anteriori del soggetto, alla possessione da parte di spiriti o demoni. Poi, di quelle restanti, si limita a indicare come accettabili quelle meno lontane da una scienza materialisticamente intesa, riducendo al minimo anche la sfera di mistero all'interno dell'Io individuale. Se, ad esempio, l'Io è stato in grado di predire con successo eventi futuri che lo  riguardano - come fece il pittore Victor Brauner che, nell'Autoritratto del 1931, si rappresentò con l'occhio destro squarciato, esattamente come  sarebbe accaduto sette ani più tardi, in seguito a un grave incidente (1) - gli esponenti della psicologia accademica parlano con disinvoltura di "coincidenze", e non indagano oltre. Si comportano, perciò, un poco come quegli astronomi della corte medicea che si rifiutavano di guardare nel cannocchiale di Galilei, perché non potevano ammettere - in base ai loro pregiudizi - ciò che vi avrebbero visto.

Ed ecco il risultato: una scienza dell'uomo sempre più bloccata e invischiata nelle mille remore dei pregiudizi positivistici, mentre le scienze fisiche, biologiche, chimiche e astronomiche galoppano a velocità impressionante. Esiti significativi del dogma materialistico: mentre scopriamo sempre più cose sul mondo esterno, le nostre conoscenze sulle profondità dell'essere umano sono ferme a più di cento anni fa. Allora, per lo meno, si trovavano alcuni scienziati accademici disposti a confrontarsi con i fenomeni parapsicologici con mente sgombra da pregiudizi: Crookes, Flammarion, lo stesso Lombroso. Oggi, se a qualche professore universitario venisse la voglia di avventurarsi su questo terreno - almeno in Italia, perché in altri Paesi le cose vanno un po' diversamente -, questi potrebbe dire addio alla sua cattedra in men che non si dica.

Ma torniamo al fenomeno della personificazione, ossia alla comparsa di una o più personalità secondarie all'interno di un determinato Io; fenomeno che, talvolta, si sviluppa in maniera così rapida e impressionante, da lasciare profondamente turbati coloro che ne sono testimoni.

 

Scriveva una trentina d'anni fa Ugo Dèttore, uno degli studiosi italiani del paranormale più seri e qualificati, nel suo bel libro Le due facce della realtà (2), che meriterebbe di essere riletto e, possibilmente, ristampato:

 

Una delle manifestazioni più complesse della fenomenologia cosiddetta paranormale, ma che si ricollega a fenomeni perfettamente normali, è la personificazione, il fatto cioè che un individuo, spontaneamente o sperimentalmente, in stato di trance o in stato di veglia, si comporti come se fosse stato trasformato in una personalità diversa dalla sua consueta. Tale personalità po’ essere anonima,  può darsi un none sconosciuto al soggetto stesso e a chiunque altro, può identificarsi con una personalità vivente, o infine, e più spesso, può identificarsi con una personalità defunta; inoltre, in molti casi, può manifestare capacità telepatiche, chiaroveggenti retrocognitive, precognitive e creative.

Numerosi sono stati i tentativi per spiegare questo fenomeno, ma non si è mai raggiunta un'ipotesi unitaria: quello che sembra dar ragione di alcuni casi viene regolarmente contraddetto da altri, così da far pensare, talora, che il fenomeno, apparentemente identico in tutte le sue espressioni, dipenda in realtà da processi diversi.

Dobbiamo notare, anzitutto, che la personificazione, in se stessa, è un fenomeno del tutto normale: il bambino che giuoca a guardie e ladri o alla guerra si personifica di volta in volta con un carabiniere, con un ladro, con un generale, con un soldato, con un vinto o con un vincitore. L'adulto, nelle sue fantasticherie e in molti stati affettivi, fa altrettanto: diventa a seconda dei casi un capufficio, un grande industriale, un ministro,  un operaio, il suo rivale, l'oggetto amato o detestato anche se questi oggetti  non sono esseri umani ma cose o animali. Personificazioni sono sostanzialmente le arti.

Nella nostra concezione abbiamo messo alla base delle attività psichiche la intuizione immedesimatrice, la capacità dell'Io di far proprio il diverso da sé identificandosi in esso e, insieme, identificandolo a se stesso; e abbiamo considerato tale immedesimazione non già come un fatto unilaterale e soggettivo, una illusione del soggetto il quale, consciamente o inconsciamente, immagina di immedesimarsi in un oggetto vivente o non vivente, diverso da lui, ma come un contatto effettivo fra due soggetti egualmente reali che si incontrano in processi a materializzazione minima e partecipano ognuno, in vari modi, alla realtà dell'altro.

L'intuizione immedesimatrice sembrerebbe dunque molto diversa dall'immedesimazione del bambino in una guardia o in un ladro, ossia in una personalità che non esiste., Pensiamo invece che sia dello stesso genere,  che cioè il bambino che giuoca, l'adulto che fantastica, l'artista che crea derivino effettivamente le loro creazioni da contati con insiemi di realtà strutturati a materializzazione minima nel pensiero del gruppo, della specie o della psiche universale,  così che le loro immedesimazioni, o personificazioni, hanno una loro consistenza oggettiva, si presentano come simboli di una universale realtà. Ogni immedesimazione, abbiamo detto, consiste in un atto chiaroveggente verso insiemi di realtà la cui storia passata rimane viva accanto all'attualità presente e alle finalità future, così come ogni chiaroveggenza è una immedesimazione: entrambe sono gli aspetti di una stessa attività che può incentrarsi formalmente nell'una o nell'altra o accoglierle insieme.

Da questi punto di vista potremmo considerare l'intuizione immedesimatrice come fattore fondamentale di tutti, o almeno di gran parte dei casi di personificazione.  Abbiamo visto infatti che i fenomeni telepatico-chiarveggenti molto spesso si presentano in forme personificate: la signora Denton si identificava al mastodonte o al minerale di cui narrava la storia per psicoscopia; e nei colloqui telepatici che il giornalista Dean teneva con la sua collega appare egualmente una personificazione: personificazione, in questo caso, con un vivente il quale scriveva le sue risposte per mano di Dean stesso. In altre parole il fenomeno telepatico-chiaroveggente è sempre imperniato su una immedesimazione che può manifestarsi sia nella forma esteriorizzata secondo lo schema «X pensa questo, o «fa questo», o «è nel dato luogo» ecc., sia in forma interiorizzata secondo lo schema «Io, X, faccio questo, penso questo», sono nel dato luogo, ecc.

Per personificazione dovremmo allora intendere una immedesimazione intuitiva interiorizzata, e le sue espressioni quanto mai varie dipenderebbero sostanzialmente dalla varietà del diverso-da-sé personificato e dai conseguenti modi con cui la personificazione stessa può avvenire. Tuttavia un esame di questa complessa fenomenologia ci porta a dover ipotizzare anche l'eventuale intervento di altri fattori. (…)

Consideriamo a esempio un caso che, nelle sue forme più semplici, viene giudicato, piuttosto che paranormale, al limite della paranormalità e di cui si valgono anche alcuni psicologi per l'esame del profondo: la scrittura automatica. Chiunque si metta con una matita in mano davanti a un figlio di carta e si rilassi cercando di non concentrare su alcun oggetto il proprio pensiero, finisce, dopo qualche tentativo, con o scrivere qualche cosa: dapprima, in genere, dei semplici segni ripetuti, poi delle lettere, delle parole che possono rispondere a sue domande o costituire un messaggio. Si può ottenere lo stesso fenomeno con le vecchie pratiche della plachette o dell'ouija. Di norma queste scritture si esprimono in prima persona e danno del tu al soggetto. Se si domanda alla 'personalità' che così comunica chi sia, essa può rifiutarsi di rispondere, o dare un nome sconosciuto, o presentarsi come la personalità di un vivente o di un defunto:; ma, per ora, soffermiamoci solo sul fatto d uno psichismo, quale che sia, il quale comunica con il nostro psichismo.

Gli psicologi spiegano il fenomeno con l'ipotesi, universalmente accettata, della dissociazione psichica In seguito a processi, la cui meccanica non è stata ancora compiutamente chiarita, la personalità di un individuo non riuscirebbe mai a integrare in sé il molteplice dei valori psichici che dovrebbero strutturarsi nell'Io: ne rimarrebbe fuori un residuo più o meno abbondante, capace di formare una o più personalità dissociate e tali da potere agire con una certa autonomia. Nell'uomo normale la dissociazione psichica non porterebbe disturbi apprezzabili, ma, nei casi più gravi a carattere patologico, queste personalità dissociate entrerebbero addirittura in contrasto con l'Io, provocando il quadro ben conosciuto delle nevrosi., Una dissociazione psichica sarebbe così alla base dei fenomeni di personificazione, e questa ipotesi è stata accolta anche dalla maggioranza dei parapsicologi.

Evidentemente una concezione di questo genere è di carattere meccanicistico: l'Io cosciente viene praticamente considerato un epifenomeno meccanicamente derivato da processi psichici egualmente meccanici, dai quali deriverebbe con la stessa meccanicità un certo numero di personalità dissociate. La responsabilità morale dell'Io nel suo agire viene  fatalmente distrutta.

Tuttavia la presenza di personalità secondarie accanto a una personalità dominante è innegabile: la scrittura automatica rivela indubbiamente allo psicologo un molteplice psichico che si presenta come Io e dice 'io', e che spesso è in palese contrasto con l'Io cosciente del soggetto. Vi è poi un fenomeno ancora più imponente, anch'esso non considerato paranormale, che rivela in modo indubbio la presenza d questo molteplice: le cosiddette personalità alternanti.

Il caso non è aro: può avvenire che il soggetto cambi più o meno improvvisamente di personalità, dandosi un altro nome, palesando un carattere del tutto diverso da quello consueto e comportandosi in conseguenza. La nuova personalità può sussistere in lui per giorni e mesi prima di cedere nuovamente il posto alla personalità nomale o, talora a una terza e a una quarta personalità che si alternano continuamente con la prima. A volte non è possibile stabilire quale di queste personalità debba essere considerata la principale: vi sono stati casi in cui si è stabilita fino alla morte del soggetto una personalità diversa  da quella che s era presentata in lui nell'infanzia e nella giovinezza. Talora le varie personalità sono inconsapevoli le une delle altre; altre volte una o più di esse sono consapevoli delle altre rivelando in genere una certa ostilità contro di esse, che ignorano la loro presenza.

Noi siamo portati a pensare che queste personalità secondarie siano originarie e che abbiamo collaborato fin dagli inizi con l'Io dominante alla formazione del suo organismo. I biologi sono concordi nell'affermare che le programmazioni del genoma devono essere molto più numerose di quelle che vengono effettivamente attuate di norma, e che una buona parte di esse rimane inattiva, pronto solo a entrare eventualmente in giuoco in circostanze eccezionali in cui appaiono particolari problemi come nei cosiddetti processi di feed-back. Ipotizziamo che tali programmazioni in soprannumero  dipendano appunto da Io secondari che gravitano, per così dire, attorno all'Io dominante e si attuano nel suo stesso organismo alla cui creazione hanno preso parte, d'intesa o anche in contrasto con esso.

Perché le relazioni fra l'Io dominante e gli Io secondari, al pari di quelle che abbiamo considerato fra esso e gli Io inferiori, non sempre sarebbero di pacifico accordo: spesso si avrebbe un vero e proprio antagonismo per il quale gli Io secondari tenderebbero a sostituirsi all'Io dominante o a costringerlo nella direzione dei propri orientamenti. L'Io individuale dominante mira sempre a strutturare gli orientamenti degli altri con i propri per costituire con essi una personalità consapevole e coerente sul proprio piano di coscienza, ossia nel suo Io personale, tale strutturazione dovrebbe avvenire per immedesimazione dell'Io nelle personalità secondarie e di queste nell'Io, in un sostanziale accordo che non mancherebbe tuttavia di compromessi, come non manca di compromessi il sostanziale accordo dell'Io con gli Io inferiori che si attuano nell'organismo. Naturalmente, a seconda delle varie esperienze di vita, dei vari problemi che si presentano, dovrebbero avvenire reciproche concessioni, pur rimanendo continuo e attivo il piano di coscienza dell'Io personale dominante. Questo spiegherebbe quelle oscillazioni di carattere che tutti abbiamo sperimentato e sperimentiamo e che infirmano tanto spesso la rigorosa coerenza della nostra personalità: un artista o un funzionario, avvicinati nel loro studio o nel loro ufficio, ci appaiono come personalità del tutto diverse da quelle con cui ci si presentano in un salotto o in un caffè: l'artista, che nel suo studio sembra tutto dedito ai valori dello spirito, al caffè parla di donne; il funzionario rigido e serioso nel suo ufficio, in un salotto racconta barzellette. E l'uomo d genio può manifestare nella vita di ogni giorno una personalità mediocre o addirittura inferiore. La normalità è piena di questi bruschi passaggi che tutti trovano perfettamente normali, ma che in realtà dovrebbero stupirci,

La presenza di Io individuali-secondari accanto all'Io individuale-personale dominante non ne menoma l'unità né la responsabilità morale, così come queste non sono menomate dalla presenza di Io inferiori senza numero. L'Io dominante, infatti, è il vero responsabile dell'insieme potendo virtualmente accettare, respingere o modificare gli orientamenti volitivi degli altri, i quali, a loro volta, rimarrebbero, nei loro limiti, responsabili del loro agire. Può avvenire addirittura che un Io secondario riesca a prevalere momentaneamente sull'Io dominante, il quale si comporterà allora, secondo l'espressione comune, «come non vorrebbe» pur rendendosi conto di quanto avviene: riprova, questa, che la sua unità e la sua responsabilità morale , anche se possono cedere, mantengono la loro continuità criticando l'azione compiuta.

Ma, se i contrasti sono ancora più profondi, l'Io dominane e gli Io secondari verrebbero a lottare sullo stesso piano in modo da rendere impossibile dire quale di essi effettivamente prevalga, e si avrebbero allora gli stati angosciosi e nevrotici, i comportamenti incoercibili che speso si esprimono con atti assurdamente simbolici in cui due o più personalità inconciliabili cercano di trovare egualmente soddisfazione, fino, nei casi estremi, alla completa sostituzione di una personalità secondaria e del suo piano di coscienza, all'Io personale dominante e alla sua  coscienza come avviene nelle personalità alternanti e, probabilmente, in modo meno stabile ma più drammatico, nei raptus.

È vero che spesso lo psicologo riconosce in due personalità alternanti due parti di una stessa personalità che si innestano l'una nell'altra come le due metà di un biscotto spezzato, e, con procedimenti adatti, riesce a ricostituirne l'unità. Ma questo non significa necessariamente la ricostituzione di una personalità che si è dissociata:  potrebbe essere interpretato più verosimilmente come la riconciliazione di due personalità che avevano perso il loro accordo i un'unica espressione.

 

Il punto veramente notevole, in questa interessante interpretazione avanzata da Ugo Dèttore, è quello in cui egli ipotizza che, così come i biologi ritengono che le programmazioni del genoma devono essere molto più numerose di quelle che vengono effettivamente attuate di norma, e che una buona parte di esse rimane inattiva, pronta a entrare eventualmente in azione qualora si presentino circostanze eccezionali, in cui appaiono particolari problemi; allo stesso modo esisterebbero delle personalità programmate in soprannumero, che dipendono da Io secondari gravitanti attorno all'Io dominante.

In altre parole, le personalità secondarie, o Io secondari, non emergerebbero, a un dato momento, come reazione a una linea di condotta dell'Io principale che non "convince" la totalità della coscienza, bensì sarebbero un esplicitarsi di programmi potenziali che erano rimasti allo stato latente, ma esistevano già, nelle regioni più profonde del sub-conscio.

Se questo fosse vero, parafrasando Pirandello si potrebbe affermare che ciascuno di noi è uno, nessuno e centomila, per il semplice fatto che noi siamo già, potenzialmente, centomila, fin dall'inizio della nostra umana avventura: come un giardino che possiede infiniti sentieri, i quali continuano ad esistere e ad essere transitabili, anche se - di norma - ciascuno di noi ne percorre uno solo nel corso propria vita.

 

Un'altra osservazione vorremmo fare, relativamente al tema - a noi caro - della subordinazione della psiche femminile, nelle condizioni date della società contemporanea, al mito maschile della forza e del dominio. (3) Il legame tra questo tema e la personificazione è dato dall'insorgenza di una personalità di strega all'interno dell'Io femminile, insorgenza che può aver luogo come affermazione graduale di una personalità secondaria rispetto a quella principale, ma anche in maniera brusca e repentina, come apparente metamorfosi dell'Io.

A parlare di trasformazione in strega non è il Malleus maleficarum o qualche anacronistico grimorio medievale, come gli psicologi neopositivisti potrebbero pensare, ma uno psichiatra e psicanalista del livello di Alexander Lowen., discepolo di Wilhelm Reich e uno dei più apprezzati specialisti, oggi, negli Stati Uniti d'America.

Nel suo celebre saggio Il tradimento del corpo, basato sulla convinzione che solo un corretto rapporto fra corpo e mente può condurre alla coscienza del proprio Io, egli scrive testualmente:

 

L'incorporazione dell'Io maschile da parte di una femmina genera una strega. La strega sostiene l'opinione dell'Io maschile che il corpo femminile è un oggetto sessuale. In tal modo la strega si rivolta contro il proprio corpo e prova un maligno piacere a sacrificarlo, perché rappresenta l'aspetto abbietto della sua personalità.  Nello stesso tempo compensa l'abiezione impersonando l'immagine della non-conformista superiore che rifiuta il vecchio moralismo.

L'impulso demoniaco della strega mira anche a distruggere l'ego maschile.  Rivoltandosi contro la propria femminilità, la strega nega la funzione dell'amore nel sesso e schernisce il maschio che la cerca…

 

È facile, per chi ci abbia seguiti nelle nostre precedenti riflessioni, riconoscere il carattere di strega, nel senso sopra indicato, nella madre di Peer Gynt, Aase.

E ancora non abbiamo preso in considerazione le personificazioni nell'Io di una strega a carattere volontiario: come quelle che si verificano nel corso di appositi cerimoniali, ad es. nel Voodoo haitiano…

Davvero, sono ancora molte le cose che la psicologia accademica non sa e non vuole spiegare.

 

 

NOTE

 

1)      Cit. in Parapsicologia, a cura di Emilio Servadio, nella Enciclpoedia della Psicologia diretta da Denis Huisman (titolo originale: Autour de la Psychologie, Nathan, Paris, 1973), Trento Procaccianti Editore, Milano, 1975, p. 371.

2)      Ugo Dèttore, Le due facce della realtà (prima edizione con il titolo Normalità e paranormalità), Armenia Editore, Milano, 1977, pp. 307-312.

3)      Cfr. Francesco Lamendola, Mitologia maschile della forza e psicopatia nel «Peer Gynt» di Henryk Ibsen, sul sito di Arianna Editrice.

4)      Alwìexander Lowen, Il tradimento del corpo, edizione originale americana, 1967; traduzione italiana di Licia Mingione, 1982, 1997, p. 22.