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Egitto: la Legge d'emergenza estesa per altri due anni. Come un “governo moderato” si salvaguarda

di Michaela De Marco* - 03/06/2008



Il 26 maggio, il Parlamento egiziano ha approvato l'estensione per due anni dello stato d’emergenza in vigore in Egitto dal 1981. Lo hanno riferito fonti parlamentari. La misura adottata dal presidente Muhammad Hosni Mubarak si applicherà dal 1° giugno in attesa di una legge antiterrorismo.

La legge 162, nota come "legge d'emergenza", è da decenni la più contestata dall'opposizione politica egiziana. Introdotta dal presidente Gamal ‘Abd al-Naser nel 1958, la legge 162 è rimasta in vigore fino al 1980. Nel 1981 il presidente Anwar al-Sadat venne assassinato per mano di Khaled al-Islambuli, membro del gruppo islamista Al-Jihad, durante una parata militare commemorativa. Il suo vice Mubarak riuscì a salvarsi e gli successe immediatamente. Il neo-presidente ripristinò immediatamente lo stato d'emergenza, con lo scopo di difendere il Paese dalle azioni terroristiche dei gruppi armati, contro i quali il nuovo esecutivo intraprese una guerra spietata. Alla fine Mubarak è riuscito nella titanica impresa di annientare definitivamente il terrorismo, ma non ha mai liberato l'Egitto dallo stato d'emergenza, a dimostrazione del fatto che in realtà la legge 162 altro non è che lo strumento mediante cui il regime reprime ogni voce di dissenso.
Le aspre polemiche e le pressioni esercitate dall'opposizione spinsero Mubarak a formulare l'intenzione di abrogarla il 31 maggio del 2006. Ma gli oscuri attentati del mese precedente fornirono al presidente una valida giustificazione per mantenerla in vigore, nonostante gli attentati in questione – come dimostrato da più parti - non possano essere attribuiti a gruppi terroristici egiziani, ormai definitivamente scomparsi.

La Carta Costituzionale, che risale al 1971, già conferisce al presidente poteri enormi: Mubarak è attualmente Capo dello Stato, Comandante in capo delle Forze armate, ha in mano il Consiglio Superiore della Magistratura, il Consiglio Supremo di Polizia e il gabinetto dei Ministeri, nomina il Primo Ministro e i responsabili dei ministeri maggiori. Gli viene inoltre attribuito il potere di indire elezioni generali, dichiarare guerra, imporre lo stato d'emergenza e promulgare decreti.
La legge 162 del 1958 accresce ulteriormente il potere del presidente, che può porre limitazioni rispetto alla libertà di riunione, di movimento, di residenza: può arrestare soggetti sospetti o pericolosi per la sicurezza e l'ordine pubblico, autorizzare l'ispezione di persone e luoghi senza sottostare a quanto prevede il Codice di procedura penale; può inoltre stabilire la censura di articoli giornalistici, documenti, libri e quotidiani prima della loro pubblicazione.
Ai superpoteri previsti dalla Carta Costituzionale e dalla legge d'emergenza, si devono poi aggiungere quelli citati in certe leggi "speciali", che attribuiscono al Presidente il diritto d’inasprire le pene previste dalla legge, restringere ulteriormente la libertà di stampa e conferire alla Pubblica Accusa poteri non previsti dalla Costituzione.

La tappa successiva del "percorso riformista" del governo Mubarak, per una graduale "democratizzazione" dell'Egitto, fu l'emendamento costituzionale sottoposto a Referendum il 26 marzo del 2007, il quale prevedeva, tra le altre cose, che la legge d'emergenza venisse sostituita da una "legge anti-terrorismo". L'opposizione insorse: la legge anti-terrorismo in questione non solo ribadisce sostanzialmente i contenuti della legge d'emergenza, ma li integra nella Costituzione Egiziana.
Nel corso degli anni la legge d'emergenza ha dunque legittimato arresti e detenzioni illecite, pressioni, repressione e minacce contro ogni forma d'opposizione politica, chiusura di giornali e quotidiani. La legge anti-terrorismo si presenta più che altro come legge anti-dissenso. E la speranza che venga rimossa si fa sempre più vana.
La riaffermazione della legge d'emergenza e gli emendamenti del 2007 si inseriscono in una strategia ben precisa. In primo luogo, l'obiettivo del governo è quello di limitare politicamente i Fratelli Musulmani, che hanno inaspettatamente guadagnato il 20% dei seggi all'Assemblea Popolare alle elezioni del 2005. Il regime di Mubarak mira inoltre ad impedire che l'opposizione formi un fronte unico in grado di unire liberali ed islamisti: dividerli rientrava già nelle strategie messe in atto nel 2005, quando il regime offrì la possibilità agli innocui partiti politici di sinistra e liberali di venir registrati, a spese dei meno innocui, e dunque illegali, Fratelli Musulmani.

Il regime, mediante gli emendamenti costituzionali, ha tentato di creare una nuova gamma di provvedimenti legislativi atti a rafforzare il suo dominio sulla scena politica. Gli emendamenti in questione offrono inoltre al regime la possibilità di dimostrare la sua ricettività nei confronti delle richieste dell'opposizione, riguardo a una maggiore "democratizzazione" dell'Egitto, per mantenere un minimo di credibilità e legittimità a livello internazionale.

Che la legge d'emergenza venisse riaffermata per l'ennesima volta era prevedibile, meno prevedibili sono tuttavia le ripercussioni sul lungo termine.
Alcune difficili questioni sorgeranno a breve: riuscirà il regime a marginalizzare la Fratellanza senza provocare un'ulteriore radicalizzazione politica del movimento e un ulteriore ingrossamento della sua base popolare? I Fratelli accetteranno e tenteranno di lavorare all'interno dei nuovi confini istituzionali o esploreranno altre alternative, affrontando di petto la repressione governativa? In che modo la società egiziana e le organizzazioni impegnate per il rispetto dei diritti civili si relazioneranno ad un regime che contraddice la salvaguardia costituzionale dei diritti civili e delle libertà politiche?


* Michaela De Marco (n. 1983), studiosa di politica egiziana, frequenta la Facoltà di Studi arabo-islamici dell'Università "L’Orientale" di Napoli. Collabora a "Incontro" (rivista egiziana in lingua italiana) e a “PeaceReporter”.
michaela.demarco@gmail.com

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Il “maggio egiziano”. Il calvario di un popolo ridotto alla fame