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Palestina, il party cinico di Salam Fayyed

di Adri Nieuwhof* - 03/06/2008




La Conferenza palestinese sugli investimenti, tenuta dal 21 fino al 23 maggio a Betlemme, ha suscitato scalpore e opposizione da parte di numerose organizzazioni popolari palestinesi. Nel suo invito agli investitori il primo ministro del Autorità palestinese, Salam Fayyed, ha scritto “stiamo organizzando un party e il mondo intero è invitato”. Gli organizzatori si sono sottoposti a un tour de force per includere nell’agenda un programma per “rivitalizzare Gaza”, seppure escludendo esplicitamente dalla conferenza i dibattiti politici. È ovvio che la popolazione palestinese, che ogni giorno vive la realtà della rigorosa occupazione israeliana, trova difficile identificarsi con questa “occasione festiva” fortemente promossa dal Quartetto e dal suo inviato in Medio Oriente Tony Blair, dalla Portland Trust e da vari altri investitori. 

In occasione della conferenza a Betlemme, l’Autorità palestinese (Ap) ha schierato 2mila membri dei servizi di scurezza. Secondo l’Alternative Information Center, con sede a Betlemme e Gerusalemme, l’Ap si è accertata che il ricevimento di Fayyad e Blair non venga rovinato dalla “significativa opposizione popolare e dalla sfiducia palestinese nei confronti della conferenza”. Gruppi locali basati nell’area di Betlemme sono stati invitati esplicitamente a non organizzare proteste dicendo che altrimenti “ci saranno problemi.”

Un’organizzazione d’informazione palestinese, Ma’an News Agency, ha inoltre documentato la detenzione di una decina di persone a Betlemme come parte di una operazione di sicurezza che ha preceduto la conferenza. Due fonti nelle forze di sicurezza palestinese hanno confermato a Ma’an che una trentina di persone sono state detenute nella Muqata’a, il quartier generale dell’Ap a Betlemme. Hamas ha dichiarato a Ma’an che il 19 maggio sono stati arrestati 15 loro membri sospettati di progettare azioni politiche in attinenza alla conferenza. Un membro delle forze di sicurezza ha anche confermato l’arresto di circa 80 persone, la maggior parte proveniente dal villaggio di al-Khader, dove si trova il complesso che ospiterà parte della conferenza. Alcuni degli arrestati sono stati in seguito rilasciati, ha dichiarato la stessa forte a Ma’an.

Samer Jaber, uno dei leder del Comitato popolare contro il muro e la colonizzazione (Popular Committee Against the Wall and Colonization) dice che ad al-Khader “molta gente è stata arrestata, non conosciamo le esatte ragioni.” Jaber è critico verso le misure repressive in attinenza alla conferenza, “come possiamo discutere dello sviluppo, quando non abbiamo neanche il diritto allo spostamento?”

Gli organizzatori della conferenza hanno negoziato con Israele per facilitare l’apertura del ponte Allenby al confine con la Giordania fino a mezzanotte del 20 maggio, per far entrare le centinaia di uomini d’affari arabi giunti per la conferenza. Anche all’aeroporto internazionale Ben-Gurion di Tel Aviv si notava la presenza di ufficiali israeliani incaricati di rendere meno difficile l’entrata nel Paese dei uomini d’affari arabi. Agli investitori in visita è stato rilasciato un permesso speciale per girare in Israele dopo la conferenza. I permessi permettono ai partecipanti della conferenza di viaggiare liberamente attraverso i Territori palestinesi occupati e Israele, un privilegio che non viene accordato a la maggioranza di palestinesi e visitatori della Palestina.

Tuttavia se questi uomini d’affari volessero mai ritornare non avranno l’aiuto di Israele, l’Ap, Tony Blair o l’America nell’assicurarsi visti e permessi per il Paese. È rilevante che Israele abbia concesso l’arrivo di uomini d’affari da Gaza per la conferenza, mentre continua a negare l’accesso a genitori che per anni non hanno visto figli e nipoti, giovani interessati allo studio, o persone che necessitano urgente attenzione medica. In un’ulteriore dimostrazione del vero potere dietro alla conferenza, sulla segnaletica esposta al checkpoint tra Gerusalemme e Betlemme dove il benvenuto ai partecipanti della conferenza viene dato sia in inglese che arabo, le insegne dello stato d’Israele, la Polizia Israeliana e l’esercito Israeliano trovano spazio mentre quella dell’Autorità Palestinese e del tutto mancante.

La linea politica israeliana di mantenere deliberatamente la dipendenza dei palestinesi dall’economia israeliana sottolinea il loro interesse nel supportare e promuovere il “successo” della Conferenza palestinese sugli investimenti. Questo fatto non passa inosservato tra le organizzazioni Palestinesi. Nel luglio 2005, la National Boycott Divestment Sanctions Steering Committee, che rappresenta più di 170 sindacati palestinesi, associazioni e organizzazioni, fece appello a misure punitive, non violente, contro Israele perché accettasse l’obbligo di riconoscere il diritto palestinese alla autodeterminazione e aderisse pienamente alla legge internazionale. Invece, la presenza di quaranta rappresentati israeliani, tra ufficiali e non ufficiali, così come il supporto finanziario per la conferenza da parte di compagnie fortemente legate a Israele va contro il boicottaggio e le sanzioni volute dalle organizzazioni palestinesi.

Investitori israeliani sperano di fare accordi che gli assicureranno l’accesso ai mercati e alle preziose risorse palestinesi, o che gli permettano di accedere all’enorme, ma prima d’ora ostile, mercato arabo tramite interlocutori palestinesi. Compagnie americane sono tra gli sponsor maggiori della conferenza, incluso la compagnia tecnologica Intel. Intel, con circa otto miliardi di dollari investiti in Israele, aveva anche costruito una fabbrica in Iraq al-Manchiya, un villaggio palestinese nel nordest di Gaza che e stato distrutto nel 1948. Un’altro sponsor della conferenza è Booz Allen Hamilton, una ditta di consulenza direzionale con forti legami con i servizi segreti americani e il Dipartimento della difesa.

Israele ha un altro interesse economico nell’aumento del commercio palestinese. Nella situazione attuale le merci possono solo essere importate e esportate in Palestina tramite i porti, gli accessi e i aeroporti israeliani. I commercianti palestinesi devono pagare tasse e dogane israeliane, aumentando così il prezzo dei beni e servizi nei Territori occupati, mentre le casse del governo israeliano si riempiono. Una delle questioni da discutere alla conferenza è la creazione di zone industriali dove Israele può investire mentre usufruisce della manodopera palestinese meno costosa. Secondo il Comitato popolare contro il muro dell’apartheid, “Tali zone aumenterebbero il dominio israeliano sull’economia Palestinese e rafforzerebbero la natura apartheid dell’occupazione.” 

Fayyad ha dichiarato di voler costruire un economia di mercato concorrenziale nei territori palestinesi. La rete di ong palestinesi, che unisce più di 120 organizzazioni nella Cisgiordania e Gaza, ha contestato questa valutazione ottimista indicando il rapporto dell’Ap ai Paesi donatori della conferenza a Londra il 2 maggio 2008, “rilevando che la prestazione economica nel 2007 e il 2008 e rimasta impasse, con una crescita dello zero percento.” Il rapporto documenta anche la crescita nel tasso di povertà sin dal inizio del 2008, e il tasso della disoccupazione che a raggiunto il 22 percento secondo la Palestinian Central Bureau of Statistics (ufficio centrale per la statistica palestinese), che spiega “queste tendenze sono anche documentate nei rapporti della World Bank e della Humanitarian Coordination Office del Segretario generale delle Nazioni Unite, che ritiene la crisi umanitaria dovuta alla devastazione economica creata dall’assedio e la continua politica di chiusura attuata dalle autorità occupanti in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme e la Striscia di Gaza”.

Secondo la rete di ong palestinesi, è impossibile realizzare dei successi significativi al livello economico, senza una strategia concreta di azione politica per la trasformazione della situazione attuale. Un processo d’investimento estero nel settore privato palestinese dovrebbe quindi essere complessivamente legato all’agenda nazionale mirata alla liberazione e all’indipendenza dall’occupazione, compresa nella struttura della legittimità internazionale. Il presidente del Comitato economico palestinese per lo sviluppo e la Rrcostruzione, Muhammad Shtayyeh, ha sostenuto questa versione sul New York Times, dicendo “senza una soluzione politica qualsiasi opportunità per il miglioramento evaporerà. Nessuno investirà”.

(Traduzione di Andrea Dessi per Osservatorio Iraq)

The Electronic Intifada
L’articolo in lingua originale

* Adri Nieuwhof è un consulente e attivista per i diritti umani