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Semi, guerre e carestie - Capitolo XIII

di Romolo Gobbi - 04/06/2008

Autore: RomoloGobbi | Data: 02/06/2008 16.46.22
13.La schiavitù americana

Con le "leggi dei poveri" riapparve in Europa la schiavitù, come estremo rimedio contro il vagabondaggio dei contadini cacciati con la recinzione delle terre. La schiavitù invece era continuata sistematicamente nei territori dominati dall'Islam, anche se negli stati musulmani: "l'avanzamento sociale dello schiavo fino alle più alte cariche era spesso più agevole che nell'Europa feudale".(1) In realtà anche in questo continente erano rimaste sacche di schiavitù per i prigionieri di guerra destinati ai remi delle galere spagnole, francesi e veneziane accanto a delinquenti comuni che avevano subito la stessa condanna. Inoltre manodopera schiavile di africani, circa 10.000, nei secoli XV-XVI era presente in paesi dell'Europa meridionale e in una certa misura furono occupati in agricoltura: "di certo, si faceva ricorso ad esso nelle poche piantagioni di canna da zucchero del Portogallo e della Spagna meridionale. Il fenomeno doveva presentare proporzioni più rilevanti a Madera, dove nel secolo XV i Portoghesi sviluppavano una produzione di zucchero su vasta scala. In misura minore doveva venire lo stesso nelle Canarie e in Sicilia; qui gli schiavi venivano importati dal Portogallo o dall'odierna Libia".(2)
Ma fu nell'isola di São Tomé, scoperta nel 1471, poco lontano dalle coste della Guinea, che venne impiantata su vasta scala la coltivazione della canna da zucchero: "basata sull'impiego di schiavi che possiamo considerare un modello per le epoche successive [...] Le condizioni di vita degli schiavi erano pessime. Per prima cosa essi dovevano disboscare il terreno per preparare l'arativa, sulla base di piccoli appezzamenti loro assegnati che potevano lavorare soltanto il sabato; per il resto della settimana, esclusa la domenica, dovevano lavorare per il padrone. Le fonti pongono chiaramente in luce il loro stato di denutrizione e la propensione a contrarre malattie".(3) Secondo la logica lo schiavo avrebbe dovuto essere trattato bene, almeno come un animale domestico, visto che si trattava di un capitale che se deperiva perdeva valore, ma quando la disponibilità di schiavi era alta: "dal momento che il suo posto può essere colmato con l'importazione di riserve straniere, la durata della sua vita diventa meno importante della produttività di questa vita finché dura. Dunque, nei paesi importatori di schiavi è massima dell'impiego di schiavi che l'economia più efficace consiste nello spremere il maggior rendimento possibile nel più breve tempo possibile dal bestiame umano (human chattle). Proprio nelle coltivazioni tropicali, dove spesso i profitti annuali eguagliano il capitale complessivo delle piantagioni, la vita dei negri viene sacrificata senza nessuno scrupolo".(4) Ma a differenza delle bestie gli schiavi avevano sentimenti e spirito di conservazione: "Gli schiavi fuggivano dalle piantagioni rifugiandosi sui monti, o nelle boscaglie e situate al centro dell'isola; qui organizzavano incursioni nei possedimenti dei bianchi, uccidevano i padroni, ed anche i negri a loro fedeli".(5)
L'isola di São Tomé oltre ad essere stata la prima a sperimentare il "modello" della nuova schiavitù, divenne dopo la scoperta dell'America uno dei principali scali di transito della tratta degli schiavi verso l'America latina. Trafficanti portoghesi, spagnoli, olandesi, inglesi e francesi si arricchirono con questo losco traffico, con la complicità dei re dell'Africa occidentale che fornivano gli schiavi in cambio di merci europee: "Una volta trasferiti sulla costa, gli schiavi venivano alloggiati in squallidi tuguri, in attesa che giungessero le navi che li avrebbero trasportati oltre Atlantico; nel frattempo, erano proprietà dei mercanti o delle compagnie di commercio, responsabili tra l'altro del loro mantenimento. Ai padroni, pertanto, tornava utile che la mortalità fosse più bassa possibile; certo, il vettovagliamento fornito non doveva essere tra i migliori e i più abbondanti [...] prima di essere imbarcati, gli schiavi venivano marchiati a fuoco, così che in futuro non sorgessero dubbi sul loro status sociale. Veniva poi celebrato il battesimo, in particolare se gli schiavi erano destinati all'America spagnola o al Brasile; si trattava di un battesimo collettivo, del quale gli interessati non capivano il senso".(6) Prima di essere imbarcati gli schiavi venivano incatenati sia per evitare ribellioni, sia per impedire che alcuni di loro si suicidassero e quindi venivano stipati sotto coperta e durante il viaggio potevano uscire all'aria aperta solo una volta al giorno sotto scorta: "Tuttavia i decessi erano ugualmente frequenti e in molti casi interessavano il 15% o più dei negri trasportati [...] Sulle navi negriere dominavano cattive condizioni sanitarie, il cibo era pessimo, serpeggiavano le epidemie, flagello che colpiva sia gli schiavi che la ciurma".(7)
Una volta giunti in America, soprattutto nelle colonie portoghesi, veniva applicato il modello sperimentato a São Tomé, per cui allo schiavo veniva assegnato un piccolo lotto di terreno per mantenere se stesso e la propria famiglia, ma vi poteva lavorare solo un giorno alla settimana. Gli altri giorni lavorava per i padroni: "Il lavoro nelle piantagioni era intenso e faticoso: in genere, durava dall'alba al tramonto con qualche interruzione per i pasti. Nei periodi più "caldi", cioè durante le semine e i raccolti, poteva protrarsi fino a tarda notte [...] La breve durata del periodo produttivo di uno schiavo, più o meno 7 anni, prova che il lavoro, assai duro, era in grado di assorbire molto rapidamente le sue energie".(8) Gli schiavi in Brasile erano totalmente sottoposti all'autorità dei padroni, per l'assenza di un controllo da parte dello stato portoghese, e quindi in caso di tentativi di fuga o ribellione potevano essere sottoposti "a crudeli pene corporali (fustigazioni e torture), causandone spesso la morte"(9)
Nella seconda metà del '700 lo stato portoghese cercò di attenuare il potere dei padroni sugli schiavi, ma con scarso successo. Nel frattempo gli schiavi neri in Brasile avevano raggiunto la vetta di 2 milioni di unità, e non crebbero ulteriormente perché cominciò, a partire dal secolo XIX, l'immigrazione di manodopera libera dall'Europa e dall'Asia. La schiavitù in Brasile venne quindi abolita nel 1888.
La schiavitù nelle colonie spagnole in America cominciò subito dopo la scoperta di Colombo e la mattanza degli abitanti di Hispaniola descritta dal missionario Las Casas: "Essere crudeli per gli spagnoli era la norma. Più che crudeli, gli spagnoli si comportavano in modo così feroce, perché, in seguito a quel trattamento duro e umiliante, gli indiani non osassero più considerarsi esseri umani [...] schiacciati dai cavalli, tagliati a pezzi con le spade, divorati e dilaniati dai cani, molti sepolti vivi, dopo aver sofferto ogni tipo di raffinate torture ... decisero di abbandonarsi al loro infelice destino senza combattere, consegnandosi nelle mani dei loro carnefici così che facessero di loro quel che volevano".(10) Quel che non poté la spada lo ottennero le malattie portate dagli europei e alla fine gli abitanti di Haiti sopravvissuti non superarono le 200 persone, per cui si rese indispensabile far arrivare degli schiavi dall'Africa per poter sfruttare la fertile isola: "che nel 1789 produceva i tre quarti dello zucchero disponibile a livello mondiale era al primo posto per la produzione del caffè, del cotone, dell'indaco e del rhum".(11) Ma la tratta degli schiavi si diresse anche verso le altre colonie spagnole e in particolare verso il Messico meridionale, il Venezuela, la Colombia, il Perù, l'Equador e altre zone del centro America. Gli schiavi vennero usati nelle piantagioni di queste colonie per la produzione della canna da zucchero, del tabacco, del cotone, del cacao e della coca. A partire dal XVIII secolo furono importati in gran numero schiavi a Cuba, sempre in seguito ai massacri perpetrati dagli spagnoli, per la produzione e la raffinazione della canna da zucchero. Nelle colonie spagnole lo stato cercò di intervenire per prevenire gli eccessi dei proprietari nei confronti degli schiavi, ma senza grande successo, tanto che: "Alcuni studiosi ritengono la sorte degli schiavi negri nelle colonie spagnole fosse addirittura peggiore di quella dei loro fratelli in Brasile".(12) Dunque anche nelle colonie spagnole si moltiplicarono le fughe e le ribellioni degli schiavi.
Un'altra potenza europea, la Francia, cominciò la colonizzazione di alcune isole dei Caraibi: la parte occidentale di San Domingo, la Martinica, Sain Lucie e altre minori. Il primo tentativo di colonizzazione francese venne fatto con i cosiddetti "schiavi bianchi", galeotti condannati al soggiorno obbligato nelle isole o di poveri che accettassero di lavorare nelle piantagioni per il numero di anni sufficiente a rimborsare il costo del loro viaggio in America. Ma questi "schiavi bianchi" non furono sufficienti e quindi cominciò la tratta degli africani anche per i territori francesi, che arricchì i mercanti di Nantes e Bordeaux che si dedicarono a questo commercio: "fra il 1701 e il 1810 nelle isole francesi dei Caraibi sarebbero stati importati più di 1.348.000 neri, il che equivale al 22,3% di tutto il commercio degli schiavi africano verso l'America".(13) I francesi fin dal 1685 emanarono un Codice nero per controllare la gran massa di neri delle Antille: "I neri rappresentavano un bene mobile, del quale il padrone poteva disporre a suo piacimento (tuttavia, non poteva separare madre e figli all'atto della vendita, se questi ultimi erano minorenni). Il proprietario poteva infliggere ai suoi schiavi delle pene ma non quella di morte o la castrazione [...] gli schiavi non avevano il diritto di circolare armati [...] non potevano altresì consumare bevande alcoliche, o partecipare ad assembramenti assieme a confratelli di altre piantagioni. Gli attentati alla vita o all'integrità fisica del padrone, della sua famiglia e di uomini bianchi in genere, così come alcuni tipi di furto erano puniti con una morte atroce".(14) Quali fossero le crudeltà commesse dal coloni francesi nei confronti dei loro schiavi risulta dalla testimonianza di un ex schiavo: "appendevano gli uomini a testa in giù, li affogavano dentro ai sacchi, li crocifiggevano sulle assi, li seppellivano vivi, li schiacciavano nei mortai... li obbligavano a mangiare merda ... li abbandonavano vivi ad essere divorati dagli insetti, o sui formicai, li legavano ai pali nelle paludi per farli mangiare dalle zanzare ... li gettavano in pentoloni di sciroppo di canna bollente" quando non li "scorticavano con la frusta".(15)
Non fu senza ragione se nel 1790 un gruppo di mulatti organizzò una insurrezione che però fu stroncata sul nascere: "i capi del movimento - Vincent Ogé, suo fratello e un certo Chavannes - furono orrendamente giustiziati col supplizio della ruota".(16) L'anno successivo scoppiò una vera rivolta di schiavi neri con violenze inaudite e devastazioni da entrambe le parti. Nel 1793 intervenne la Convenzione parigina a dichiarare l'abolizione della schiavitù nelle colonie francesi. Gli insorti, comandati da Pierre-Dominique (François) Toussaint Louverture, del quale "si diceva che venisse da una famiglia di capitribù africani, e che possedesse doti di stregone"(17), sconfissero i padroni, costrinsero alla capitolazione il corpo di spedizione inglese e cacciarono gli spagnoli dall'altra parte dell'isola. Ma anche gli Stati Uniti furono spaventati dalla rivolta degli schiavi di Haiti (il nuovo nome dell'isola) e quando Napoleone inviò un corpo di spedizione per riconquistare l'isola, essi inviarono 750.000 dollari in aiuti militari e truppe. Gli insorti si ritirarono nell'interno dell'isola e cominciarono la guerriglia contro le truppe francesi, che dopo aver subito notevoli perdite, anche in seguito a un'epidemia di febbre gialla, nel 1803 dovettero arrendersi. Ma: "La vittoria dei ribelli ebbe un prezzo tremendo: gran parte dei raccolti e dei beni agricoli del paese furono cancellati, insieme a circa un terzo della popolazione. Inoltre la loro vittoria provocò orrore nei vicini paesi schiavisti, e questi appoggiarono le pretese francesi di ottenere enormi riparazioni ...".(18) Nel 1833 la Francia riconobbe l'indipendenza di Haiti, come aveva già fatto l'Inghilterra: "Gli USA furono l'ultima grande potenza a insistere sulla necessità di mantenere un ostracismo nei confronti di Haiti e la riconobbero solo nel 1862. Con l'inizio della guerra civile americana, la liberazione degli schiavi decisa da Haiti non era più un ostacolo al riconoscimento del nuovo stato".(19)
La colonizzazione inglese del Nord America cominciò in ritardo: la prima colonia britannica fu fondata nel maggio del 1606 in Virginia, dove sbarcarono tre piccole navi che avevano risalito il fiume James. Lo scopo immediato degli inglesi era quello di trovare oro, così come era stato per gli spagnoli, ma vi trovarono fame e morte: "Dio (adirato con noi) ci ha afflitto con una carestia e un'epidemia talmente violente che i vivi riuscivano a malapena a seppellire i morti".(20) Solo un terzo dei membri della spedizione riuscì a sopravvivere grazie all'aiuto dei nativi americani.
Ciò nonostante ben presto gli inglesi, altri ne arrivarono, entrarono in conflitto cogli indiani e avendone catturati alcuni pensarono di ridurli in schiavitù e di usarli come manodopera per la coltivazione del tabacco, una pianta locale, il cui uso divenne immensamente popolare in Europa. Ma le tribù locali sfuggirono a questa sorte perché erano distribuite su vasti territori e gli inglesi erano molto meno numerosi. Ma poiché: "I profitti di una piantagione di tabacco, benché inferiore a quelli dello zucchero, sono maggiori di quelli del grano ..."(21) la coltura del tabacco venne portata avanti in un primo tempo con manodopera fatta arrivare dall'Inghilterra, i cosiddetti "servi a contratto", che si erano obbligati a lavorare finché avessero ripagato il prezzo del viaggio in America, dopo di che, circa sette anni, avrebbero avuto un appezzamento di terreno. Ma, quasi per caso, nel 1619: "Negli ultimi giorni di agosto è venuto qui un uomo di guerra olandese che ci ha venduto venti Negars".(22) Da quel momento la richiesta di schiavi negri divenne sistematica non solo per la coltivazione del tabacco in Virginia, ma anche per altre colonie inglesi del Nord America, che svilupparono colture tropicali, soprattutto il cotone, nella Georgia e nella Carolina del Sud. Il numero degli schiavi importati dalla prima metà del XVII alla fine del XVIII secolo furono circa 400.000, ma al momento dell'indipendenza dalla Gran Bretagna negli Stati Uniti furono registrati circa un milione di negri. Questa differenza era dovuta al fatto: "che i piantatori della Virginia, e poi quelli della Louisiana e degli altri stati, si specializzarono, oltreché in campo agricolo, anche nell'"allevamento" degli schiavi da destinare ai mercati del cosiddetto Black Belt&".(23) Gli schiavi venivano venduti in aste speciali durante le quali "i negri venivano esaminati minuziosamente (dita, mani, denti) ed anche fatti spogliare esattamente come se si fosse trattato di cavalli o di buoi".(24) Il loro prezzo variò nel tempo ma è stato calcolato un: "rendimento medio per l'investimento in schiavi maschi compreso tra il 4,5 e l'8%, che per le regioni più fertili del Sud-Ovest poteva arrivare al 13%; per le femmine tale rendimento variava tra il 7 e l'8%, a seconda del numero di figli che potevano essere immessi nella piantagione o sul mercato".(25) Infatti secondo una legge della Louisiana la madre non poteva essere separata dai figli al di sotto dei dieci anni: "ma in effetti essi cominciavano ad essere venduti a otto anni; il Mississippi, la Georgia e l'Alabama avevano pure leggi del genere Altrove si cominciavano a vendere i bimbi dopo i sei anni. In generale il compratore era tenuto ad acquistare la madre con i figli. Vendite di piccini inferiori a sei anni certamente non mancavano, ma erano eccezione e non regola".(26) Ai bambini non era richiesto alcun lavoro fino all'età di dodici anni, quando cominciavano a dover produrre un quarto degli adulti. Comunque in almeno un terzo degli stati schiavisti era vietato insegnare agli schiavi a leggere e scrivere e i padroni che lo facevano commettevano un reato punibile con la prigione: "ed il processo avvenuto a Norfolk, in Virginia, di una certa signora Douglas, condannata ad un mese di reclusione per aver insegnato a leggere ad alcuni schiavi lo prova".(27)
In un primo periodo la tratta degli schiavi neri verso l'America del Nord venne svolta da navi inglesi od olandesi, ma in un secondo tempo il trasporto avvenne su navi degli Stati Uniti: "Le condizioni sulle navi negriere battenti bandiera statunitense erano peggiori che sulle unità inglesi. Sulle piccole imbarcazioni americane la calca era impressionante, il vettovagliamento lasciava molto a desiderare; le epidemie, perciò, finivano per decimare gli schiavi e lo stesso equipaggio. Si calcola che le perdite medie in ogni spedizione fossero del 12%, ma ovviamente in molti casi la percentuale finiva per essere superiore".(28) La maggior parte delle imbarcazioni americane appartenevano ad armatori del Nord a cui andavano i lauti guadagni della tratta: "I puritani della Nuova Inghilterra presero la schiavitù e la tratta con tutta serietà come una delle speciali benedizioni riservate da Dio ai suoi eletti, non fu quindi per motivi morali o umanitari che dopo qualche tempo la schiavitù nel Nord si estinse e scomparve".(29) Infatti quando venne abolita la tratta degli schiavi nel 1808, i nordisti puritani continuarono a fare affari puliti partendo dai porti del Nord verso le Antille dove caricavano canna da zucchero o melassa che riportavano in patria per trasformarla in rum, col quale ripartivano verso l'Africa: "ove il rum veniva scambiato in ... schiavi, in ragione di un barile di rum da quattro dollari per ogni singolo schiavo".(30) Gli schiavi venivano sbarcati nei porti del Sud, da dove le navi ripartivano per andare a caricare melassa o canna da zucchero nelle Antille, per poi fare ritorno con un carico "legale" nei porti del nord. Per avere un'idea degli enormi guadagni che si potevano fare con la tratta degli schiavi è stato calcolato che uno schiavo pagato quattro dollari raggiunse prezzi sempre più elevati "salendo dai 400 dollari del 1802 ai 1000 del 1837".(31) Essendo stati pagati a così caro prezzo era ovvio che venissero sfruttati al massimo: "Questi schiavi erano impegnati dall'alba al cader della notte, tranne la domenica e talvolta il sabato; d'estate pertanto, quelli impiegati nei campi compivano sedici ore di faticoso lavoro, con un breve intervallo a mezzodì".(32) Il lavoro veniva regolarmente stimolato dai colpi di frusta dei sorveglianti che punivano sia i ritardi che la svogliatezza: "la più severa punizione che Olmsted vide nel Sud fu quella inflitta ad una ragazza negra, per pigrizia, a cui furono date circa sessanta frustate sulla pelle nuda".(33) Pene più severe toccavano agli schiavi fuggiaschi, lo stesso giornalista Olmsted scrisse che "un tale in Georgia quando un negro fuggiasco veniva ripreso soleva strappargli con le tenaglie un'unghia di un piede; alla seconda fuga due. In Alabama gli fu detto che quando i cani raggiungevano un fuggiasco i cacciatori in genere li richiamavano: ma se il negro opponeva resistenza, lo lasciavano fare a brani: un alabamiano ammise che senz'altro si trattava di un cosa barbara, ma disse che era necessaria".(34) Naturalmente per reati più gravi erano previste pene estreme che venivano applicate senza alcun processo immediatamente dopo la cattura del presunto colpevole: il linciaggio. Questo veniva normalmente attuato mediante impiccagione, ma in Georgia uno schiavo che aveva "bestialmente massacrato" il padrone: "fu bruciato vivo a fuoco lento sul posto e le sue ceneri disperse alla presenza di migliaia di schiavi; quindi alcuni magistrati e pastori presenti fecero discorsi ammonitori ai negri".(35)
Ma non tutti i pastori erano conniventi coi padroni e i loro metodi: "Lo stesso Olmsted, visitando a Savannah nella Georgia un cimitero di neri, vi trovò l'epitaffio di Andrew Brian, pastore del Vangelo, egli era stato imprigionato e duramente frustato e durante la tortura aveva detto di essere lieto di soffrire per Cristo. Olmsted a questo proposito dichiara di aver udito citare due occasione in cui pubblici servizi religiosi erano stati interrotti e i predicatori, neri assai stimabili, pubblicamente frustati".(36) Ma forse questi episodi non furono tanto rari al punto che tra il 1830 e il 1840: "Le istituzioni ecclesiastiche del Sud modificavano radicalmente il loro precedente atteggiamento nei confronti della schiavitù, passando, dall'originaria posizione di compromesso con le manifestazioni del male, ad una marcata rivendicazione di uno stato di purezza morale".(37) La cosa che invece appare incredibile fu la condanna di questa scelta da parte dei protestanti del nord che: "condannando questa posizione, contribuirono a creare un momento di grande tensione all'interno delle istituzioni cristiane in America, che portò ad un frazionamento settario da cui trassero origine la Chiesa metodista e quella battista".(38) Ma in quegli anni tutti gli Stati Uniti erano interessati da un nuovo fervore, che poneva al centro il rinnovamento morale del paese.
Il Secondo Grande Risveglio religioso cominciato all'inizio del 1800 nell'ovest della frontiera si estese man mano verso est culminando dopo il 1820 nella parte occidentale del distretto di New York chiamato il "distretto ardente ... perché regolarmente infiammato di eccitazione religiosa".(39) Qui emerse uno dei più grandi predicatori del risveglio religioso, Charles Grandison Finney, che in contrasto con la teoria della predestinazione calvinista, predicava la via della salvezza attraverso le opere di bene. Si formarono dei gruppi spontanei tesi a eliminare il male in ogni sua forma e spinti dalla "necessità di riformare l'ordine sociale e realizzare il regno di Cristo sulla terra [...] ci furono crociate a favore della pace, della temperanza, dell'istruzione, delle riforme carcerarie, dei diritti delle donne, contro lo schiavismo [...] alcuni volevano vietare l'uso del denaro, altri si diedero alla frenologia, all'ipnotismo, all'idropatia e allo spiritismo, ma si trattò solo di bizzarrie stravaganti a un movimento molto più realistico".(40) Ma il movimento che assunse maggior proselitismo e anche maggior influenza fu quello antischiavista e molti dei suoi capi furono formati dalla predicazione di Finney. "Uno tra i più famosi convertiti di Finney fu Theodore Dwight Weld, il maggiore degli abolizionisti dell'Ovest 'eloquente come un angelo e potente come un tuono', che reclutò una schiera di settanta apostoli dell'antischiavismo, li addestrò nelle tecniche di reviviscenza religiosa alla Finney, e li mandò attorno a consolidare il movimento emancipazionista nel Nord. I loro maggiori successi furono mietuti esattamente in quelle comunità ove la predicazione di Finney aveva preparato il terreno".(41)
Naturalmente il movimento antischiavista cresceva anche in relazione all'aggravarsi del dissidio tra stati del nord e quelli del sud schiavista. Nel 1832 quando la Carolina abrogò la legge che imponeva "la tassa abominevole" a protezione della produzione industriale americana, concentrata soprattutto nel nord, il presidente Jackson sentenziò "Il loro obiettivo è la secessione e la secessione portata avanti con la forza equivale al tradimento".(42) In seguito si trovò un compromesso, ma la Carolina del Sud non rinunciò al proprio diritto di abrogare le leggi dell'Unione che ritenesse ingiuste. In effetti gli Stati del Sud si sentivano sotto pressione anche da parte del movimento abolizionista al quale facevano risalire alcune rivolte di schiavi come quella guidata da Denmark Vesey, a Charleston, nel 1822, o quella capeggiata da Nat Turner nel 1831 in Virginia. Fu così che negli Stati del Sud si cominciò a censurare la corrispondenza proveniente dal nord, alla caccia di opuscoli abolizionisti che venivano prontamente sequestrati come materiali "incendiari". Queste misure non fecero che aumentare i sospetti degli abolizionisti di una congiura antidemocratica, voluta dai "signori della filanda e quelli della frusta", tra gli industriali del nord e gli schiavisti del sud: "Se i proprietari di schiavi tendevano a vedere l'ombra di un abolizionista dietro qualsiasi venditore ambulante o insegnante yankee, gli abolizionisti si convinsero definitivamente che l'accanimento con cui i loro nemici difendevano il sistema schiavista fosse la prova dell'esistenza di una cospirazione diretta a sovvertire i principi repubblicani".(43)
Il movimento antiabolizionista ebbe il suo epicentro nella Nuova Inghilterra dalla quale provenivano la maggior parte dei capi del movimento: "l'ottantacinque per cento di questi abolizionisti veniva dagli Stati del Nord, il sessanta per cento dalla Nuova Inghilterra, il trenta per cento dal solo Massachusetts. (...)'appartenente al miglior ceppo della Nuova Inghilterra', 'discendente dai Pellegrini' ".(44) Il gruppo più importante fu quello di Boston che nel 1831 fondò quello che sarebbe diventato il portavoce del movimento abolizionista il Liberator. Il movimento abolizionista era comunque un movimento di élite la cui influenza era ulteriormente diminuita dalle divisioni interne: infatti oltre agli abolizionisti immediatisti, esistevano i sostenitori di una graduale riduzione della schiavitù anche attraverso una nuova deportazione dei neri in Africa.
Ma nonostante questa debolezza intrinseca l'abolizionismo ebbe un'importanza decisiva nello scatenamento degli odi tra Nord e Sud, e anche se non direttamente della guerra. Senz'altro la carica apocalittica sempre esistita nella Nuova Inghilterra giocò un ruolo nell'accentuare la contrapposizione tra il bene, l'abolizionismo, e il male, lo schiavismo. Harriette Beecher Stowe, l'autrice del fondamentale, per la causa abolizionista, romanzo La capanna dello zio Tom, pur essendo un'abolizionista moderata, in un racconto del 1878 ricostruì una celebrazione del 4 Luglio di prima della guerra civile nella quale vennero fatte: "suppliche per il glorioso futuro degli Stati Uniti d'America che essi possano essere scelti come vasi destinati a portare la luce della libertà e della religione attraverso tutta la terra e portare il giorno del grande millennio, quando le guerre cesseranno e tutto il mondo sarà libero dalla schiavitù del male, ed esulterà nella luce del Signore".(45) Che questo fosse lo spirito che aleggiava nel Nord degli Stati Uniti prima della guerra è confermato anche dai discorsi di uno dei più illustri storici ecclesiastici Philip Schaff, che nel 1854 scriveva: "Allora [verrà] il millennio della giustizia. Questa [...] [è] la missione distintiva della nazione americana, quella di rappresentare un contratto, ben specifico e tuttavia onnicomprensivo. In quanto figli dei risoluti puritani, siamo la nazione del futuro [...] Il primo Adamo era un tipo e una profezia del Secondo Adamo: lo stesso nome di Abramo indicava le felicità messianiche che sarebbero scaturite dal [...] [nostro] seme e rifluite sulle nazioni della terra [...] [ma] nella nostra vita nazionale ci sono tendenze che incutono terrore. C'è un falso americanismo come ce n'è uno vero. Basta solo ricordarvi le tendenze sregolate e radicali dei nostri giovani; gli schemi pirateschi dei nostri sostenitori del destino manifesto che inghiottirebbero in un solo boccone Cuba, tutta l'America centrale il Messico e il Canada [...] Dio ci ha salvato da pericoli più grandi e non ci abbandonerà fino a che non avrà compiuto i Suoi propositi per mezzo di noi".(46)
Lo slogan del "Destino manifesto" era stato inventato da un giornalista di New York e rappresentava l'ambizione degli Stati Uniti ad inglobare tutta l'America. Secondo il World di New York il destino degli USA era: "di costruire il nuovo mondo con le istituzioni della civiltà cristiana, di estendere sopra i suoi vasti spazi i trionfi dell'industriosità, dell'intelligenza e della virtù ... Noi non possiamo trascurare questo disegno senza sfidare la volontà dei cieli, la coscienza del mondo civile e l'obiettivo innegabile dei nostri padri".(47) Ma che dietro questo slogan del Destino Manifesto si celassero esplicite mire imperialiste non era un semplice sospetto di padre Philp Schaff o dei pacifisti; infatti Henry J. Raymond, un giornalista repubblicano e fondatore del "New York Times" così scrisse delle conseguenze di una possibile secessione: "Saremo costretti a rinunciare ... a tutte le possibilità di future conquiste in Messico, America Centrale e Indie Occidentali ... Avete voi visto qualsiasi indicazione che possa far sperare in un simile straordinario sacrificio da parte del nostro popolo? C'è forse nel nostro passato qualcosa che vi faccia pensare che noi trascureremo talmente lo sviluppo della grandezza nazionale? ... Nove decimi del nostro popolo negli Stati del Nord e del Nord Ovest sono pronti ad affrontare una guerra più lunga di quella per l'Indipendenza piuttosto di dover così rinunciare alle loro aspirazioni e alle loro speranze. Non c'è paese al mondo che tanto ambisca allo sviluppo ed al potere "così profondamente imbevuto dallo spirito di conquista" così ricco di sogni di più vasti domini quanto il nostro".(48)
Che vi fossero mire espansionistiche degli Stati Uniti verso tutto il continente americano era noto anche all'estero, soprattutto dopo l'enunciazione della dottrina di Monroe, ma un attento osservatore della situazione, Giuseppe Bertinatti, rappresentante italiano a Washington, in un dispaccio del febbraio 1861 fece una distinzione: "Pel momento che corre gli Stati del Sud, collo staccarsi che fanno dal Nord, intendono dar base ad una nuova federazione che si estenda dalle rive del Potomac a quelle dell'Orenoco, vogliono acquistare Cuba in qualunque modo ed esercitare liberamente la tratta [degli schiavi] attualmente inceppata dalle leggi federali [...] Nonostante qualunque denegazione in contrario tale è il piano dei secessionisti attuali, di cui conosco i "leaders" da più anni. Gli Stati del Nord, benché carezzino a loro vicenda l'annessione del Canada, e guardino al polo, si sono però opposti in passato alle tendenze del Sud per amor di conservatorismo; e questa opposizione è appunto quella che diede origine ai due partiti geografici previsti da G. Washington, e che tosto o tardi, venendo a conflitto, avrebber rotta la confederazione".(49)
Dunque la schiavitù fu solo un pretesto per lo scontro, mentre per essa era sempre possibile un compromesso come quello raggiunto nel 1850, secondo il quale, per mantenere l'equilibrio tra stati liberi e stati schiavisti, la California sarebbe entrata a far parte dell'Unione come stato libero, mentre la posizione del Nuovo Messico restò indefinita. La parte del compromesso che maggiormente offese gli abolizionisti fu quella sulla restituzione degli schiavi fuggiti, mentre essi avevano organizzato l'aiuto ai neri che volevano fuggire, la cosiddetta underground railroad. Un altro compromesso venne raggiunto nel 1854, nonostante le proteste dell'opinione pubblica e l'pposizione di Abramo Lincoln, il quale dichiarò che si trattava di un doppio errore: "un errore per quelli che saranno i suoi effetti immediati, e cioè il fatto che la schiavitù si espanda anche negli Stati del Kansas e del Nebraska, e un errore per quanto riguarda i suoi principi di fondo, dal momento che questa legge consente che la schiavitù si insinui in qualsiasi altra parte del mondo in cui esistono uomini disposti a sopportarla".(50) La legge venne approvata, ma si opposero una parte dei democratici e una parte di ex membri del partito whig che in seguito diedero vita al partito repubblicano. Nel giorno del marzo 1854 in cui la legge venne approvata dal Senato i sudisti spararono salve di cannone per festeggiare la vittoria, mentre il clero di Chicago fece suonare le campane a morto per un'ora impedendo al senatore Douglas di parlare in difesa della legge da lui proposta.
Ancora nel marzo del 1860 Abramo Lincoln, in un discorso a New Haven Connecticut sostenne una posizione di compromesso sulla schiavitù: "Ora io non voglio essere frainteso, e nemmeno offrire il minimo appiglio per un tale fraintendimento. Non voglio dire che dovremmo attaccare la schiavitù dove esiste. A me pare che se dovessimo formare un nuovo governo, in considerazione di una reale presenza della schiavitù, troveremo necessario strutturare un tale governo come fecero i nostri padri; dando al padrone degli schiavi l'intero controllo dove questo sistema fosse già stabilito, avremo il potere di frenarlo se tentasse di oltrepassare questi limiti".(51) Per queste posizioni moderate, la convenzione repubblicana riunita a Chicago il 16 maggio dello stesso anno lo scelse come candidato a presidente degli Stati Uniti, ma anche perché: "i suoi fiancheggiatori, guidati dal giudice di Chicago David Davis, riempirono astutamente la sala della convenzione con rumorosi sostenitori di Lincoln e, fatto decisamente importante, si assicurarono l'appoggio delle delegazioni principali promettendo in forma più o meno esplicita alcuni incarichi nel gabinetto. In questo modo, alla terza votazione, Lincoln venne nominato candidato".(52)
Nelle elezioni Lincoln ottenne una vittoria netta nel collegio elettorale, e, con 1.866.452 voti, il 40% del voto popolare; non ebbe però nemmeno un voto in dieci stati, mentre il suo elettorato fu concentrato negli stati liberi. Immediatamente dopo l'annuncio della vittoria repubblicana cominciò il movimento secessionista e il 20 dicembre 1860 una convenzione dello Stato del South Carolina emise un'ordinanza di secessione dell'Unione. Nel giro di pochi mesi altri sei stati dichiararono la loro secessione: Mississippi, Florida, Alabama, Georgia, Louisiana e Texas; e tra aprile e maggio del 1861 si aggiunsero Virginia, Arkansas, Tennessee e Carolina del Nord.
Durante la crisi della secessione il patriottismo del Nord venne scatenato con tutti i mezzi e con tutte le argomentazioni: sacerdoti, giornalisti e politici inneggiavano all'Unione e condannavano gli Stati secessionisti. Il "Courier and Enquirer" di New York sintetizzò i sentimenti patriottici degli yankees: "Noi amiamo l'Unione, perché in casa e all'estero, collettivamente e individualmente, ci dà il carattere di nazione in quanto cittadini della Grande Repubblica; perché ci dà una nazionalità in quanto popolo, ci rende eguali alle maggiori potenze europee, e in un altro mezzo secolo farà di noi il popolo più grande, più ricco e più potente sulla faccia della terra".(53) Se invece l'Unione si sfasciava sarebbe diminuito notevolmente lo spirito nazionale, che aveva ispirato tedeschi, ungheresi, italiani e slavi, e si sarebbe tollerato "un re Bomba a Charleston, un Papa a Washington, un Francesco Giuseppe nella Nuova Inghilterra, e un Impero nell'Ovest".(54) Cioè si sarebbero trasformati gli Stati Uniti in un'altra Europa, l'odiosa Europa. Secondo il repubblicano e abolizionista Richard H. Dana jr., se la secessione avesse vinto: "i tiranni e tutti coloro che governano per diritto divino, tutti coloro che, come disse Jefferson, sono nati per cavalcare con stivali e speroni sulla schiena del popolo, si rallegrerebbero della nostra caduta. Gli stessi demoni, nelle loro camere di tortura, trionferebbero per un tale oltraggio alla natura umana".(55) In effetti, secondo molti americani del Nord, le potenze europee avrebbero approfittato della secessione per cercare di riconquistare i propri domini in America.
Il presidente Lincoln, forse perché intuiva questi scenari, nel suo messaggio annuale al Congresso del 3 dicembre 1861, adottò un tono conciliante nei confronti delle potenze europee, riconoscendo che esse avevano un interesse nel mantenere il flusso del cotone dalle piantagioni della confederazione e però disse che : "io sono sicuro che può essere trovato un valido argomento per mostrare loro che possono raggiungere più prontamente, e facilmente, il loro scopo aiutando a schiacciare questa ribellione, che incoraggiandola".(56) Lincoln soggiungeva poi che il commercio sarebbe comunque stato garantito, ma che "Non è mio proposito riesaminare le nostre discussioni con gli stati esteri, perché qualsiasi siano i loro desideri, o le loro inclinazioni, l'integrità del nostro paese, e la stabilità del nostro governo, dipendono principalmente, non da loro, ma dalla lealtà, virtù, patriottismo e intelligenza del popolo Americano".(57)
E il popolo americano stava dando grandi prove di patriottismo istigato dal clero di tutte le confessioni, così il pastore abolizionista estremista Henry Ward Becher, durante la predica per la Giornata del Ringraziamento, si scatenò contro il "potere schiavista" dei secessionisti. "Le armi sono cariche e le micce pronte - la guerra viene e voi dovete prendere posizione ... alla fine il Nord è stato chiamato a levarsi in piedi e combattere".(58) Anche il reverendo Jacob Mannin di Boston, e il reverendo Henry W. Bellow di New York, pur deplorando lo spargimento di sangue, incitavano i fedeli a combattere la giusta causa antischiavista. Un critico dell' "Herald" di New York scrisse che questi erano i "parroci politici della Nuova Inghilterra" che sostenevano che "la guerra civile e il ricorso ai Fucili Sharpe andavano d'accordo con gli insegnamenti fondamentali del cristianesimo [Dio] li aveva chiamati allo speciale compito di liberare gli schiavi".(59) Ma non si trattava di singoli preti isolati; infatti la Società antischiavista ecclesiastica di New York aveva preso posizione ufficiale a favore del governo del Nord che aveva "nella presente emergenza, per colpa degli Stati sudisti e per esplicito disposto della Costituzione in caso di rivolta o insurrezione, il diritto di schiacciare la ribellione e di sopprimere la schiavitù che ne è la causa". Quindi la crisi politica attuale era "la crisi provvidenziale della schiavitù americana".(60) Anche le altre chiese del Nord incitavano alla guerra perché era "eminentemente una
guerra cristiana che doveva essere difesa in base a principi cristiani".
Fin da quando i sudisti avevano attaccato e preso Fort Sumter nell'aprile del 1861, dando inizio alla guerra civile, i preti di tutte le confessioni fecero prediche a favore della guerra, scrissero giornali parrocchiali invitando i parrocchiani ad arruolarsi e talune parrocchie divennero sede di centri di arruolamento. I sei vescovi della chiesa metodista episcopale appoggiarono prontamente la guerra e il vescovo Matthew Simpson di Chicago dichiarò: "Noi prenderemo la nostra gloriosa bandiera - la bandiera del nostro paese - e la inchioderemo proprio sulla croce".(61) Il reverendo Granville Moody di Cincinnati si vantò per la partecipazione delle chiese alla preparazione del conflitto: "Credo sia vero che noi lo abbiamo fatto esplodere, e io mi glorio di ciò, perché questo è un serto di gloria sulle nostri fronti".(62)
Così disse il Reverendo William Gaylor, nella chiesa Congressionale di un piccolo villaggio del New Hamshire piena di soldati nordisti, nell'ottobre del 1862, prevedendo un glorioso destino per l'America del dopoguerra. "Oh! Quale giorno sarà per il nostro amato paese, quando portato a compimento un battesimo di fuoco e sangue, combattendo attraverso questa notte primigenia di buio e di terrore, sperimenterà una resurrezione a nuova vita, e un futuro la cui gloria a venire già indora le cime delle montagne. Quel giorno di gloria futura si sta affrettando. Quel giorno di più vera e più profonda lealtà a Dio e al paese - quel giorno quando la verga dell'oppressore sarà spezzata, quando il sospiro di nessuno schiavo sarà udito in tutto il nostro bel paese ... Il giorno del Signore è vicino!".(63) Secondo la logica apocalittica il Sud veniva visto come la terra del male e dell'Anticristo; era quindi degenerata e dispotica e contro di essa andava fatta una crociata, per liberarla dagli aristocratici arroganti che la governavano e liberare le masse abbrutite e criminali: "La vita nella terra della cavalleria. Impiccagioni, accoltellamenti, sparatorie, assassini a dozzine".(64)
Intanto dall'Europa continuava il rifornimento di armi alla confederazione sudista, le cui fabbriche non ne producevano a sufficienza: "In tutta la guerra furono importati dall'Europa ben 600.000 fucili nonché 680.000 chilogrammi di piombo; a Richmond si produssero, fino al 1° gennaio 1865, 1396 cannoni da campagna; quanto alle bocche da fuoco da campagna importate, esse, a tutto l'ottobre 1863, risultavano 193".(65) Ma la fornitura che maggiormente infastidiva gli Stati Uniti era quella delle navi da guerra costruite in Inghilterra e che dovevano servire alla Confederazione per rompere il blocco navale delle sue coste. Fino al 1863 furono costruiti sei incrociatori per la Confederazione e gli Stati Uniti si limitarono a semplici proteste per la violazione della dichiarazione di non belligeranza, anche perché temevano di provocare l'intervento inglese nel conflitto. Però quando nel 1863 la Confederazione ordinò ai cantieri inglesi due corazzate, il governo degli Stati Uniti minacciò la possibilità di dichiarare guerra all'Inghilterra nel caso della consegna di ulteriori navi da guerra alla Confederazione e il governo inglese bloccò le due corazzate. L'Inghilterra in realtà si era già convinta che queste ulteriori forniture avrebbero reso troppo potente la marina da guerra sudista, il che sarebbe stato pericoloso anche per sé in guerre future. Gli Stati Uniti poi si erano notevolmente rafforzati, sviluppando la propria industria meccanica che consentiva la produzione in massa di materiali da guerra, sia che si trattasse di divise o di calzature, sia di armi: "Prima della guerra i due maggiori arsenali del paese avevano avuto insieme una produzione annua di 22.000 armi; nel 1862 uno solo produceva annualmente 200.000 fucili".(66) Anche in agricoltura venne introdotta la meccanizzazione, il che consentì all'Unione di superare da sola la produzione di grano di prima della secessione, e quindi di esportare il grano in Inghilterra che ne aveva necessità per alcuni cattivi raccolti.
Inoltre era intervenuto un cambiamento politico che aveva rafforzato l'immagine degli Stati Uniti presso l'opinione popolare europea: il 1° gennaio del 1863 venne pubblicato il proclama che dichiarava liberi gli schiavi degli Stati della Confederazione sudista. Nel proclama venivano debitamente esclusi gli Stati schiavisti che non si erano ribellati: Delaware, Kentucky, Maryland, Missouri e Virginia occidentale, nonché le porzioni degli Stati sudisti che erano già stati conquistate. Il proclama suscitò polemiche perché, ancora una volta, sul tema della schiavitù si era arrivati ad un compromesso. "Il "World" di New York fece sarcasticamente notare che il Presidente aveva abolito la schiavitù là dove non aveva alcun potere di far applicare l'emancipazione, mentre si era dato premura di conservarla e salvaguardarla là dove i suoi poteri si estendevano; lo "Spectator" di Londra osservò che nel Proclama non vi era alcuna condanna della schiavitù in quanto tale, che, anzi, essa chiaramente non sarebbe stata abolita se i "ribelli" si fossero sottomessi; e quindi non si trattava che di una misura bellica (cosa che del resto Lincoln aveva riconosciuto apertis verbis)".(67)
La guerra continuò fino al 1865, e quando nella primavera di quell'anno cadde la capitale della Confederazione, Richmond, così commentò l'avvenimento l' "Indipendent" del 6 aprile 1865: "Non vedremo mai più un così folle, felice e piacevole entusiasmo di una grande nazione, ubriaca del vino delle liete notizie. La città di Richmond ... la Grande Babilonia, Madre delle Prostituzioni e degli Abomini della Terra [è caduta] Si rallegrano per questo, il Cielo, e i santi apostoli e i profeti: perché Dio vi ha vendicati su di lei. E un possente angelo prese una grande macina da mulino e la buttò nel mare, dicendo 'Così con violenza quella grande città sarà buttata giù, e non sarà più ritrovata' ".(68) La vittoria finale rilanciò le fantasie patriottiche-millenaristiche; così disse il vescovo Matthew Simpson parlando a Cincinnati nel dicembre del 1866: "Noi dobbiamo prendere il Mondo tra le nostre braccia, e convertire tutte le altre nazioni alla nostra vera forma di governo [...] e le madri 'Europa insegneranno ai loro figli il nome di Washington, e impareranno [sic] loro ad amare la nostra bandiera, fino a che essa sarà rispettata e onorata nei più remoti confini della terra".(69)

1. M.MALOWIST, La schiavitù nel Medioevo e nell'età moderna, Ed. Scientifiche Italiane, Napoli, 1987, p. 15.
2. Ivi, pp. 67-8.
3. Ivi, pp. 68-9.
4. K.MARX, op.cit., Libro primo, Sez. III, p. 290.
5. M. MALOWIST, op.cit., p. 70.
6. Ivi, pp. 91-92.
7. Ivi, p. 92.
8. Ivi, p. 96.
9. Ivi, pp. 97-8-
10. B. LAS CASAS, cit. in N. CHOMSKY, Anno 501, la conquista continua, Gamberetti, Roma, 1993, p. 245.
11. Ivi, p. 245.
12. M. MALOWIST, op.cit., p. 101.
13. Ivi, p. 104.
14. Ivi, pp. 104-5.
15. N.CHOMSKY, op.cit., pp. 247-8.
16. M. MALOWIST, op.cit., p. 107.
17. Ivi, p. 108.
18. N. CHOMSKY, op.cit., p. 246.
19. Ivi, p. 247.
20. Cit, in P.N. CARROL-D.W.NOBLE, Storia Sociale degli Stati Uniti, Ed. Riuniti, 1991, p. 38.
21. A. SMITH, La ricchezza delle nazioni, UTET, 1975, p. 515.
22. Cit. in P.N. CARROL-D.W. NOBLE, op.cit., p. 40.
23. M. MALOWIST, op.cit., p. 112.
24. R. LURAGHI, Storia della Guerra Civile Americana, vol. I, BUR, 1998, p. 59.
25. P.A. TONINELLI, Nascita di una nazione, Il Mulino, 1993, pp. 93-4.
26. R. LURAGHI, op.cit., p. 59.
27. Ivi, p. 68.
28. M. MALOWIST, op.cit., p. 113.
29. R. LURAGHI, op.cit., pp. 46-7.
30. Ivi, p. 47.
31. Ivi, p. 73.
32. A.NEVINS-H.S.COMMAGER, Storia degli Stati Uniti, Einaudi, 1960, p. 217.
33. R.LURAGHI, op.cit., p. 61.
34. Ivi, p. 62.
35. Ivi, p. 63.
36. Ivi, p. 62.
37. P.N. CARROL-D.W.NOBLE, op.cit., p. 218.
38. Ibidem
39. M.A. JONES, Storia degli Stati Uniti, op.cit., Bompiani, 1992, p. 145.
40. Ivi, pp. 146-7.
41. D. DONALD, Verso un riesame dell'abolizionismo, in La guerra civile americana, Il Mulino, Bologna, 1978, p. 114
42. A. JACKSON, cit. in, P.N. CARROL-D.W.NOBLE, op.cit., p. 216.
43. Ivi, p. 217.
44. D. DONALD, op.cit., pp. 115-6.
45. Cit. in J.H.MOORHEAD, American Apocalipse, Yale University Press, New Haven and London, 1978, p.1.
46. Cit. in S. BERCOVITC, op.cit., p. 310.
47. Cit. in K.M. STAMPP, La crociata nordista contro il Sud, in La guerra civile americana, op.cit., p. 187.
48. Ibidem.
49. G. ARFÈ, La guerra di secessione americana nei dispacci del rappresentante italiano a Washington, in Annuario dell'Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea, Roma, 1964, p. 221.
50. Cit. in P.N.CARROL-D.W.NOBLE, op.cit., p. 220.
51. Cit. in Il pensiero politico nell'età di Lincoln, op.cit., p 111.
52. M.A.JONES, op.cit., p. 189.
53. K.M. STAMPP, op.cit., p.189.
54. Ibidem.
55. Ivi, p. 190.
56. A. LINCOLN, Annual Message to Congress, december 3, 1861, in A. LINCOLN, his speeches and Writings, A.DA CAPO Paperback, New York, p. 617.
57. Ibidem. Il testo di questo messaggio tradotto nel libro Il pensiero politico nell'età di Lincoln, op. cit., omette queste frasi come "accessorie".
58. K.M. STAMPP, op.cit., p. 192.
59. Ivi, pp.193-4.
60. Ivi, p. 193.
61. Ivi, p. 207.
62. Ibidem.
63. J. MOORHEAD, op.cit., p. IX.
64. K.M. STAMPP, op.cit., p. 196.
65. R. LURAGHI, op.cit., p. 264.
66. T.H.WILLIAMS, op.cit., p. 827.
67. R. LURAGHI, op.cit., p. 728.
68. J.H.MOORHEAD, op.cit., p. 173.
69. Ivi, p. 198