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Mamma, mi si è ristretta la foresta tropicale

di ManuelaCartosio - 04/06/2008


 

«Anche quest'anno ci siamo giocati il Belgio». Lo slogan è vecchiotto, ma è sempre valido. Purtroppo. La distruzione per mano dell'uomo delle foreste tropicali prosegue a ritmi sostenuti. Lo confermano le rilevazioni satellitari che ormai da un trentennio misurano quanto si restringe la superficie delle foreste pluviali, vero e proprio scrigno della biodiversità. I dati più recenti, entrambi preoccupanti, vengono dal Brasile e da Papua Nuova Guinea.
La parte orientale dell'isola della Nuova Guinea ospita quella che per estensione è la terza foresta pluviale del mondo (dopo Amazzonia e Congo). Nel 1972 l'82% della superficie (372 mila Kmq) di Papua Nuova Guinea era coperto dalla foresta pluviale. Trent'anni dopo la superficie occupata dalla foresta era diminuita del 15%, passando da 38 a 33 milioni di ettari. Un rapporto congiunto delle università di Papua e dell'Australia prevede che di questo passo entro il 2021 sarà distrutto o compromesso l'83% della foresta accessibile e il 53% del totale della foresta pluviale di Papua Nuova Guinea.
Il rapporto sostiene che la deforestazione è progredita allo stesso ritmo sia nelle aree protette che in quelle non protette. Causa principale, il taglio degli alberi operato dalle multinazionali del legno con la complicità per lo meno passiva del governo di Papua Nuova Guinea.
Una complicità che contraddice il tentativo del governo di ottenere «compensazioni» dai paesi ricchi, grandi produttori di gas serra. Le foreste abbattono i gas serra, ma se si abbattono gli alberi nelle zone accessibili... la «compensazione» non avrebbe senso. Gli alberi resterebbero in piedi solo nelle aree fisicamente inaccessibili della foresta, dove il taglio è comunque impossibile, con o senza «compensazioni» (un fatto incontrovertibile, anche se la compravendita di quote di gas serra lascia alquanto a desiderare come politica ambientale).
Si stima che la deforestazione produca circa il 20% delle emissioni di anidride carbonica. La conservazione delle foreste pluviali è quindi vitale per frenare il riscaldamento globale.
Nei decenni passati, ammette il ministro delle foreste di Papua Nuova Guinea, «lo sviluppo economico ha avuto la precedenza sulla conservazione ambientale. Ci siamo illusi che le nostre foreste fossero illimitate». Così non è, ma i buoni propositi declinati al futuro dal ministro hanno il sapore di frasi di circostanza.
Sono lapalissiane, invece, le dichiarazioni del neo ministro dell'ambiente brasiliano Carlos Minc: «C'è una stretta correlazione tra il prezzo della carne e della soia e la deforestazione». Se i primi schizzano in alto, c'è una ragione in più per tagliare, radere, incendiare la foresta per far spazio a colture e allevamenti. E infatti le rilevazioni satellitari dicono che in Brasile, dopo tre anni di lieve flessione, la deforestazione è ripresa alla grande. Tra agosto e dicembre del 2007 sono andati «perduti» 7 mila Kmq di foresta. Solo lo scorso aprile ruspe e fuoco ne hanno divorati altri 1.123 Kmq. Il peggio arriverà tra giugno e settembre, quando si preparerà il terreno per la semina stagionale. In Brasile la superficie originaria della foresta amazzonica era di 4.100.000 Kmq. Oggi il manto verde copre 3.403.000 Kmq (-17%). L'anno nero resta il 2004, quando andò il fumo l'equivalente della superficie del Belgio.
Carlos Minc, un fondatore del Partito verde brasiliano, afferma che il governo ha adottato le «misure giuste» contro la deforestazione, compreso il sequestro del bestiame che pascola in terreni non autorizzati. Questione di «tempo», dice, e le misure daranno «frutti». Non ci credono i gruppi ambientalisti, convinti che Minc sarà più disponibile verso latifondisti e agrobusiness dell'ex ministra Marina Silva, grande paladina della foresta amazzonica, dimessasi perché in rotta con Lula sui biocarburanti.