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Francia: processo alle «filiali irachene». Belgio : processo alle «filiali kamikaze»

di Jean-Claude Paye - 05/06/2008

Francia : processo alle « filiali irachene »
Belgio : procèsso alle « filiali kamikaze »
Nemici dell’Impero?




Le implicazioni del processo alle « filiali kamikaze », che si sta svolgendo in Belgio, come quello detto delle « filiali irachene », che ha luogo in Francia, s'inscrive in un nuovo ordine del diritto mondiale.

La legge antiterroristica americana, il Military Commissions Act of 2006, dà al presidente degli USA il potere di designare come nemici i propri cittadini oppure ogni cittadino di un paese con il quale gli Stati Uniti non sono in guerra. Si è perseguiti come « nemici combattenti illegali » non sulla base di elementi di prova, ma semplicemente perché si è definiti come tali dal potere esecutivo americano.

La legge del 2006 estende considerevolmente la nozione di « nemico combattente illegale», poiché essa si basa non solo sugli stranieri catturati o acquisiti sul campo di battaglia, ma riguarda ogni americano o straniero che non ha mai lasciato il suo paese di origine. Se gli americani incolpati sulla base della nozione di nemico combattente illegale devono essere deferiti davanti a giurisdizioni civili, questo non accade agli stranieri, i quali possono essere giudicati da « commissioni militari ». Le commissioni militari sono dei tribunali speciali che non concedono alcun diritto alla difesa e sopprimono ogni separazione dei poteri (vedi : « USA : l'anomie base d'un nouvel ordre juridique », Le Journal du Pays basque del 13/1/2007.)

Questa legge, che è un atto di portata internazionale, non è stata contestata da nessuno Stato. Al contrario, vediamo che l’ordinamento giuridico delle alter nazioni si adatta per esaudire eventuali richieste americane basate su questa legge. Ecco la fondamentale posta in gioco di questi processi: attraverso di essi, il Belgio e la Francia tentano di impiantare una giurisprudenza che darebbe forza di legge al Military Commissions Act sul loro territorio.

Così, la Francia, paese che ha condannato ufficialmente l’invasione dell’Iraq, persegue dei giovani francesi venuti a combattere con degli Iracheni aggrediti. Il 14 maggio, il tribunale correzionale di Parigi ha condannato sette membri, sei Francesi ed un Algerino, della cosiddetta filiale irachena della XIX circoscrizione, a pene da 18 mesi a 7 anni di carcere duro per « associazione a delinquere in relazione con un’iniziativa terroristica », ossia per aver « formato o partecipato ad una cellula di reclutamento e d’invio di jihadisti in Iraq ».
Questo processo è molto simile a quello che si svolge in Belgio. Esso si dà una competenza universale e criminalizza ogni atto di resistenza all’esercito degli USA.

In Belgio, si sta concludendo un processo d’appello a 5 imputati condannati in primo grado, per appartenenza ad un gruppo terroristico, a pene da 28 mesi a 10 anni di carcere. Essi sono accusati di aver partecipato ad una cellula che avrebbe reclutato combattenti in Belgio, in vista di fare la guerra in Iraq. Il presidente del tribunale aveva anche dichiarato che "il loro reale obiettivo era dedicarsi ad una guerra di religione e ad una crociata anti-occidentale" al fine d’instaurare un califfato.

I due processi presentano grandi similitudini, non solo per quanto riguarda le loro implicazioni, ma anche nel loro svolgimento.
Così, malgrado la guerra iniziata dagli USA fosse stata scatenata in violazione del diritto internazionale e per motivi che sono stati invalidati, relazione del regime iracheno con la rete di Ben Laden ed esistenza di armi di distruzione di massa, questi processi s’inscrivono nel quadro della « lotta del bene contro il male » iniziata dagli Stati Uniti.

In un conflitto al quale il Belgio e la Francia non prendono parte, questi tribunali si danno la competenza di determinare, tra le forze in lotta, quelle che sono legittime e quelle che sono criminali. Invece di considerare i prevenuti come dei combattenti, in lotta contro la presenza illegit6tima di truppe americane, statuto previsto nel diritto internazionale umanitario, il tribunale li definisce terroristi e questo per due ragioni: da una parte la loro lotta non sarebbe giusta e, dall’altra parte, i mezzi impiegati li designerebbero come criminali. Essi sarebbero dei combattenti illegali data l’assenza di un comando centralizzato e la loro mancanza di visibilità, criteri che permettono di criminalizzare ogni resistenza popolare ad un esercito di occupazione.
Nei due processi, si pongono anche dei problemi circa la legalità dei metodi di prova. In Francia, le prove a carico sono fondate su informazioni di origine americana, ottenute specialmente sotto tortura. In Belgio, sono state anche accettate alcune prove raccolte in Algeria e questo malgrado il Consiglio d’Europa ritenga che quel paese utilizzi la tortura nel quadro della lotta contro il terrorismo.

Se i tribunali d’appello, belga e francese, confermeranno il giudizio di primo grado, questo creerà una giurisprudenza la quale permetterà che l’incriminazione americana « di nemici combattenti illegali », sia riconosciuta dall’ordinamento penale di questi due paesi. Tale nozione permette di criminalizzare non solo ogni combattente armato ma anche, potenzialmente, ogni oppositore alla politica del governo americano.
Questo faciliterà le domande di estradizione di cittadini belgi e francesi verso gli USA, sulla base di questa nozione e niente, negli accordi di estradizione firmati nel 2003 tra l’UE e gli USA, impedisce che le persone consegnate siano giudicate da commissioni militari, dei tribunali speciali dove i diritti della difesa non esistono. Questa giurisprudenza ci collocherebbe in un ordinamento giuridico imperiale, in un sistema globale di non diritto. I nostri tribunali perderebbero la loro autonomia, dovendo semplicemente convalidare le prese di posizione politica delle autorità americane.




(*) Jean-Claude Paye, sociologo, autore de La fin de l’Etat de droit, La Dispute, 2004 e di Global War on Liberty, Telos Press, 2007.

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Eurasia. Rivista di studi geopolitici, anno IV, numero 4, ottobre-dicembre 2008, pp.109-113