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I maschi e la riproduzione: riflessioni su ragioni e forme di una crisi

di Claudio Risé - 05/06/2008

 

 

L’impotenza aumenta, la sterilità anche, la libido cala. Sono fenomeni noti, in continuo (fino ad ora) peggioramento, come mostrano gli articoli e i dati presentati in questo fascicolo.
I fattori che incidono negativamente sulla sterilità sono molteplici, ma la loro presentazione è spesso condizionata dall’ottica del modello culturale dominante, che tende a “tacere” gli effetti di comportamenti e sostanze ostinatamente considerati “leggeri”, abbondantemente tollerate dai gruppi dirigenti, anche se dal punto di vista scientifico sono ormai noti i loro effetti “pesanti”.

I nemici della procreazione nascosti da media e politici: il caso della cannabis.

E’ interessante, da questo punto di vista, il caso della cannabis, ostinatamente assolta, in Italia, da tutti i suoi effetti negativi, tra i quali quelli, ormai accertati, sulla capacità di riprodursi del maschio (e della donna) [1].
La cannabis, la droga più usata al mondo, e da un adolescente su tre in Italia, dove è fumata quotidianamente da 350.000 persone tra i 15 e i 54 anni, e al fine settimana da 1.900.000 (dati 2005, inferiori ad oggi), ostacola i processi vitali che presiedono al buon fine del concepimento. La marijuana è stata collocata recentemente nella tabella delle gonadotossine, sostanze capaci di danneggiare la delicata costituzione (parenchima) del testicolo [2]. Anche i ricercatori italiani [3], di cui tuttavia i media poco si curano, confermavano nel 2004 che il consumo di cannabinoidi è tra l’altro causa di alterazione della spermatogenesi, di riduzione nella densità e motilità degli spermatozoi, e di aumento delle forme anomale.
Nello stesso periodo venivano resi noti, attraverso un comunicato della British Fertility Society alla stampa e alla comunità scientifica europea, i risultati di una ricerca sperimentale svolta in Irlanda secondo la quale gli uomini che fumano cannabis presenterebbero una fertilità ridotta. Gli scienziati della Queen’s University di Belfast, infatti, avevano accertato che l'ingrediente attivo della cannabis (THC) ostacola la mobilità degli spermatozoi, diminuendone la capacità di penetrare la cellula uovo per fertilizzarla [4]. Lo studio, inoltre, aveva evidenziato che il consumo di cannabis riduceva un'altra funzione chiave svolta dal gamete maschile: la digestione del rivestimento protettivo dell'uovo, attraverso specifici enzimi, per consentire allo spermatozoo di penetrarlo [5].
Questa specifica disabilità, prodotta dal THC sull’apparato riproduttivo maschile, viene poi ulteriormente accentuata dalla tossicità del fumo di tabacco (qui aggravato dalla particolare intensità di idrocarburi presenti nel fumo di cannabinoidi) i cui risultati sono noti da più tempo: riduzione del numero dei concepimenti se l’uomo ha l’abitudine del fumo; presenza di spermatozoi con alterazioni cromatiniche che impediscono allo zigote di svilupparsi normalmente; alterazione in negativo del liquido seminale (come volume e concentrazione); riduzione della vitalità dei gameti maschili, della loro vitalità e motilità, alterazione della loro corretta morfologia [6].
Studi andrologici, in continuo sviluppo, attribuiscono anche all’uso di cannabinoidi lo sviluppo di impotenza e altre tipologie di deficit erettile, con i loro pesanti effetti psicologici e sulla vita relazionale e di coppia [7].
Ciò valga a mostrare la parzialità nelle presentazioni mediatiche, e dell’attenzione politica, circa i fattori tossicologici sulla sterilità maschile.
Lo scopo principale di questo lavoro è tuttavia altro.

La sterilità in analisi: i risultati di un’esperienza

Questo contributo intende piuttosto offrire brevemente impressioni e ipotesi nate da un’esperienza, personale e terapeutica, che mi ha visto operare sul terreno del maschile, sia per la mia identità di genere (mi si consenta di utilizzare questo termine nel suo significato sociologico originario, di appartenenza alla cultura del proprio sesso, a mio avviso tuttora di qualche utilità) [8] , sia per avervi dedicato gran parte degli ultimi vent’anni di lavoro, in parte riflessi nei libri pubblicati sul tema.
Vale la pena forse di cominciare dalla grande influenza che sul rapporto tra i maschi ed il concepimento risultano avere una serie di aspetti del tutto psicologici: la sicurezza e l’identificazione di sé come maschio, la più o meno favorevole considerazione sociale che accompagna la condizione maschile [9], la qualità dei rapporti personali, e del genere maschile in una data epoca, con le donne.
Uno dei fatti che mi ha più colpito, all’inizio della mia esperienza di psicoanalista, è stata la sensibilità mostrata dal funzionamento riproduttivo dell’uomo (e naturalmente anche della donna, ma questo è già più noto [10] ) al trattamento psicologico dell’inconscio. Seppure reduce da numerose analisi personali e didattiche, confesso che non avevo potuto fino ad allora mettere ben a fuoco questo aspetto del lavoro psicoterapeutico, e le sue possibilità. Mi accorsi invece che uomini che si credevano del tutto sterili, ed erano stati ampiamente confermati in questa convinzione da diagnosi mediche, ingravidavano inaspettatamente le loro quasi rassegnate compagne, una volta aperta la comunicazione intrapsichica tra un Io autenticamente riconosciuto e “lavorato” come proprio, ed un Sé ormai differenziatosi dal falso Sé della posizione narcisista, indotta da condizionamenti familiari o sociali.
Questo cambiamento nella dinamica intrapsichica portava con sé alcuni risultati precisi: maggiore sicurezza di sé, e quindi capacità di mettere a fuoco e prendere sul serio i progetti per il futuro (non solo personale) che il Sé costantemente produce, tra i quali tipicamente quelli relativi alla procreazione. Che, anche nello scambio verbale delle sedute, veniva sempre più valutata come momento decisivo della vita personale e di coppia, accompagnandola però col rimpianto per non poterla realizzare. Fino a quando si produceva l’evento inaspettato.
Le analisi mediche successive dimostravano poi il miglioramento della qualità e quantità del seme, la maggiore mobilità e forza degli spermatozoi, mentre già nello scambio in seduta si era analizzato il cambiamento nello scambio affettivo e sessuale, caratterizzato ora da un’intensificazione del desiderio, da una maggiore libertà nell’esprimerlo, e, prima ancora, da una maggiore capacità di vedere e sperimentare l’altro come autentico e completo oggetto d’amore, premessa indispensabile allo sviluppo del desiderio.
Queste poche note, testimonianza dell’esperienza personale, ma anche di colleghi che hanno lavorato con me nella supervisione dei casi trattati, per ricordare la grande importanza dello psichico nella vicenda biologica della riproduzione, e la delicata sensibilità del corpo dinanzi alle vicende affettive e culturali, personali e collettive.

Il contatto col Sé autentico e il distanziamento dal modello culturale dominante.

Il rafforzamento e la precisazione di un Io personale, e l’apertura di un suo canale di comunicazione col Sé [11], hanno sempre comportato, nei casi da me visti, una presa di distanza soggettiva dell’Io dalla posizione collettiva proposta dal modello culturale dominante. Attestato, questo ultimo, sulla riduzione dell’evento riproduttivo a fatto eminentemente femminile, nel quale il maschio ha comunque un ruolo secondario ed episodico, discontinuo.
Nella riproduzione interpretata secondo il modello culturale occidentale inoltre, l’aspetto funzionale-utilitario, di elemento della strategia di affermazione e di felicità della donna, ed eventualmente della coppia, scavalca fino alla rimozione ogni aspetto transpersonale, di Beruf, di vocazione profondamente inerente alla realizzazione della natura e del destino dell’individuo, della famiglia, e della società umana.
Tuttavia è invece proprio in questo campo transpersonale, legato all’inconscio collettivo, familiare e sociale, alla legge naturale ed all’ordine simbolico che la rappresenta, che affondano, ritengo, le radici della spinta riproduttiva, e della capacità di realizzarla. La questione si decide dunque, per quanto riguarda la psicologia analitica, sul terreno del Sé, centro complessivo della personalità conscia e inconscia, e punto d’incontro (e confronto) dell’Io individuale con da una parte l’inconscio collettivo e l’ordine simbolico, e dall’altra con il modello culturale dominante. Quest’ultimo appare nell’investigazione psicoanalitica come una sorta di “coscienza collettiva”, che con l’inconscio collettivo, rappresentato anche nel Sé personale, continuamente si interfaccia, in una dinamica di azioni e reazioni reciproche tra conscio e inconscio, personale e collettivo, naturale e culturale, letterale e simbolico.
Ciò che in particolare si rivela in questo confronto tra Sé maschile e modello culturale dominante, relativamente alla procreazione, è la svalutazione in esso realizzata del ruolo dell’uomo rispetto a quello della donna, fino a consentire alla donna di sopprimere il figlio avuto dall’uomo, escludendo il maschio-padre di qualsiasi possibilità di intervento o decisione sulla questione. Il risultato psicologico di questo rifiuto di una soggettività riproduttiva, opposto dalla società al maschio, fino a negargli la possibilità di difendere i figli concepiti dal progetto abortivo della madre, è il progressivo indebolimento della volontà maschile di generare. Tuttavia questo fenomeno non nasce solo dall’opposizione, conscia e inconscia, ai modelli ideologici dominanti.
Certo, la legalizzazione dell’aborto in Occidente, e in Italia, è stata generalmente realizzata nell’ambito di un pensiero ideologico che, in quanto tale, ha avuto (come sempre ha) esiti reificanti (in questo caso nei confronti del concepito e del bisogno di maternità/paternità dei genitori), e schizogeni (nel senso mostrato da Gabel nella sua critica dell’ideologia [12] tipicamente caratterizzata da una struttura schizofrenica). Con più precisione, come ricorda Mansfield, con l’ideologia femminista, la cui affermazione ha accompagnato in tutto l’Occidente le legislazioni abortiste, le donne “per essere libere dagli uomini volevano cambiare la morale e negare la natura… che aveva dato loro l’utero, costringendole a diventare madri, il che le legava agli uomini” [13].

La rappresentazione archetipica del conflitto riproduttivo

Nella questione della posizione, e della crisi, dei due sessi di fronte alla riproduzione oggi, sono però attive forze più profonde, e più potenti dello sviamento iperrazionalista (in realtà sempre irrazionale) dell’ideologia. Siamo di fronte ad un conflitto archetipico, intervenuto al livello dell’inconscio collettivo, probabilmente condizionando anche i dispositivi giuridici, le leggi, prodotte da quell’ideologia, e certamente la loro applicazione. L’esito finale del conflitto è illustrato sul piano archetipico dal lamento di Giasone, impotente di fronte a Medea, che ha ucciso i loro figli: “Vorrei non averli generati, per non vederli ora da te uccisi” [14].
E’ anche per non subire, impotente, l’uccisione della propria progenie che il maschio occidentale contemporaneo, come Giasone, “non vorrebbe generare”, e quindi si rende incapace di farlo, attraverso tutta una serie di comportamenti, attivi ed omissivi, consci e inconsci. Le forme psichiche attive in questo complesso processo che si svolge nell’inconscio collettivo hanno quella particolare potenza sugli individui e sui gruppi che caratterizza l’azione degli Archetipi.
Gli Archetipi, forme simboliche di forze psicologiche invarianti nel tempo, sono (secondo lo psichiatra Carl Gustav Jung, fondatore della psicologia-analitica) i principali contenuti dell’inconscio collettivo, assieme agli istinti. Non è sorprendente dunque imbattersi nell’Archetipo affrontando una questione come questa della procreazione, all’incrocio tra personalità individuale, corpo e organizzazione istintuale, modello di cultura, e inconscio collettivo. E proprio in un terreno, quello della riproduzione sessuale, dove la spinta istintuale incontra, come abbiamo visto, il piano transpersonale e simbolico, generalmente espresso dall’esperienza religiosa.

Medea, il femminile terrifico, e Giasone, il maschio opportunista

L’Archetipo che compare su questo terreno è la donna che uccide i figli, che ha avuto una rappresentazione particolarmente efficace nella cultura greca (all’origine della cultura occidentale assieme a quella ebraico-cristiana), nella figura di Medea, poi continuamente ripresa in altre culture, da quella latina (Ovidio, Seneca), fino ai contemporanei, anche italiani (Alvaro, Pasolini). E’ dunque di qualche interesse ricordare, purtroppo rapidamente, qualche tratto centrale della personalità di Medea, per chiarire meglio in che modo un quadro psicologico dominato da questo Archetipo dell’inconscio collettivo contribuisca ai tratti depressivi che caratterizzano oggi la posizione maschile circa la riproduzione, spingendola verso una progressiva infertilità.
Medea, nipote della maga Circe, che nell’Odissea di Omero odia gli uomini trasformandoli in animali, è una figura caratterizzata dalla ribellione al padre ed alle tradizioni da lui rappresentate e difese, e dalla passione per quel potere illimitato sugli altri, non contenuto dal diritto né dalla devozione religiosa, che è la magia. Questi tratti la portano ad una sorta di isolamento dagli aspetti tradizionali e affettivi della comunità, i cui valori non le interessano, e cui anzi si ribella, in quanto potenziali limitazioni del suo “thymos”, del suo furore, per il quale non accetta alcun contenimento.
In proposito il grecista e studioso della psiche Eric Dodds osserva che “nel thymos sono nascosti impulsi dell’azione che né la ragione né la pietà possono raggiungere” [15]. Sono gli stessi che abbiamo visto in azione nello sviluppo e nell’esercizio del potere delle ideologie contemporanee, caratterizzate appunto da quell’irrazionalismo irraggiungibile dal sentimento di cui parlano anche Minkowski e Gabel prima citati.
Misandria, passione per il potere, assenza di pietà [16]: questi i tratti caratteristici del tipo femminile rappresentato da Medea, variante greca dell’aspetto terrificante del femminile. Le cui potenzialità distruttive verso la vita si esprimono anche prima dell’uccisione dei figli. Secondo la tradizione Medea è infatti anche all’origine dell’omicidio del giovane fratello Apsirto, che in alcune narrazioni fa a pezzi, gettandoli in mare per frenare le navi del padre Eeta che la inseguono mentre fugge dalla patria [17], e del Re Pelia, le cui figlie persuade a bollirlo, per restituirgli la giovinezza.
La passione per il potere femminile, e la disponibilità a dare la morte per averlo, oltre all’avversione per il mondo del padre e la sua funzione nell’ordine simbolico, sono caratteristiche presenti anche nelle ideologie che hanno presieduto alle legislazioni abortiste, ed in molte donne che ne hanno seguito le indicazioni.
E’ però interessante anche vedere chi è il compagno di Medea, Giasone, il padre dei figli (che poi si pente di aver generato), uccisi da questo tipo femminile. Giasone è un rappresentante dell’eroe greco classico, che come è stato più volte osservato nell’antropologia junghiana (da Jung a Campbell), rimane in qualche modo debitore del potere femminile della Grande Dea Madre, di cui Medea è la rappresentazione terrifica.
Ad esso si contrappone, in una fase successiva, la nuova figura maschile rappresentata da Ulisse, che non dipende dalla metis, dal sapere della Dea Grande Madre, perché lui stesso, allievo del sapere di Pallade Atena, nata direttamente dalla testa di Zeus, ne è detentore [18]. E’ questa diversa struttura di personalità, e di modello culturale, e religioso, di riferimento, che fa sì che Ulisse si sottragga al potere di Circe, mentre Giasone accetta di utilizzare quello di Medea, accettando così quella dipendenza dal suo potere che darà la morte ai suoi figli, ed a lui stesso un destino di depressione e di morte [19].
Come il figlio non ancora adulto, Giasone non si assume la piena responsabilità del proprio comportamento: è un’opportunista, che scarica ogni colpa sulla propria compagna, la quale a sua volta vive in una sorta di delirio onnipotenza, come se gli altri e la società non esistessero, ponendo sé stessa e le proprie pulsioni e furori come unico riferimento delle proprie azioni. Questa è la coppia archetipica dove la donna uccide i figli e dove, come osserva Medea, il padre, piangendoli “parla al vento”, giacché non ha provveduto prima a creare una situazione diversa, a contenere il thymos, ed il potere, del femminile terrifico all’interno di un sistema simbolico autenticamente paterno, religioso, che vincoli entrambi.
Naturalmente, Medea non è, d’altra parte, “intera” nella sua determinazione omicida. Una parte (in Seneca) dice dei figli: “muoiano, non sono miei”, l’altra, più consapevole della propria colpa, ripete tuttavia: “non rimangano in vita, sono miei”. E’ la schizofrenia di chi ha abbandonato la pìetas verso l’umana fragilità (a cominciare dalla propria) per il furore dell’ideologia, come abbiamo prima notato, con Gabel-Minkowski: l’umano rimane, ma in minoranza rispetto al geometrismo del programma ideologico, alla vendetta per l’offesa al proprio potere, al proprio trono (l’“offesa al letto”, centrale in Euripide, come nella rappresentazione del dramma in Ronconi).
Se l’uomo virile, come osserva Mansfield [20] : “si distingue dagli altri affinché la giustizia in cui crede non resti inascoltata, si espone per richiamare l’attenzione su ciò che ritiene importante, talvolta su questioni molto più grandi di lui”, Giasone, come una buona parte dei maschi contemporanei, certamente non lo è. E’ piuttosto Medea, che, nel suo modo inflazionato e a-relato da qualsiasi struttura giuridico-simbolica, continua a invocare la diké, la giustizia, ed a ritenersi (seppure in modo del tutto egoriferito), vittima della sua violazione. D’altra parte, questo “non esporsi” maschile, è il corrispondente morale dell’impotenza e dell’infertilità.
In nessun’altra azione l’uomo si espone come nella riproduzione: di fronte a sé stesso, all’altro, alla società, a Dio, al presente e al futuro. Quando questa consapevolezza virile viene a mancare, i bambini non ci sono già più, sia che Medea li uccida, sia che non nascano neppure.
L’Archetipo di Medea irrompe nella vita del maschio, e nel collettivo, nel momento in cui gli uomini smarriscono il significativo donativo e sacrificale della virilità, che viene sostituita da un opportunistico profittare del potere “magico” femminile, evocativo del lato terrifico della Grande Madre, con i suoi altissimi costi, tipicamente (anche in altre saghe e cicli leggendari [21]) a carico del futuro, rappresentato dai bambini.
L’impotenza e la sterilità sono a quel punto la manifestazione biologica sincronica all’abbandono della virilità psichica e simbolica. Come sempre nelle vicende umane più profonde, i due piani, quello fisico e quello psichico, procedono di pari passo. Ma è al più profondo piano simbolico, e alle sue ricadute sullo psichico, che occorre guardare, per capire da dove si originano i disagi del corpo.

[1] Per un’informazione complessiva sulle quantità consumate e le ricerche sulla sostanza, cfr. C. Risé, Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita. San Paolo, 2007. Per aggiornamenti dati e ricerche vedi anche la category Cannabis in: http://claudiorise.blogsome.com/

[2] Cfr. Mancini A.- Giacchi E.- De Marinis L., La prevenzione in andrologia: una prospettiva etica, in Ministero della salute, Patologie andrologiche dell’età giovanile: il ruolo della prevenzione, Roma, 15 dicembre 2004. Gli Atti del convegno, presieduto dall’ endocrinologo dell’Università La Sapienza di Roma, Leopoldo Silvestroni, sono disponibili in formato pdf in www.ministerosalute.it

[3] Cfr. la nota precedente.

[4] La scoperta era nata nel corso di un’indagine sulle abitudini e sullo stile di vita di uomini non fertili, avvenuta in diversi ospedali e centri di ricerca. Poiché si era osservato che molti pazienti sottoposti ad esami per la sterilità erano consumatori di cannabis su base regolare, era stato avviato uno studio specifico per la ricerca degli effetti diretti del THC, che aveva confermato l’ipotesi di ricerca: il THC contribuisce all’infertilità maschile.


[5] Si veda: Whann L.B.-McClure N.-Lewis S., The effects of Tetrahydrocannabinol (THC), the primary psychoactive cannabinoid in marijuana, on in vitro human sperm motility. Questa ricerca, a cura degli studiosi del Reproductive Medicine Research Group di Belfast (con il concorso dei seguenti istituti: School of Medicine, Obs and Gynae, Queen’s University, Belfast and Regional Fertility Centre, Royal Maternity Hospital, Belfast, Northern Ireland, UK), venne presentata al convegno “The Annual British Fertility Society Meeting 2004”, 31.03.2004, Cheltenham, UK. Un abstract dell’articolo è pubblicato nel sito della British Fertility Society http://www.fertility.org.uk


[6] Su questo tema la bibliografia diventa sempre più vasta. Rimandando ad alcune fonti riportate nella bibliografia di questo volume, ricordiamo qui, anche per la trattazione sintetica ma esaustiva: Comitato Nazionale per la Bioetica, Il Tabagismo, 9.04.2003. Questo documento del CNB, dotato di abbondanti riferimenti, dedica molta attenzione agli impedimenti provocati dal fumo nell’uomo, nella donna e nella coppia laddove si desideri la nascita di un bambino. Il documento è disponibile on line in www.governo.it/bioetica . Una prospettiva particolare, e che potrebbe rivelarsi un’altra pista di ricerca, è quella proposta da Leopoldo Silvestroni in SOS Fertilità Maschile, L’Airone, Roma, 1998: in questo studio l’autorevole membro della Società Italiana di Andrologia, esamina l’indebolimento della fertilità maschile osservando i meccanismi per cui le sostanze tossiche con cui la madre entra in contatto (supponiamo appunto le sostanze nocive dei cannabinoidi) raggiungono il feto, di sesso maschile, danneggiandone l’apparato riproduttivo fin dalla vita intrauterina.


[7] Cfr. Physical Agents, Drugs and Toxins in the Causation of Male Infertility, in Jequier A.M., Male Infertility: a guide for the clinician, Blackwell Publish., Oxford, 2000, pp.341-331. Si invita inoltre a consultare le pubblicazioni on line presenti nel sito della Società Italiana di Andrologia www.andrologiaitaliana.it per un continuo aggiornamento su queste tematiche: la rivista scientifica “Giornale Italiano di Medicina sessuale e riproduttiva” e la newsletter informativa AndroNews.

[8] Come ho spiegato nel mio contributo al quaderno di Scienza e vita ….

[9] Su questo: C. Risé, Essere uomini. La virilità in un mondo femminilizzato, Red ed., 2002.

[10] Anche se poi i primi casi di sviluppo dell’utero della paziente, da infantile ad adulto, o di abbandono della posizione retroversa dello stesso per quella normale, avvenuti sincronicamente a precisi passaggi dell’analisi, espressi chiaramente anche nei sogni, mi stupirono non poco.

[11] Questo asse Io-Sé è stato messo a fuoco con particolare chiarezza nel fondamentale E. Neumann, Das Kind, trad. it. La personalità nascente del bambino. Struttura e dinamiche, Red, 1991.

[12 ]J. Gabel, La falsa coscienza, Dedalo libri, 1967. Gabel, seguendo Minkowski, individua nella schizofrenia una manifestazione di “geometrismo e razionalismo morboso”.

[13] H.C. Mansfield, Virilità. Il ritorno di una virtù perduta, Rizzoli, 2006.

[14] Euripide, Grillparzer, Alvaro, Medea. Variazioni sul mito, a cura di Maria Grazia Ciani, Marsilio 1999.

[15] E.R.Dodds, I Greci e l’irrazionale (trad. it. di V. Vacca De Bosis, a cura di R. Di Donato), Sansoni, 2003,

[16] Rappresentata efficacemente nella riscrittura settecentesca ad opera dell’austriaco Franz Grlllparzer, dove la spietatezza di Medea è contrapposta alla sensibile femminilità di Creusa, figlia di Creonte, da Medea continuamente schernita proprio per questo suo tratto.

[17] R. Graves, I miti greci, Longanesi, 1983; B. Gentili, La Medea di Euripide, in: Medea nella letteratura e nell’arte, a cura di B. Gentili e F. Perusino, Marsilio, 2000.

[18] B. Andreae, L’immagine di Ulisse. Mito e archeologia. Einaudi, 1983. Cfr. anche il mio capitolo Anima, il femminile dell’uomo. La Vergine e la Madre, in Essere uomini. La virilità in un mondo femminilizzato, red ed., 2002.

[19] Anche sul piano simbolico, la contrapposizione tra l’Eroe legato alla potenza della Grande Madre, e Ulisse, l’uomo nuovo istruito dalla vergine Pallade Atena, viene poi naturalmente superata dalla comparsa del Cristo, Figlio del Padre.

[20] Op. cit.

[21] Come quello della donna del bosco, presentata in: C.Risé e M.Paregger, Donne Selvatiche, Forza e mistero del femminile, Sperling, 2006.

 

(di , da "I Quaderni di Scienza & Vita", 22 aprile 2008, www.comitatoscienzaevita.it)