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Iraq, L’occupazione infinita

di Ornella Sangiovanni - 05/06/2008



 
I rappresentanti dell’amministrazione Bush e quelli del governo iracheno starebbero attualmente negoziando a Baghdad i termini di un accordo segreto che manterrebbe l’occupazione dell’Iraq senza limiti di tempo, indipendentemente dall’esito delle elezioni presidenziali Usa del novembre prossimo.

La rivelazione arriva dall’Independent, che del piano è riuscito a sapere alcuni dettagli, e ne sottolinea le potenzialità esplosive in Iraq, ma anche il rischio che esso provochi una crisi politica a Washington.

Questo perché il presidente Usa George W. Bush starebbe spingendo per concludere il tutto entro fine luglio (come previsto dalla “dichiarazione di principi” da lui firmata assieme al premier iracheno Nuri al Maliki il 26 novembre 2007), in modo da pregiudicare gli impegni presi dal candidato Democratico Barack Obama di ritirare le truppe dall’Iraq nel caso in cui venisse eletto presidente. E da favorire il candidato Repubblicano John McCain, che ha ripetutamente affermato che gli Stati Uniti stanno per vincere in Iraq – e che il ritiro prematuro delle truppe proposto da Obama impedirebbe di ottenere questa vittoria.

Finora le richieste americane erano state tenute segrete. In base ai termini del nuovo accordo, gli Stati Uniti manterrebbero l’utilizzo a lungo termine di oltre 50 basi in Iraq. Inoltre, Washington vuole l’immunità nei confronti della legge irachena per i propri soldati e i propri contractor, e la libertà di eseguire arresti e condurre operazioni militari nel Paese senza consultare il governo di Baghdad. Oltre al controllo dello spazio aereo iracheno.

Si tratta di richieste destinate certamente a provocare dure reazioni in Iraq, dove l’opposizione a un accordo a lungo termine con gli Usa va rafforzandosi ogni giorno che passa.

"E’ una terribile violazione della nostra sovranità", ha detto all’Independent un politico iracheno, che tuttavia ha parlato a condizione di restare anonimo, aggiungendo che se un accordo del genere dovesse essere firmato delegittimerebbe il governo di Baghdad che verrebbe visto dalla popolazione come una pedina americana.

Oltre all’opposizione diffusa all’interno dell’Iraq, l’accordo è già stato condannato da Paesi vicini all’Iraq come un tentativo Usa di dominare la regione.

Particolarmente duri sono stati gli attacchi dell’Iran. Dopo quelli arrivati da ambienti vicini all’establishment clericale, anche Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, un politico che ha fama di moderato, ieri ha detto che un accordo di questo tipo creerebbe in Iraq “una occupazione permanente".

"L’essenza di questo accordo è trasformare gli iracheni in schiavi degli americani", ha dichiarato Rafsanjani senza usare mezzi termini, nel corso di un incontro di personalità musulmane alla Mecca.

Maliki fra l’incudine e il martello

E il Primo Ministro iracheno Nuri al-Maliki? Si ritiene che a livello personale sia contrario ai termini dell’accordo, ma che tuttavia non abbia molta scelta. Perché il governo da lui guidato non durerebbe un giorno se privato dell’appoggio di Washington.

Dunque non c’è speranza che a contrastare il patto con gli Usa sia lui, e neppure i suoi ministri, per quanto alcuni abbiano espresso - a parole – il rifiuto di qualunque accordo che limiti la sovranità dell’Iraq, scrive l’Independent, che cita alcuni “osservatori iracheni” secondo i quali alla fine le autorità di Baghdad cederanno.

L’unico che potrebbe bloccare l’accordo, sottolinea il quotidiano britannico è il Grande Ayatollah Ali al Sistani, il leader religioso che ha più influenza fra gli sciiti iracheni – e che già nel 2003 costrinse gli Usa ad accettare che a scrivere la nuova Costituzione fosse un Parlamento uscito da elezioni generali.

Sistani finora non si è espresso pubblicamente (il leader religioso molto raramente si pronuncia su questioni politiche), ma si dice che non sia affatto contento, e che sosterrebbe la necessità che un eventuale accordo con gli Usa venga approvato da un referendum popolare.

La stessa richiesta fatta apertamente da Muqtada al Sadr, che ha invitato tutti gli iracheni a protestare in massa ogni venerdì, dopo la preghiera, per fare pressioni sul governo. Invito che è già stato raccolto.

Ma il referendum vede l’assoluta contrarietà di Washington, che teme che l’accordo verrebbe bocciato.

Fra l’incudine e il martello, il governo di Baghdad, vorrebbe rinviare la firma, ma l’ufficio del vice-presidente Usa Dick Cheney sta facendo di tutto per costringere a concludere il tutto, scrive l’Independent, che aggiunge che l’ambasciatore Usa a Baghdad, Ryan Crocker, sta lavorando da settimane per riuscirci.

Il Parlamento iracheno: nessun accordo senza ritiro delle truppe Usa

Le autorità irachene hanno detto diverse volte che l’accordo a lungo termine con gli Stati Uniti verrà presentato al Parlamento per la ratifica.

E su questo fronte non arrivano buone notizie – per Washington.

La maggioranza dei parlamentari iracheni ha infatti scritto una lettera al Congresso Usa nella quale si respinge qualsiasi accordo a lungo termine fra i due Paesi se esso non verrà collegato all’impegno che Washington ritiri le sue truppe.

Alcune parti della lettera sono state rese pubbliche ieri da William Delahunt, deputato Democratico eletto in Massachussets e contrario alla guerra in Iraq.

"La maggioranza dei parlamentari iracheni rifiuta con forza qualunque accordo militare-di sicurezza, economico, commerciale, agricolo, di investimenti, o politico con gli Stati Uniti che non sia collegato a meccanismi chiari che obblighino le forze militari americane occupanti a ritirarsi completamente dall’Iraq", si legge nella lettera.

A detta di Delahunt, il documento porta la firma di poco più della metà dei deputati iracheni, due dei quali ieri hanno testimoniato di fronte alla sottocommissione della Camera dei Rappresentanti di cui è presidente.

“Quali sono le minacce che richiedono la presenza delle forze Usa nel Paese?”, ha chiesto Nadim al-Jabiri, esponente di spicco di Fadhila, un partito sciita nazionalista di ispirazione ‘sadrista’. “Vorrei informarvi che non c’è nessuna minaccia in Iraq. Siamo capaci di risolvere i nostri problemi”.

Al-Jabiri ha sottolineato che “il governo iracheno attualmente non ha ancora il pieno controllo della propria sovranità a causa delle migliaia di truppe straniere che sono sul suo territorio”, e forse “non ha ancora strumenti sufficienti per gestire i suoi affari interni”.

“Pertanto, chiedo al governo americano di non mettere in imbarazzo il governo iracheno mettendolo in  una situazione difficile con questo accordo”, ha concluso il deputato sciita.

Khalaf al-Ulayyan, sunnita e leader del National Dialogue Council, che delle tre formazioni che compongono l’Iraqi Accord Front, la maggiore coalizione sunnita rappresentata in Parlamento, è quella decisamente contraria all’occupazione, ha detto ai membri del Congresso che qualunque trattativa fra Stati Uniti e Iraq per un accordo in materia di sicurezza deve essere sospesa finché le truppe Usa non si saranno ritirate.

E finché a Washington non ci sarà un nuovo governo.



Fonti: Independent, Reuters, Associated Press