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Conferenza Fao, crisi alimentare e rialzo dei prezzi dei beni di prima necessità. Alcune riflessioni

di Carlo Gambescia - 06/06/2008

 

Due premesse.
In primo luogo non pretendiamo di risolvere con un post il problema, come si diceva un tempo, della fame nel mondo, acuitosi alla luce dell’attuale rialzo dei prezzi dei beni di prima necessità, soprattutto nel Sud del mondo, ma soltanto di proporre alcune riflessioni.
In secondo luogo, già una settimana fa, sapevamo perfettamente che il vertice Fao di Roma non avrebbe cavato il classico ragno dal buco. Il lettore penserà che non ci voleva molto... E' vero, ma veniamo al punto.
L’ economia mondiale per migliaia di anni, e grosso modo fino all’inizio dell’Ottocento, si è basata sull’autoconsumo e gli scambi locali. Nel mondo pre-capitalistico la quota di commercio estero riguardava, soprattutto per l’Occidente europeo, alcuni prodotti di lusso, riservati soltanto alle classi elevate, importati dalle “Indie” e dall’America Spagnola.
La vera e propria rivoluzione dei consumi di massa (con conseguente fine dell’autoconsumo e del piccolo commercio interno) risale perciò all’ascesa dell’Inghilterra imperiale, post-napoleonica, e a quella degli Stati Uniti, avvenute rispettivamente nel corso dell’Ottocento e del Novecento. Naturalmente semplifichiamo.
L’imperialismo britannico e americano, funzionali alla marcia di un capitalismo fondato sulla borsa e sulla necessaria e progressiva estensione dei commerci internazionali di qualsiasi tipo di bene (dall’oro al grano), hanno progressivamente smantellato, per Dna interno, ogni forma di autoconsumo e commercio locale.
Il che ha permesso all’Occidente euro-americano, forte del suo predominio politico e militare, di svilupparsi a spese del Sud del mondo. In che modo? Controllando politicamente, militarmente ed economicamente il mercato delle materie prime, di tutte le materie prime. Affidandosi, prima e dopo la colonizzazione, a borghesie locali corrotte, schiave ben pagate dell’Occidente. Il che ha implicato in molti paesi del Sud del mondo la nascita di monoculture per l’esportazione a danno del soddisfacimento del consumo interno. Oppure a forme di progressivo sostegno agli agricoltori del Nord del mondo, perché producessero sempre di meno, favorendo così le importazioni, a buon mercato, dal Sud del mondo. Attivando così quei meccanismi speculativi, capaci di far arricchire enormemente soltanto le grandi società transnazionali, ad esempio, nel settore alimentare: autentiche tenaglie economiche dell’Occidente euro-americano. Dove - è bene ricordarlo - economia e politica sono sempre andate di pari passo, grazie alla comune base sociale e culturale di riferimento, segnata da una forma di cattivo illuminismo, a sfondo materialista ed economicista.
Il prodotto “finale” era ed è molto semplice: il Nord che sfrutta il Sud del mondo perché più forte politicamente, militarmente ed economicamente. Ma, ovviamente, per il suo bene...
Ora, si legge, che lo sviluppo del capitalismo nel Sud del mondo, a cominciare da una Cina affamata di consumi, sembra mettere in discussione questi meccanismi, grazie alla galoppante crescita del prezzo dei beni di prima necessità. Legata all'aumento della loro domanda. Di qui gli attuali venti di crisi mondiale, anche politica.
Il punto è che eventualmente si tratterebbe di dare sfogo a una “guerra”, per ora economica, tra capitalismi, e non tra forme politiche e sociali differenti. Al massimo, potremmo pertanto parlare di un regolamento di conti tra vecchi e nuovi imperialismi, a danno, però, dei paesi realmente poveri.
In realtà la vera via d’uscita dalla attuale crisi è una sola: ritorno all’ autoconsumo e al commercio locale, naturalmente per grandi aree regionali. Che cosa intendiamo dire? Che, come insegna la storia economica pre-capitalista, in un quadro, segnato da un’economia “localizzata” e incentrato sui bisogni non di astratti consumatori “mondializzati” ma di uomini e donne in carne e ossa, prima, come è avvenuto per secoli, si provvede al consumo interno, e dopo, alla commercializzione, dell’eventuale surplus. Ma, ripetiamo, solo dopo aver soddisfatto la domanda interna.
Si tratta di una scelta che implica la fuoriuscita, per grandi blocchi geopolitici, dal mercato mondiale, oggi controllato dagli Stati Uniti e dalle grandi società transnazionali.
Il che, dispiace dirlo, potrebbe richiedere l’uso della forza. Altro che Fao...