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Attenti a quei due. La sudditante politica estera italiana

di byebyeunclesam - 06/06/2008

 

In un articolo apparso su La Repubblica lo scorso 27 maggio, il generale Fabio Mini commenta le novità che i neoministri degli Esteri Frattini e della Difesa La Russa vorrebbero introdurre sull’impiego del contingente italiano in Afghanistan.

Entrambi (…) invocano la flessibilità cercando di dimostrare che essa non comporta né cambiamenti, né maggiori rischi. Sbagliato. Tradotta in termini militari la flessibilità a cui fanno riferimento comporta invece più rischi, una gamma di operazioni più ampia, forze più mobili, più versatili e più integrabili in contesti multinazionali. In soldoni, più carri armati, missili, elicotteri, aerei, intelligence, più combattenti e barelle.
Il ministro La Russa ritiene di poter ottenere maggiore flessibilità incidendo sul fattore tempo. Secondo lui essere più flessibili significa non avere 76 ore di tempo per rispondere alle richieste Nato ma soltanto sei. Operativamente sei ore sono una eternità identica alle 76. In realtà non servono più di sei minuti per dare una risposta politica ad una richiesta militare della Nato. E se l’intervento è necessario e urgente, il caveat non si applica. Dal punto di vista operativo, il caveat temporale (massimo e non minimo) serve perciò da alibi per l’indecisione. Dal punto di vista politico serviva invece ad un governo diviso e traballante a prevenire e vagliare le richieste, a decantarle e a frenare le pulsioni omicide o le frustrazioni di gente che non faceva differenza nell’ammazzare dei civili o dei terroristi.
Quel tempo era una prova di profonda sfiducia nelle regole, nella politica e nella strategia dei maggiori alleati che, mescolando la missione di assistenza con la guerra di Enduring Freedom, le avevano rese inefficaci e inutilmente vessatorie nei riguardi del popolo afgano. Nulla è cambiato nell’atteggiamento, nelle strategie o nei risultati dei nostri alleati perché questa sfiducia possa essere rimossa. Semmai, proprio perché tira un vento di allineamento acritico, il tempo di decantazione e riflessione è più necessario che mai.
Il ministro Frattini insiste sull’aspetto geografico della flessibilità: bisogna rimuovere i limiti ai nostri interventi in aree diverse da quelle assegnate. Anche questo è un caveat teorico che non ha mai impedito ai nostri di fare il loro dovere e più del loro dovere. È un caveat che tutte le nazioni hanno e che i cosiddetti alleati maggiori impongono in maniera feroce. Cattiveria, miopia? No, è una questione di autonomia di comando e controllo. La flessibilità geografica e l’allineamento di Frattini possono includere operazioni che destabilizzano gli equilibri locali che altri hanno faticosamente costruito, e comunque comportano l’impiego delle nostre truppe in settori distanti, diversi, sotto comando altrui, in situazioni provocate o subite da altri. Significa dare uomini per operazioni non chiare e per scopi diversi dalla lotta al terrorismo o dalla ricostruzione. La flessibilità geografica comporta quindi una preparazione diversa, mezzi diversi, regole d’ingaggio diverse, responsabilità e rischi diversi. Significa fare quello che vogliono gli altri alle dirette dipendenze degli altri.
Non è esattamente una evoluzione. È vero che la guerra è guerra, ma allora bisogna ribattezzare la missione e prendere atto che la rimozione dei caveat non ci consegna più libertà, efficienza e conoscenza, ma solo più subalternità e maggiore corresponsabilità negli errori o nelle velleità altrui
”.

Tutto ciò avviene mentre sul terreno è in atto un tentativo di resuscitare la filosofia del cosiddetto gruppo “Sei più Due” - i sei Paesi confinanti con l’Afghanistan: Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Cina e Pakistan più Russia e Stati Uniti - che nel 1997 aveva provato, inutilmente, di far dialogare l’Alleanza del Nord con i Talebani.
Suscitando reazioni gelide da parte di Washington, russi e cinesi hanno attivato i loro referenti dell’ex Alleanza del Nord - oggi nota come Fronte Nazionale Unito, partito di opposizione al sempre più debole governo Karzai – i quali negli ultimi mesi si sono ripetutamente incontrati con esponenti talebani di alto livello al fine di avviare negoziati per una riconciliazione nazionale.