L'universo che si autoorganizza
di Michael Talbot - 25/01/2006
Fonte: www.globalvillage-it.com
Una delle ragioni che hanno indotto la scienza a disinteressarsi del fenomeno dell'autoorganizzazione per così tanto tempo, dipende dal grande rispetto per una delle sue più care leggi, una formidabile affermazione conosciuta come la seconda legge di termodinamica. Nella accezione più semplice questa legge afferma che, nel tempo, ogni sistema chiuso tende ad uno stato di maggiore disordine, come la dispersione di una goccia di inchiostro in un secchio d'acqua, la stanza che tende al progressivo caos e non all'ordine, le montagne che lentamente vengono consumate dal vento e si disgregano in sabbia.
La prima formulazione della seconda legge di termodinamica fu opera del fisico francese Sadi Carnot nel 1824 che basò la sua conclusione sull'osservazione dei motori termici. L'evidenza del processo fisico di dispersione del calore e dell'energia e la constatazione che ogni motore tende verso una rottura, convinse Carnot e la generazione di scienziati che lo seguirono a concludere che la seconda legge di termodinamica doveva essere applicabile anche al resto dell'universo.
C'era un solo problema evidente: gli organismi viventi non si conformavano così precisamente alla legge di Carnot.
Dall'inizio dell'evoluzione sulla Terra l'organizzazione delle cellule, ben lontane dal separarsi, tendono invece ad un progressivo unificarsi, organizzarsi ed evolversi in strutture multicellulari sempre più complesse.
Il problema dell'origine e dell'evoluzione del DNA, con le sue mirabili complessità, pose in evidenza l'inadeguatezza della seconda legge di termodinamica. La comunità scientifica reagì considerando che la vita sul pianeta era una sorta di aberrazione, di caso, un temporaneo fenomeno che sarà distrutto dal flusso delle leggi dell'universo verso il disordine.
La pubblicazione del libro del fisico austriaco Erwing Schrodinger "What is life?" assegnò un punto di ripensamento per una successiva riconciliazione tra la seconda legge e l'evidente spinta dei sistemi viventi verso la complessità. Prigogine fu uno dei ricercatori più convinti della necessità di rivedere che cosa non era stato valutato correttamente nella comprensione termodinamica delle strutture viventi. Secondo lui era necessario scoprire le leggi di come la vita si evolve dal caos.
Per anni lavorò alla formulazione matematica di leggi che chiarissero la comprensione dell'auto-organizzazione. Un ricercatore russo di nome Anatoli Zhabotinsky, negli anni sessanta, scopri una reazione chimica che rispecchiava esattamente le predizioni delle equazioni matematiche di Prigogine. Non più confinato alle vaghe generalizzazioni sulle possibilità dei sistemi auto-organizzanti Prigogine rifinì le equazioni e offrì una comprensione totalmente nuova dei processi termodinamici che possono essere cosi riassunte. La maggior parte dei sistemi che conosciamo (viventi e non) sono aperti e in continuo scambio di materia, energia e, fatto più importante di informazioni con l'ambiente, per cui Prigogine ritiene che tali sistemi devono essere visti come fluttuanti e lontani dell'equilibrio. I sistemi aperti e lontani dell'equilibrio termodinamico, possono nelle loro fluttuazioni arrivare a situazioni di eccesso; se la fluttuazione diventa cosi potente da mettere in stato di instabilità la struttura preesistente, il sistema è giunto ad un punto di crisi che Prigogine chiama "punto di biforcazion".
È in questo punto che "il sistema si comporta come un tutto" e si auto-organizza ad un livello di ordine superiore o si disgrega verso il caos. Il fenomeno dell'evoluzione diventa quindi il risultato dell'insieme degli infiniti salti di organizzazione. Secondo questa concezione l'ordine di un sistema deve passare attraverso un processo di aumento del caos, di crescita del disordine per evolversi ad un ordine più elevato e complesso. Questo nuovo concetto di caos rispecchia la concezione presocratica di un caos creatore, un caos fecondo di nuove esperienze. Le strutture che riescono a superare il punto critico di biforcazione organizzandosi in una struttura completamente nuova, vengono chiamate "strutture dissipative" per la capacità di dissipare il nuovo flusso di energia o di informazione. Per questa teoria Prigogine vinse il Premio Nobel nel 1977.
Questa visione ha implicazioni molto interessanti: 1) che vi sono molte reazioni, come quella di Zhaboinski, che sono a metà strada tra la vita e la nonvita, 2) i sistemi aperti autoorganizzanti sono la norma nell'universo mentre i sistemi chiusi, come quelli descritti dalla seconda legge di termodinamica, sono una sorta di eccezione e 3) il caos non è il fine a cui tende l'intero universo ma uno stato progenitore dell'ordine. Così facendo Prigogine ha rovesciato le implicazioni delle equazioni matematiche della termodinamica classica aprendo dimensioni di ricerca e speculazione totalmente sconosciute prima d'ora: "Questo è il cuore del messaggio" scrive Prigogine, "la materia non è inerte, essa è viva e attiva". Le ricerche di questo studioso sono state utilizzate in numerosi campi come la sociologia, la metereologia, la biologia e la cosmologia.