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Plan Puebla Panamà

di Claudia Regina Carchidi - 09/06/2008

 

Centodue milioni di chilometri quadrati, dallo Stato messicano di Puebla alla re pubblica di Panamà praticamente tutto il Centroamerica e il sud-est del Messico: è il territorio scelto per il Plan Puebla Panamà (PPP), l’ambizioso progetto di sviluppo economico presentato nel 2000 dal presidente messicano Vicente Fox. Il leader messicano,in seguito alle elezioni politiche nel luglio del 2000, avanzò fin dall’ inizio del suo mandato presidenziale la proposta di realizzare un piano di sviluppo regionale del Sud-est del paese ossia : il Pan Puebla Panama, progetto di sviluppo e unione degli Stati che si trovano in America Centrale, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Belize e, appunto, Panama. IL PPP, programma congegnato dal Presidente messicano congiuntamente con le diverse componenti capitalistiche nei suoi diversi punti ,secondo una tipologia formulata da più di dieci anni dalla Banca Mondiale, fu ritenuto un’offesa agli Stati del sud-est messicano perché rinchiusi in un piano con gli Stati dell’’America Centrale ritenuti non all’altezza del tenore e della crescita economica messicana del nord del paese. Il Piano Economico Plan Puebla Panama (PPP) è nella sua sostanza l’ennesima prova, da un canto, del non rispetto della sovranità degli Stati latino-americani e, dall’ altro canto, dell’ingerenza ripetuta ed incessante della ricetta nord americana e dei piani neoliberali come lo sfruttamento delle risorse naturali , le privatizzazioni, l’entrata delle diverse imprese internazionali nel tessuto socio-economico degli Stati Latino-americani. Il piano presentato include molteplici aspetti d’intervento come costruzione di infrastrutture, strade ed autostrade, gasdotti, elettricità, centrali idroelettriche in tutto il corridoio mesoamericano. Il piano accompagnato da un documento, intitolato “Anche il Sud esiste” tratteggia in termini paternalistici la condizione dei popoli del sud-est del paese, con l’obiettivo di “impietosire” sulla situazione di miseria degli indigeni , mettere in rilievo la pseudo necessità che hanno di ricevere investimenti di grandi capitali per risolvere i problemi che da secoli li affliggono tutto questo, ovviamente, senza interpellare e contemporaneamente calpestando i diritti delle popolazioni indigene che vivono nell’area interessata dal Plan. L’”Unione”fra Panama e gli Stati a sud- est del Messico è solo una scusa priva di originalità. Di fatto il progetto, in questa vastissima aerea del mondo - che da sola comprende più del 10 per cento del patrimonio naturale di tutta la terra - permetterebbe il passaggio di un’enorme quantità di sostanze biologiche e lo sfruttamento senza fine, da parte delle grandi multinazionali nord americane, delle vastissime aree idrogeologiche della natura incontaminata e dell’ intero patrimonio.
Sono ben 40 le centrali idroelettriche che dovrebbero essere privatizzate nel solo Chiapas secondo il Plan. Addirittura il progetto iniziale ne prevedeva ben cento. Il Plan contempla anche la vendita a privati, in maggioranza multinazionali inglesi e francesi (come è avvenuto in Bolivia), di fiumi e bacini.
In pratica il Plan Puebla Panama , porterebbe a conseguenze quasi catastrofiche quali il progressivo trasferimento e distruzione delle popolazioni originarie che vivono da millenni in questa regione, il saccheggio delle risorse naturali, l’eventuale appropriazione da parte delle grandi multinazionali delle risorse della zona interessata dal Plan, lo sfruttamento del lavoro degli indios, e il controllo regolato dell’emigrazione. Con il risultato che le popolazioni autoctone saranno in definitiva soggetti a doppio sfruttamento quello operato dalla classe dirigente o dalla burocrazia del partito e quello operato dal mondo esterno. Questo corridoio fra l’Atlantico e il Pacifico, passaggio dei traffici tra l’America del Sud e gli Stati Uniti, abitato da 64 milioni di abitanti in gran parte contadini e indios, dovrebbe riempirsi, nel giro di qualche anno, di porti, strade, ferrovie, aeroporti, dighe, industrie. Con queste premesse è facile capire perché, il Plan Puebla Panamà continua a sollevare proteste: della società civile, della popolazione indigena, di tutti coloro che vedono, dietro la scusa dello sviluppo, il saccheggio di un’area ricchissima. E’ un pericolo per le popolazioni indigene, che proprio in questi giorni, stanno avviando gli incontri per la creazione di un movimento nazionale contro il famigerato piano. Plan Puebla Panamá e diritti indigeni sono incompatibili. Tutti i programmi di costruzione di strade, quelli di privatizzazione  del petrolio e della biodiversità, sono componenti del PPP che le popolazioni indigene rifiuterebbero, se potessero decidere. Un aspetto sottinteso nel PPP è quello di ‘liberare’ gli Stati a sud est del Messico dalla sua gente, per trasferirla nelle città e convertirla in forza lavoro per l’industria. E’ un programma di espulsione che in cambio offrirà condizioni di lavoro infami nei centri urbani, con salari bassissimi, competitivi con quelli asiatici. In che modo il PPP prevede espulsione della popolazione? Il sistema più comune previsto dal Piano è di rovinare l’agricoltura: ponendola in competizione con quella nordamericana, non dando credito alle produzioni tradizionali (mais, legumi), non proteggendo la legislazione nazionale per impedire che la proprietà collettiva si trasformi in privata. Si lascia insomma che i ‘grandi divorano ingordamente i piccoli .Oggi il Sud-America sfugge in parte dal controllo degli USA, soprattutto nella regione del Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay). Analisti critici hanno visto nel Plan Puebla Panamá un’occasione in più per permettere agli interessi statunitensi di entrare in Messico e in Sud America.
Per gli Stati Uniti smantellare la sovranità alimentare degli Stati latino- americani, subordinare il loro sviluppo industriale e, soprattutto, ottenere il controllo delle materie prime della regione: acqua, minerali, il petrolio è vitale . Il PPP è un programma di sviluppo: delle multinazionali non, certamente, un progetto di sviluppo sociale. Plan Puebla Panamá nella sua essenza è e, rimane una copertura demagogica, che finge attenzione alla popolazione indigena. Se così non fosse,allora, bisognerebbe domandare al governo Fox quale politica sociale prevede l’espulsione degli indigeni, di svendere le risorse nazionali al capitale internazionale, la varietà biologica e culturale, l’industria locale? Se è vero che il “villaggio” per alcuni regimi rivoluzionari o per quelli animati dalle migliori intenzioni rappresenta il passato la città è di contro, la fallace innovazione del presente. Abbandonando le antiche vie per indirizzarsi verso i miraggi dell’ industrializzazione, dello sviluppo esasperato del settore estrattivo si produrranno fenomeni abnormi e una proliferazione di nuovi poli di interesse e di attrazione, a tutto danno di quelle che erano e sono le fonti di vita tradizionali di un Sud- America rurale e contadino. Dovunque, il divario città- campagna, burocrati- contadini, potere-subalternità costituisce l’ostacolo principale ad ogni tentativo di sviluppo nazionale ed endogeno. Così tanto per citare un esempio applicabile a non pochi Stati Sud- americani; nei diversi programmi di “sviluppo” varati nella e per la “regione”, non solo si enfatizzava la necessità di dare assoluta priorità allo sviluppo rurale rispettando, ovviamente, i diritti degli indigeni, di ridurre il divario tra città e campagna; ma all’atto pratico, gli investimenti stanziati in bilancio dai vari governi privilegiavano e privilegiano in primo luogo i trasporti e le reti di comunicazioni , poi l’industria lasciando l’agricoltura (nelle sue varie voci e settori) solo il 12,5 % del bilancio statale. La storia del Continente latino- americano minaccia di diventare la storia generata dalla città, dove l’apparato dirigenziale ostenta soddisfazione e ricchezza, dove l’elite culturali si affermano all’ insegna del consenso o si mobilitano all’ insegna della contestazione; dove ci si sforza di ricreare un modello nordamericano che è solo parodia. La verità è che i guasti commessi non si possono riparare e che certi orientamenti appaiono irreversibili. E’ impressionante come il fenomeno del capitalismo selvaggio si sia abbattuto come un’ onda alta su tutto il Continente latino-americano cambiandone morfologia e alterando gli equilibri socio-culturali così come, nella stessa misura, il fascino del grande sbarramento idroelettrico, dell’ oleodotto o del cementificio abbia provocato una reale disaffezione per il mondo rurale e per la sua gente che restano sempre più lontani e dimenticati dalle priorità delle agende politiche dei governi.