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Il Sahel e il cambiamento del clima

di Marina Forti - 09/06/2008

 

La «linea del fronte della battaglia contro il cambiamento del clima» è il Sahel. Così Jan Egeland, «consigliere speciale» del segretario generale dell'Onu per la risoluzione dei conflitti, definisce la regione che separa il deserto del Sahara dalle terre più fertili dell'Africa nera, una lunga fascia semi desertica che corre dall'Atlantico fino al Mar Rosso.
A guardare quei paesaggi aridi di terra sabbiosa e roccia, si capisce bene perché Egeland ne faccia la «linea del fronte» del cambiamento del clima. Si capisce anche perché sia proprio un esperto della «risoluzione dei conflitti» a parlare di clima e di povertà. In effetti Egeland, già consigliere dell'Onu per i diritti umani, afferma che il Sahel è un luogo dove «il cambiamento del clima, il degrado ambientale, il conflitto per le risorse naturali, il traffico di droghe, armi e esseri umani... tutto si mescola in un cocktail letale» (così dichiarava ieri in un'intervista all'agenzia Reuter).
Un cocktail letale. L'inviato delle Nazioni unite sta visitando alcuni dei principali stati del Sahel: Burkina Faso, Mali, Niger. In Mali ad esempio ha visitato laghi e fiumi che si stanno prosciugando, drammatico effetto di una prolungata siccità. In tutta la regione la siccità e l'avanzata del deserto rendono ancora più difficile la vita sia degli agricoltori stanziali, sia delle popolazioni pastorali.
In Mali ad esempio Egeland ha incontrato i leader di comunità Tuareg: i quali hanno spiegato come si sentano negletti dalle nazioni in cui vivono e dall'intera comunità mondiale, lasciati nella povertà. «Questi risentimenti, la povertà acuita dal degrado ambientale, acuiscono la sensazione di essere lasciati ai margini... Si sentono minacciati come comunità pastorale: e questo spinge molti giovani a convincersi che "no, non voglio più dialogo, voglio lottare perché il dialogo non porta a nulla"», dice Egeland. E infatti tra i Tuareg divampa ormai da un paio d'anni una ribellione armata, che si è manifestata a volte nel territorio della Mauritania, di recente nello stesso Mali dove guerrieri nomadi hanno attaccato accampamenti militari e colonne di truppe nella regione nordorientale del Kidal - il mese scorso uno di questi attacchi ha lasciato 17 ribelli e 15 soldati sul terreno. Anche nel Niger, una ribellione armata guidata da Tuareg nella regione che produce uranio ha fatto già 70 morti tra i soldati governativi: e il conflitto sta salendo di intensità, come testimonia il fatto che un migliaio di civili (sempre Tuareg) sono sfollati a sud, nel Burkina Faso, per sottrarsi ai combattimenti. Ieri il governo burkinabé ha fatto appello all'assistenza umanitaria internazionale per aiutarli.
Ad aggravare il tutto, la regione tra Sahel e Sahara è anche una zona di contrabbandi e traffici, con grandi quantità di droghe e di armi che traversano la regione: Egeland spiega che narcotrafficanti colombiani ormai hanno fatto di quella regione dell'Africa occidentale un hub per il traffico di cocaina verso l'Europa, usando sia imbarchi sulle coste atlantiche sia le via carovaniere attraverso il Sahara verso nord. Tanto che molti si chiedono quanto, nella rivolta Tuareg, sia autoctono e quanto sia istigato e alimentato da trafficanti di droghe e armi...
Insomma, ha ragione l'inviato dell'Onu: il Sahel illustra in modo perfetto come il degrado ambientale, lo sfruttamento (legale o illegale) di risorse, traffici e contrabbandi, emarginazione sociale e povertà possano produrre una miscela esplosiva.