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Semi, guerre e carestie - Capitolo XIV

di Romolo Gobbi - 10/06/2008

Autore: RomoloGobbi | Data: 09/06/2008 7.54.06
14. Le grandi carestie dell’Ottocento

La guerra civile americana ebbe, come ogni guerra precedente, conseguenze fortemente negative sull’economia della parte sconfitta. Oltre alle perdite umane, che furono di 320.000 morti e circa 200.000 tra mutilati e invalidi (le cifre per il Nord furono rispettivamente 365.205 e 285.245), l’intera agricoltura del Sud venne sconvolta dal: “decadimento delle strade, delle opere irrigue, dei lavori di disboscamento, l’abbandono di immense distese di campi per cui l’estensione coltivata registrò una diminuzione del 18% ...”.(1) Ma lo sconvolgimento maggiore dell’agricoltura sudista venne dall’emancipazione totale e immediata degli schiavi, anche se: “Molti schiavi neri non intravidero altre alternative di continuare a lavorare per l’uomo bianco, sulla sua terra e a suo vantaggio. Il nuovo modello adottato dall’agricoltura nel sud quello della mezzadria”.(2) Già durante gli ultimi mesi di guerra si era fatta sentire la fame sia tra i soldati che tra la popolazione civile del Sud, e il fenomeno continuò anche negli anni successivi, anche perché dal Nord non venne alcun aiuto.
Un fenomeno analogo si era verificato pochi anni prima in Irlanda, ma le sue dimensioni furono catastrofiche e le perdite umane ancora più gravi di quelle complessive della guerra civile americana. Non furono le conseguenze di una guerra a provocare la Grande Carestia irlandese tra il 1845 e il 1849, anche se la situazione, che consentì lo sviluppo della crisi, era il risultato di un conflitto tra Inghilterra e Irlanda che durava da quasi 700 anni, e che in misura ridotta dura ancor oggi.
Il primo tentativo di colonizzare l’Irlanda venne fatto nel 1170 quando un piccolo esercito di Normanni sbarcò a Baginbun nel sud dell’isola e vi stabilì una prima testa di ponte inglese. In effetti questi primi uomini non agirono in nome del re Enrico II, che anzi si vide, in seguito, costretto ad intervenire per ristabilire la propria autorità su un vassallo disobbediente, ma: “fu questo il vero inizio dell’intervento inglese in Irlanda, e si può dire che la conquista del paese fu in un certo senso una conseguenza non prevista”.(3)
Dopo il “casuale” distacco da Roma della chiesa inglese voluto dal suo re Enrico VIII, per ragioni di letto, la contrapposizione tra Inghilterra e Irlanda si fece più netta, infatti quest’ultima restò fedele alla chiesa cattolica. All’inizio si pretese solo una formale sottomissione dei nobili irlandesi a Enrico VIII, ma fu la figlia Elisabetta I che portò a termine la vera conquista dell’isola, ispirata dall’odio contro i cattolici. I metodi usati furono a dir poco crudeli, uno dei suoi comandanti, sir Humphrey Gilbert ordinò: “che le teste di coloro che erano stati uccisi quel giorno venissero tagliate e portate al suo campo e collocate lungo la strada che portava alla sua tenda, affinché chiunque si recasse da lui per qualsiasi motivo dovesse passare attraverso un sentiero di teste ... il terrore della gente fu grande quando videro le teste dei loro padri, fratelli, figli, parenti e amici davanti a loro sul terreno”.(4)
Nel 1641 gli irlandesi si ribellarono e commisero atrocità nei confronti dei protestanti: “Un grande numero di altri protestanti, soprattutto donne e bambini sono stati catturati dai ribelli che li hanno colpiti e infilzati con forconi, pugnali e spade e li hanno feriti e mutilati alla testa, al petto, al volto, alle braccia e alle mani e in altre parti del corpo, ma non li hanno finiti, preferendo lasciarli morire dissanguati”.(5) Alle atrocità reali o inventate contro i protestanti rispose con furia inusitata il puritano Cromwell che nel 1694 invase l’Irlanda con il suo esercito “nuovo modello” formato da fanatici puritani, che applicando la teologia della predestinazione sterminarono i “figli di Satana” irlandesi: “Si è calcolato che su una popolazione di 1.400.000 abitanti ne morissero allora circa 600.000”.(6) Lo stesso Cromwell a proposito di quella strage disse che era stata un’opera di Dio: “È quindi giusto che a lui solo vada ogni gloria”.(7) Sempre per “volontà di Dio” le terre degli irlandesi morti, ma anche tutte quelle dei cattolici ad est del fiume Shannon, vennero distribuite ai soldati di Cromwell e ai finanziatori inglesi dell’impresa. Alla fine le terre rimaste agli irlandesi si erano ridotte dal 55 per cento di prima della ribellione al solo 22 per cento, e dopo nel 1694 al 14 per cento e infine al 7 per cento nel 1714. Inoltre le terre rimaste agli irlandesi erano soprattutto concentrate nella regione di Counaught, all’estremità occidentale dell’isola, battuta dai venti dell’Atlantico. Le terre assegnate agli inglesi continuarono ad essere lavorate da irlandesi col sistema dell’affitto: al signore doveva essere pagato un canone esorbitante, mentre i contadini sopravvivevano col prodotto di piccoli appezzamenti coltivati essenzialmente a patate. “I viaggiatori che percorrevano l’Irlanda erano colpiti dall’estrema miseria dei contadini, che campavano coltivando una piccola parcella di terra per la quale pagavano un canone talmente esorbitante che tutto, o quasi tutto, il raccolto di cereali doveva essere venduto per far fronte all’affitto. Le famiglie dei contadini erano costrette a vivere soltanto di patate”.(8) Nel settembre del 1845 cominciò a manifestarsi quello che venne definito il “colera delle patate”, in realtà: “era un fungo allora sconosciuto, la Phytophthora infestans, che provoca la comparsa di macchie nere sulla parte superiore delle foglie e di un muco biancastro su quella inferiore. Questo muco contiene le spore che il vento, la pioggia o gli insetti trasportano su altre piante. Una volta che il fungo si è stabilito su una pianta, il tubero sotto terra comincia ad annerirsi ai margini per poi marcire inesorabilmente”.(9) Nel volgere di pochi mesi il contagio si estese a tutta l’isola e anche all’Inghilterra, ma in Irlanda cominciò la carestia, perché i contadini dovettero comunque pagare il canone ai signori, vendendo grano e animali, altrimenti sarebbero stati sfrattati; e molti lo furono. Un giornale locale lanciò l’allarme: “Tutte le altre preoccupazioni devono lasciare il posto al dovere prioritario di evitare la carestia che incombe sulla classe più bisognosa del paese ... Sarebbe criminale procrastinare ulteriormente la richiesta di misure adeguate da parte del governo per la salvaguardia della vita del popolo”.(10) Naturalmente il governo del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda non fece altro che istituire una Commissione di inchiesta. Entro il febbraio del 1846 era andato distrutto quasi tutto il raccolto di patate e la fame imperversava e conseguentemente: “Il tifo, che sempre si accompagnava in Irlanda alla miseria, aveva fatto la sua comparsa a Cork, a Kilkenny e in altre contee, unitamente alla diarrea e alla dissenteria, imperversava ormai in venticinque contee sulle trentadue dell’isola”.(11) Lo storico non dice che le contee risparmiate dalla carestia erano quelle protestanti dell’Irlanda del nord, da secoli colonizzate da inglesi e presbiteriani scozzesi. Così quando dice che “nessuno era ancora morto di fame”,(12) non dice se qualcuno era già morto di tifo, diarrea o dissenteria. Il governo prese in effetti alcune misure: fare arrivare grandi quantità di mais dagli Stati Uniti, e abolire le leggi protezioniste del grano diminuendone così il prezzo. Ma gli irlandesi non avevano soldi per comprare questi prodotti e quindi il governo liberale decise di far fare dei lavori pubblici per permettere alla gente di guadagnare i soldi per comprare il mais e il grano: ma se erano malati non potevano lavorare: “Lo stato non doveva distribuire cibo gratuitamente, perché così facendo avrebbe depresso i prezzi di mercato e avrebbe scoraggiato gli operatori dall’offrire sul mercato stesso le derrate alimentari, proprio ciò che bisognava evitare in un momento di carestia”.(13) Si potrebbe dire che le vittime della carestia erano da addebitarsi alle ferree leggi della domanda e dell’offerta, ma vi fu anche la complicità della burocrazia, per cui i depositi di mais vennero aperti solo a maggio del 1846 quando ormai la gente era disperata e senza un soldo per comprarlo e anche i lavori pubblici erano in ritardo. Dunque la folla esasperata cominciò ad assalire i depositi di alimentari perché: “In realtà in Irlanda vi era disponibilità di ogni tipo di cibo eccetto le patate, dato che tutti gli altri raccolti avevano dato risultati eccellenti. Grandi quantità di generi alimentari erano quindi disponibili per l’esportazione”.(14) Anche i mulini vennero presi d’assalto: “Si sono verificati assalti ai mulini a Clonmel da parte di persone con le ossa che sporgevano dalla pelle, con gli occhi infossati come se si fossero appena levati dal sepolcro, che gridavano di non poter più sopportare la miseria in cui si trovavano e che dovevano prendersi il cibo che non potevano guadagnarsi ...”.(15)
L’unica cosa che il governo inglese si precipitò a fare fu un Coercition Bill, una legge che stabiliva severe misure di polizia e il coprifuoco e che prevedeva quindici anni di deportazione per chi avesse violato la legge. Un nuovo governo, presieduto da John Russel, fece anche di peggio, bloccò un carico di mais che stava viaggiando verso l’Irlanda: “Il solo modo per impedire che la gente si abitui a dipendere dall’aiuto del governo è di porre immediatamente termine a queste iniziative. Le incertezze circa il nuovo raccolto rendono questa decisione ancora più necessaria. Qualsiasi cosa possa accadere in seguito, queste operazioni devono cessare subito o correremo il rischio di paralizzare l’iniziativa privata e di dover provvedere a tutti i bisogni di questo paese per molti anni a venire”.(16) In piena carestia, due anni dopo, qualcuno scrisse: “Le strade sono piene di scheletri ambulanti. I campi sono pieni di morti ... Il flagello di Russel è ancora più terribile di quello di Cromwell ...”.(17) Infatti fin dalla fine del 1846 cominciarono a morire le persone per denutrizione a migliaia e la responsabilità venne subito attribuita al governo: “Si parla tanto della potenza dell’Inghilterra, della sua marina, del suo oro, delle sue risorse e naturalmente, dei suoi illuminati statisti. Il fatto però è che l’Inghilterra non è neppure in grado di impedire che i propri figli muoiano di fame”.(18) La gente moriva di fame per le strade o agonizzava nelle capanne senza che nessuno se ne occupasse: “Domenica scorsa, 20 dicembre, una giovane donna che elemosinava per le strade di Cork, è caduta al suolo incapace di muoversi o parlare. Dopo essere stata soccorsa e riportata alla sua capanna, ha detto che suo padre e sua madre erano morti nelle ultime due settimane. La ragazza ha poi indicato ai soccorritori un mucchio di paglia sporca che giaceva in un angolo e che sembrava nascondere qualcosa. Rimossa la paglia, i presenti sono rimasti inorriditi alla vista dei cadaveri di due ragazzi, in parte deturpati dai topi, e ormai in decomposizione. Giacevano lì da almeno una o due settimane ...”.(19)
Intanto cominciavano a verificarsi le morti per il tifo, portato dai pidocchi che stavano invadendo il paese. Durante tutto il 1847 il tifo imperversò in tutta l’Irlanda raggiungendo anche le grandi città come Dublino e Belfast, nelle quali non esistevano contadini, ma dove erano affluiti in massa in cerca di rifugio e soprattutto di cibo, portando con sé il contagio: “Folle di creature affamate sono affluite dai distretti rurali e prendono possesso degli androni di alcuni edifici pubblici dove sistemano un po’ di paglia e vi rimangono fino alla morte. Di conseguenza l’epidemia si è sparsa in tutta la città ...”(20)
Nonostante tutto questo accadesse in una parte del territorio inglese il suo governo continuava a rifiutare di fornire aiuti gratuiti: “Se gli irlandesi scoprono che vi sono casi in cui possono sperare di avere elargizioni gratuite da parte del governo, finiremo per avere un numero di mendicanti quale il mondo non ha mai conosciuto” (21) Si insisteva invece coi lavori pubblici, che nel marzo del 1847 davano lavoro a 728.000 persone stremate e malate che, coi miseri salari guadagnati, non potevano certamente ricuperare né le forze, né la salute. Finalmente a metà del 1847 il governo decise di interrompere i lavori pubblici e di passare alla distribuzione gratuita di cibo con il Soup Kitchen Act, e entro poco tempo quasi la metà della popolazione irlandese poté fruirne. Naturalmente la burocrazia riuscì a creare disguidi, anche in questa situazione di emergenza: “L’ottanta per cento dei lavoratori sono stati licenziati, ma non possono sperare di usufruire degli aiuti prima di dieci giorni. Il comitato ha esaurito i fondi. I morti si sono decuplicati".(22)
Oltretutto il programma di distribuzione gratuita di cibo venne drasticamente ridotto nella speranza che il raccolto delle patate del 1847 andasse a buon fine. Intanto migliaia di irlandesi si imbarcavano da tutti i porti d’Irlanda, prevalentemente verso gli Stati Uniti: nel solo 1847 250.000 irlandesi, uomini donne e bambini si imbarcarono disperati; molti morirono durante il viaggio o subito dopo essere sbarcati. L’inverno 1847-48 fu comunque terribile. “I contadini venivano scacciati dalle terre in numero sempre crescente e i cadaveri giacevano insepolti per giorni […] un ispettore delle strade presso Clifden nella contea di Galway, dovette far seppellire 140 corpi sparsi lungo la strada, mentre un uomo dello stesso distretto, accusato di furto di pecore, evitò la prigione affermando davanti alla corte che sua moglie, impazzita per la fame, era giunta al punto di mangiare la carne della loro figliola morta”.(23) Ma l’inverno 1848-49 fu ancora peggiore perché l’intero raccolto di patate andò perduto. E mentre gli irlandesi continuavano a morire di fame dal porto di Cork in un solo giorno del novembre 1848 vennero esportate: 542 scatole di uova, 9398 barili di burro, 239 pecore, 300 capi di bestiame, 300 sacchi di farina, 1996 sacchi e 950 botti di orzo, 149 barili di alimenti vari, 5 botti di prosciutto, 120 barili e 135 botti di maiale, 147 casse di pancetta. Così mentre i poveri continuavano a morire per le strade la moglie del sindaco di Dublino, nel febbraio del 1949, diede un ballo alla Mansions House: “le danze proseguirono fino a tarda ora e i rinfreschi più ricercati vennero serviti con incredibile profusione”.(24) E il governo inglese continuava a dichiararsi impotente, così disse il Cancelliere John Russel alla Camera dei Comuni nel maggio 1849: “Io non credo che nella presente sfortunata situazione dell’Irlanda, questo parlamento possa fare nulla per prevenire le terribili scene di sofferenza e di morte che si verificano nell’isola...”.(25)
Si può calcolare che alla finedella Grande Carestia irlandese la popolazione contasse circa 2.500.000 di persone in meno: un milione di morti e un milione e mezzo di emigrati. Naturalmente questo olocausto irlandese è stato annoverato tra le infamie compiute dagli inglesi contro gli irlandesi, ovvero dai protestanti contro i cattolici, ma potrebbe anche ben figurare tra le barbarie compiute dai land lords nei confronti dei contadini cacciati con le recinzioni e ridotti a vagabondi da impiccare. Comunque, se l’origine della carestia delle patate in Irlanda fu la Phytophthora Infestans e le grandi carestie di fine ‘800 in Asia, Africa e America del sud furono scatenate dalla siccità provocata da El Niño, il vero responsabile delle catastrofiche carestie fu la prima crudele apparizione del mercato globale. Se in Irlanda il mercato era stato introdotto gradualmente dalla secolare colonizzazione inglese, l’introduzione del mercato in Asia, Africa e America era avvenuto in tempi più brevi, ma con metodi altrettanto crudeli, con la spartizione delle colonie da parte delle grandi potenze imperiali che si era appena completato alla fine dell’800.
L’economia agricola antica si svolgeva in mercati locali, tra comunità legate da affinità culturali e da interessi comuni che le avevano indotte a creare, fin dalle origini preistoriche, riserve di cibo, per salvaguardarsi dai cattivi raccolti. Invece una volta avvenuta “La grande trasformazione”, la creazione di un mercato mondiale: “L’origine reale delle carestie negli ultimi cinquant’anni era dovuta al mercato libero del grano unitamente alla caduta dei redditi locali. La mancanza di grano naturalmente faceva parte di questo quadro, ma l’invio di grano per mezzo della ferrovia permetteva di inviare soccorsi alle aree minacciate; il problema era che la gente non aveva la possibilità di comprare il grano ...”.(26) La legge fondamentale del mercato capitalistico è che lo scambio non avviene tra valori d’uso, ma tra merci che vengono fatte circolare dall’”equivalente generale di scambio” il denaro: e chi non ha denaro crepi.
Negli anni 1877-78, 1896-97, 1899-1900 e 1902 si verificarono in Asia, Africa, Sudamerica delle siccità catastrofiche in conseguenza del fenomeno atmosferico “El Niño”: “i riscaldamenti rapidi del Pacifico tropicale orientale (i cosiddetti fenomeni El Niño) sono associati a monsoni deboli e siccità simultanee in vaste regioni asiatiche, africane e della parte nord-orientale dell’America del sud […] Tutta questa immane altalena di massa d’aria e di temperature del mare, che si estende anche all’Oceano Indiano, è tecnicamente nota come “El Niño-Southern Oscillation” (ENSO)”.(27) Queste siccità causarono la perdita dei raccolti in queste zone, e quindi scatenarono la fame e con la fame vennero le epidemie di malaria, peste bubbonica, dissenteria, vaiolo e colera che fecero morire milioni di persone: “Il totale di vittime umane durante queste tre ondate di siccità, carestie ed epidemie potrebbero ammontare a oltre trenta milioni di persone. Cinquanta milioni non sarebbe una stima irrealistica”.(28)
Tutte queste morti si sarebbero potute evitare se nelle zone colpite fosse stato fatto affluire il surplus di grano prodotto in altre parti del mondo, soprattutto dagli Stati Uniti, che avevano meccanizzato la produzione agricola su vasta scala, ma il mondo sviluppato volle sottolineare con la sua insensibilità quella linea di separazione che lo divideva dal mondo sottosviluppato, anche perché questa separazione doveva durare a lungo e infatti ancora separa il mondo occidentale, da quello che ancor oggi si chiama “Terzo Mondo”. Ma non bisogna pensare che tutto questo sia avvenuto senza reazioni da parte dei popoli colpiti: “infatti gli storici moderni hanno stabilito con certezza il ruolo scatenante giocato dalla siccità-carestia nella rivolta dei Boxer, nel movimento coreano Tonghak, nell’ascesa dell’estremismo indiano e nella guerra brasiliana di Canudos, oltre che nelle innumerevoli rivolte scoppiate nell’Africa orientale e meridionale. I movimenti millenaristici che spazzarono il futuro “Terzo Mondo” alla fine dell’Ottocento mutuarono gran parte della loro ferocia escatologica dalla gravità di quelle crisi ambientali e di sussistenza”.(29) Queste reazioni furono anche dovute ai cambiamenti forzati delle economie locali, coll’introduzione delle monocolture, per produrre materie prime per l’industria occidentale, magari distruggendo quella locale: “Mentre l’industria locale era in declino, il Bengala fu convertito alle colture da esportazione, prima dell’indaco poi della iuta; il Bangaladesh ne produceva nel 1900 più della metà dei raccolti mondiali, ma sotto il dominio britannico non vi fu mai costruito un solo stabilimento per la lavorazione di quelle materie prime. Mentre era in corso il saccheggio del Bengala, l’industria tessile della Gran Bretagna veniva “protetta” dalla concorrenza indiana ...”.(30) Oltre a questo l’ambiente del Terzo Mondo veniva sistematicamente disboscato per lo sfruttamento del legname e per lo sviluppo delle nuove colture da esportazione: e forse questi cambiamenti hanno contribuito ai mutamenti climatici che determinarono le carestie “tardovittoriane”
Durante tutto l’anno 1876 l’osservatorio di Madras aveva registrato solo 15 centimetri di pioggia contro i circa 70 centimetri della media annuale degli ultimi dieci anni. Il raccolto dell’anno successivo dipendeva dunque dalle piogge che i monsoni invernali avrebbero dovuto portare. Intanto erano cominciate: “le sommosse per il grano che spazzavano i cosiddetti distretti ceduti di Kunool, Cuddapah e Bellary sulla scia di un’altra latitanza del monsone. Intanto nei distretti del Deccan della confinante Presidenza di Bombay, soprattutto Ahmednagar e Sholapur, erano in corso insurrezioni popolari contro i prezzi incredibilmente elevati. Dopo aver cercato di sopravvivere cibandosi di radici in attesa delle piogge, adesso moltitudini di contadini e braccianti erano in marcia, in fuga da una campagna che stava morendo lentamente”.(31)
I prezzi del grano erano saliti perché speculatori di tutti i tipi e dimensioni si erano messi a fare incetta di grano: “Oltre ai trafficanti classici s’imbarcarono nell’impresa persone di tutte le fatte che avevano o potevano ottenere un capitale, gioiellieri o negozianti di abbigliamento che impegnavano la merce, persino i gioielli della moglie, pur di entrare nell’affare e importare grano”.(32) Anche il riso che era stato prodotto in abbondanza negli ultimi tre anni nel resto dell’India era stato esportato in Inghilterra: “In pratica, i londinesi toglievano il pane di bocca agli indiani”.(33) Oltre ai cereali anche la produzione di legumi, come il gram, si era ridotta in seguito alla sostituzione della sua coltura con quella del cotone da esportazione. Fu così che i poveri cominciarono a morire di fame, ma l’unica misura che prese il governo fu l’istituzione di posti di blocco per “arginare la marea di persone affamate dirette verso Bombay e Poona, mentre a Madras la polizia espulse con la forza 25.000 profughi”.(34) E intanto il viceré e poeta Lord Lytton era tutto preso dai preparativi per organizzare l’enorme adunata di Delhy, dove la regina Vittoria sarebbe stata proclamata imperatrice dell’India: “Il ‘clou della cerimonia’ comprendeva un banchetto della durata di una settimana per 68.000 funzionari, satrapi e maharaja, il pranzo più colossale e costoso della storia dell’umanità. Un giornalista inglese stimò in seguito che durante lo spettacolare durbar di Lytton centomila sudditi della regina imperatrice erano morti di fame a Madras e Mysore. Gli indiani delle generazioni successive a ragion veduta lo avrebbero ricordato come il loro Nerone”.(35)
Ma Lord Lytton non si ispirava tanto agli imperatori romani che oltre ai circenses si preoccupavano di dare panem alla plebe romana, quanto piuttosto ai classici dell’economia politica inglese e ai precedenti governi inglesi: “Come trent’anni prima in Irlanda, chi aveva il potere di alleviare la carestia si convinse che gli sforzi eroici contro le implacabili leggi della natura, che fossero i prezzi di mercato o la crescita demografica, sarebbero stati peggio di nessuno sforzo”.(36)
Nel 1877 intanto la carestia si estese dalla Presidenza di Madras al Mysore, al Deccan di Bombay e alle province nordoccidentali. I raccolti erano andati quasi completamente persi per cui i contadini furono costretti a vendere i loro “manzi, gli attrezzi per i campi, le canne intrecciate dei tetti, gli infissi delle porte e finestre”.(37) Erano così stremati e privi di mezzi, che non riuscirono ad approfittare delle scarse piogge primaverili per seminare colture alternative, e così cominciarono a morire a migliaia in estate: “Altri milioni erano arrivati allo stadio di malnutrizione acuta, caratterizzata da edema da malnutrizione e anemia, quella che i moderni sanitari chiamarono scheletrizzazione […] l’unica parte ben pasciuta della popolazione locale erano i cani randagi, ‘grassi come pecore’ visto che pasteggiavano con i cadaveri dei bambini morti”.(38)
L’unico provvedimento preso dal governo per far fronte a una simile catastrofe fu quello di attivare i cantieri pubblici per consentire ai contadini stremati di sopravvivere. Ma per essere ammessi ai lavori pubblici bisognava superare la prova di raggiungere i campi dormitorio situati a distanza considerevole dai cantieri. Inoltre venne dimezzata la già scarsa razione di riso data come compenso corrispondente a 1627 calorie, persino inferiore a quella di 1750 calorie del campo di concentramento di Buchenwald e infatti i campi di lavoro si trasformarono “in campi di sterminio. Alla fine di maggio gli inorriditi responsabili dei soccorsi a Madras segnalarono che più della metà degli ospiti erano troppo deboli per compiere qualsiasi sforzo fisico. Molti di costoro erano già morti entro l’inizio della terribile estate del 1877 […] Un funzionario scrisse che un cantiere stradale di soccorso ‘aveva l’aspetto di un campo di battaglia, con le banchine disseminate di cadaveri, di moribondi e dei malati più freschi’.”(39) Nonostante tutto ciò i raccolti di riso in Birmania e in Bengala furono avviati all’esportazione mentre ormai 36 milioni di contadini indiani soffrivano la fame. A questa si aggiunse anche la sete in seguito alla mancata manutenzione dei serbatoi locali: “Mentre le scorte d’acqua si seccavano o venivano inquinate dalle deiezioni umane, il colera divenne la falce che abbatté centinaia di migliaia di contadini indeboliti e ridotti a scheletri […] e i luridi campi di soccorso divennero il calderone della ‘grande sinergia del colera con la malnutrizione’.”(40) Intanto un primo censimento approssimativo nei distretti di Madras rivelò che in quella regione erano già morte un milione e mezzo di persone: “Nella città di Madras, travolta da centomila profughi della sete, i contadini affamati cadevano stecchiti davanti alle truppe che facevano la guardia alle piramidi di riso importato mentre ‘tutti i giorni e tutte le notti potevi vedere per strada madri ... che mettevano in vendita i loro bambini’.”(41) Se invece queste donne disperate cercavano di rubare qualcosa per sé e per i propri bambini scheletriti venivano: “marchiate, torturate, gli tagliavano il naso e talvolta uccise”.(42)
Finalmente a settembre e ottobre arrivarono le grandi piogge nell’India meridionale, e se queste allentarono la morsa della sete e della siccità, posero le condizioni per lo scatenarsi di un’epidemia di malaria che fece morire altre centinaia di migliaia di contadini già stremati dalla carestia. Inoltre i sopravvissuti non riuscirono ad approfittare delle piogge perché avevano impegnato gli strumenti di lavoro e i bovini erano morti, e quindi dovettero “grattare la dura terra del Deccan per mezzo di rami oppure arare da soli o con le mogli con l’unico aratro rimasto. Buona parte delle sementi distribuite dai comitati di soccorso erano mediocri, e quanto spuntava dal terreno veniva immediatamente divorato dal terribile flagello delle cavallette che, come nella Bibbia, erano le salmerie al seguito della siccità”.(43) Pertanto all’inizio del 1878 la carestia e il colera ripresero a mietere vittime soprattutto nell’India nord-occidentale e mentre nel Kashmir il raccolto abbondante di grano veniva incettato dalle autorità locali, nel vicino Punjab “la carestia uccise almeno un milione e duecento cinquantamila persone nel 1878-79. Come hanno ricordato gli storici indiani, questo sterminio fu l’esito prevedibile ed evitabile di deliberate scelte politiche”.(44) In totale in India durante la carestia 1876-78 morirono più di 7 milioni di persone.
Durante la stessa siccità morirono decine di migliaia di persone in tutto il mondo: a Ceylon, nella Cina del nord, in Corea, Borneo e Giava, in Egitto, Marocco, Algeria, Angola, Sudafrica e Brasile. Ma fu in Cina che si raggiunsero effetti paragonabili a quelli dell’India, soprattutto nella provincia dello Shanxi, nella Cina nel nord: “La siccità che la provincia aveva patito per parecchi anni di seguito era sfociata in una carestia di intensità e portata mai viste. Mentre l’autunno inoltrato cedeva all’inverno il numero di coloro che necessitavano di soccorsi cresceva di giorno in giorno, fino a toccare i milioni di persone […] Nel primo periodo di disagio i vivi si cibavano dei cadaveri, poi i forti divoravano i deboli e infine l’indigenza generalizzata toccò un livello tale che gli uomini divoravano coloro che erano del loro stesso sangue e della loro stessa carne”.(45) Il governo cinese cercò di inviare soccorsi, ma il sistema dei trasporti interni era al collasso e le ferrovie non erano state costruite per impedire la penetrazione occidentale.
Gli aiuti per arrivare allo Shanxi dovevano superare il passo di Guguan dove si verificò un intasamento bestiale: “I fuggiaschi, i mendicanti e i ladri pullulavano ... cammelli, buoi, muli e asini ... erano ammazzati dalla gente disperata per le loro carni (mentre le granaglie che dovevano trasportare nello Shansi marcivano e nutrivano i topi di Tiensin). Viaggiare di notte era impensabile. Il percorso era disseminato di carcasse di uomini e animali e lupi, cani e volpi finivano presto le sofferenze dei poveretti (malati) che si lasciavano cadere .... in quella gola terribile...”.(46) Intanto nello Shanxi le persone morivano a migliaia: “Nessuno si meraviglia più che la gente abbatta la propria abitazione, venda mogli e figlie, mangi radici e carogne e creta e rifiuti. Se ciò non bastasse a indurre alla pietà ci riuscirebbe la visione di uomini e donne stesi inermi lungo le strade o dei morti sbranati da cani e gazze. E le notizie di bambini bolliti e mangiati che ci giunsero negli ultimi giorni erano tanto terribili da far tremare solo a pensarci”.(47) Le notizie riportate dal rappresentante della Società missionaria battista erano confermate anche dai resoconti dei pubblici ufficiali: “i bambini abbandonati dai genitori ... erano portati in località segrete, uccisi e consumati […] genitori che si scambiavano i figli più piccoli perché non trovavano il coraggio di uccidere e mangiare i propri”.(48)
Poiché gli aiuti non arrivavano, molti pensarono di fuggire verso Pechino dove i poveri immigrati morivano “di inedia alle porte e nelle strade della stessa Pechino” e propagavano “le febbri maligne nella capitale”. Nella stessa relazione, contenente queste notizie, l’ambasciatore inglese a Pechino il 10 maggio del 1878, fece sapere al ministro degli esteri inglese: “che si calcola siano morti in questa carestia almeno sette milioni di persone. La sola provincia dello Shansi pare abbia perso cinque milioni di abitanti nell’ultimo inverno”.(49) La fuga dalla provincia colpita dalla carestia continuò per tutto l’inverno 1878-79 anche in direzione del porto franco di Tianjing: “Centomila profughi [soprattutto dallo Shaanxi] erano accorsi a Tiajining trovando riparo in ‘tuguri fatti di fango e steli di miglio’ ma scoppiò il tifo e con la stagione fredda ogni notte morivano 400-600 persone”.(50)
In tutta la Cina durante la carestia 1877-78 morirono da 9,5 a 13 milioni di persone e gli effetti di questo olocausto si fecero sentire per anni: “la carestia e le malattie sue alleate continuarono a decimare alcune regioni della Cina del nord fino all’inizio del 1880 o anche oltre”.(51)
Gli effetti del Niño si fecero sentire nel Nordest brasiliano sei mesi dopo il mancato monsone estivo in India. La siccità cominciò nei primi mesi del 1877 e i contadini del Sertão fecero due tentativi di seminare a gennaio e marzo, ma le piogge non erano venute. Quando poi arrivarono poche piogge leggere i contadini non se la sentirono di sprecare le poche sementi rimasti, anche perché esse sarebbero servite come cibo per i lunghi viaggi verso le città della costa. Il vento secco di nord-est non trovò alcun ostacolo anche per la: “radicale deforestazione provocata dalla coltivazione allargata del cotone”.(52) L’altro sfruttamento industriale del Sertão era l’allevamento del bestiame, e alle prime avvisaglie della siccità gli allevatori fecero spostare le loro mandrie sulle sierre più umide. A quel punto cominciò a farsi sentire la fame e i contadini: “iniziarono a rubare il bestiame, addirittura a saccheggiare le fazendas. A Quixeramobim i poveri presero il potere per breve tempo, avvertendo che ‘non sono intenzionati a morire di fame sapendo che nelle case dei ricchi ci sono soldi e cibo’.”(53) Ma neppure i fazendeiros avevano molti soldi e così cominciarono a vendere i loro schiavi e abbandonavano le loro aziende per trasferirsi in città. I contadini ormai ridotti alla fame si cibavano di qualsiasi cosa riuscissero a trovare “dal cactus xique-xique, del cuore della palma carnauba e persino delle radici del pao de mosco […] ignari della tossicità di quella pianta la cuocevano e se la mangiavano. Qualche ora dopo erano completamente ciechi”.(54) Ad agosto si cominciarono a vedere i primi cadaveri lungo la strada e nelle fattorie deserte: “a settembre e ottobre ogni giorno morivano decine di persone, e il beriberi era scatenato nei luridi campi profughi presso le città come Acaracu, Ico e Telha. Se la popolazione del sertão, soprattutto del Cerarà, doveva sopravvivere fino all’inverno occorreva importare alimenti in quantità massicce”.(55) Pochi commercianti privati riuscirono a far arrivare qualcosa, che veniva venduto, a chi aveva soldi, a prezzi esorbitanti. Ma anche per le autorità era difficile far arrivare cibo sull’altipiano, perché gli animali da trasporto morivano per strada non trovando nemmeno un filo d’erba con cui alimentarsi, o l’acqua con cui abbeverarsi. A quel punto anche quelli che avevano resistito abbandonarono in massa le zone colpite dalla siccità ma portarono il disastro nelle zone in cui arrivavano: “Le masse di persone affamate e di bestiame portarono il flagello della siccità anche nelle regioni che erano state risparmiate dalla meteorologia. Triunfo lamentò di essere stata convertita in ‘un allevamento bestiame per lo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi’ […] ‘I profughi consumavano e distruggevano i raccolti’...”.(56) Quando l’ondata degli emigranti raggiunse la città costiera di Fortaleza, questa passò da 25.000 a 130.000 abitanti: “La triste processione sfilava lungo le strade della capitale a tutte le ore ... Veri e propri scheletri ambulanti con la pelle annerita dalla polvere delle strade e penzolante dalle ossa tendevano la mano per chiedere la carità a tutti quelli che incontravano”.(57)
Naturalmente alcuni non si limitarono a chiedere e cominciarono a saccheggiare e rubare e però se venivano presi venivano linciati, impunemente perché “il retirante era considerato un cane lebbroso che poteva solo insozzare la terra”.(58) L’unica misura seria che le autorità pubbliche presero fu di spedire i retirantes in Amazonia e in altre zone dove era richiesta manodopera. Anche gli schiavi vennero esportati in altre regioni e si verificò un vero e proprio revival della tratta che arricchì i già ricchi trafficanti.
Un’altra misura venne presa dalle autorità, l’istituzione di campi di lavoro, ma questi si trasformarono ben presto in focolai per il vaiolo: “Quindi gli squallidi campi di lavoro fornirono ‘terreno vergine’ al vaiolo […] il vaiolo raggiunse il Cearà a metà del 1878 dopo aver devastato la capitale del Parà, João Pessoa. Smith stimò che un terzo della popolazione di Fortaleza fosse morta nei soli mesi di novembre e dicembre 1878”.(59)
Il bilancio totale dei morti per la Grande Siccità del Sertão fu di 510.000: “Quanto alle vittime del 1877-1879 è stato calcolato che 150.000 morirono di fame in senso stretto, 100.000 di febbri e altre malattie, 80.000 di vaiolo e 180.000 per cibi avvelenati o altrimenti avariati”.(60)
L’unico risvolto positivo della catastrofe del Sertão furono le forti reazioni al commercio degli schiavi che portarono all’abolizione della schiavitù in Brasile nel 1888.

1. R. LURAGHI, op.cit., p. 1282.

2. P.N. CARROL-D.W.NOBLE, op.cit., p.297.

3. R. KEE, Storia dell’Irlanda, Bompiani, 1996, p. 19.

4. Ivi, p. 22.

5. Ivi, p. 32.

6. C. RUSSEL, Le origini dell’Inghilterra moderna, Il Mulino, 1988, p. 571.

7. Cit. in R. KEE, op.cit., p. 35.

8. Ivi, p. 61.

9. Ivi, p. 62.

10. Ivi, p. 63.

11. Ivi, p. 64.

12. Ibidem.

13. Ivi, p. 65.

14. Ivi, p. 67.

15. Ivi, p. 66.

16. Ivi, p. 69.

17. Ivi, p. 83.

18. Ivi, p. 73.

19. Ivi, p. 74.

20. Ivi, p. 76.

21. Ivi, p. 77.

22. Ivi, p. 78.

23. Ivi, p. 82.

24. Ivi, p. 83.

25. Ibidem.

26. K. POLANY, La grande trasformazione, Einaudi, 1974, p. 205.

27. M. DAVIS, Olocausti tardovittoriani, Feltrinelli, 2002, p. 23.

28. Ivi, p. 16.

29. Ivi, p. 23.

30. N. CHOMSKY, op.cit., p. 36.

31. M. DAVIS, op.cit., pp. 35-6.

32. Ivi, pp. 36-7.

33. Ivi, p. 36.

34. Ivi, p. 37.

35. Ivi, p. 38.

36. Ivi, p. 42.

37. Ivi, p. 43.

38. Ivi, pp. 43-4.

39. Ivi, p. 50.

40. Ivi, p. 54.

41. Ibidem.

42. Ivi, p. 56.

43. Ivi, p. 59.

44. Ivi, p. 60.

45. Ivi, pp. 80-1.

46. Ivi, p. 82.

47. Ivi, p. 83.

48. Ibidem.

49. Ivi, p.84.

50. Ivi, p. 87.

51. Ibidem.

52. Ivi, p. 90.

53. Ibidem.

54. Ibidem.

55. Ibidem.

56. Ivi, p. 92.

57. Ivi, p. 93.

58. Ibidem.

59. Ivi, p. 96.

60. Ivi, p. 122