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La direttiva Ue: lavorare di più? Mah…

di Carlo Gambescia - 11/06/2008


 

La notizia è di oggi. Secondo una nuova direttiva Ue il lavoratore, se vorrà, potrà superare le 48 ore settimanali e arrivare fino a 60 ore (65 ore nei contratti a chiamata, che prevedono periodi di inattività). Ora l’ultima parola spetterà all’Europarlamento. (http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/economia/lavoro-orario/lavoro-orario/lavoro-orario.html).
Non è sede questa per un’analisi approfondita della questione, anche perché andrebbe prima esaminata nei dettagli la direttiva Ue. Ma una riflessione di principio, magari semplificando al massimo le cose, si può fare. Partendo però da alcune domande.
Il capitalismo non doveva essere accompagnato da una crescente riduzione dell’orario di lavoro? Negli ultimi due secoli nella sfera euro-americana non si era passati dalle novanta-cento ore settimanali ottocentesche alle meno di cinquanta di oggi ? Che cosa sta succedendo?
In primo luogo, va detto che l’orario di lavoro, pur decrescendo in Occidente, è cresciuto nel stesso periodo nel resto del mondo.
In secondo luogo, e soprattutto nell’ultimo trentennio del Novecento, il costo del lavoro è cresciuto in Occidente e diminuito altrove. Di qui l’attuale tentativo di riequilibrare i costi accrescendo le ore lavorate. E nessuno può prevedere quando questa "corsa", appena iniziata, si fermerà.
Il che significa, in terzo luogo, un possibile ritorno al capitalismo delle origini, fondato sul puro e semplice sfruttamento “temporale” della manodopera, come aveva intuito Marx grazie alla sua teoria del plusvalore. E questo a dispetto di tutte le decantate "conquiste tecnologiche"...
Ovviamente, per ora si tratta, di misure opzionali, soft. Il sindacato in Occidente, per quanto indebolito, gode comunque di rappresentatività sociale. Inoltre sussiste e influisce sul dibattito politico una approfondita cultura dei diritti sociali, largamente diffusa a livello collettivo.
Tuttavia la nuova direttiva Ue rappresenta un segnale inquietante: negli ambienti politici ed economici sta cambiando la percezione socioculturale del lavoro. Di qui il rischio di un meccanismo "a cascata". Perché c’è il pericolo che, magari con lo stesso consenso più o meno consapevole di un lavoratore sempre più flessibile (e quindi ricattabile o manipolabile), lo sfruttamento torni ad essere la “norma” come duecento anni fa...