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Se il malato diventa una slot machine

di Cristiano Gatti - 11/06/2008

 

 

A diciotto anni, quando piacere e piacersi è ancora una cosa importante, le hanno tagliato i seni come inutili frattaglie. Per guadagnarci di più. Tra le tante vittime del truculento «protocollo Santa Rita», è sicuramente questa ragazza la più titolata ad esprimere compiutamente che cosa significhi il tradimento del proprio medico. A seguire, sarebbe poi interessante chiederle con che spirito un domani rimetterà la sua vita nelle mani di un altro dottore. Riuscirà ancora a considerarlo un po' santo e un po' semidio, un po' mago e un po' taumaturgo, un po' poeta e un po' missionario? O anche solo un leale e umile uomo di scienza, che procede a tentoni nel campo minato della nostra fragilità fisica, sperando di non mettere mai il piede in fallo, dolendosi e disperandosi lui per primo se per caso ce lo mette?

Sono domande che il mefitico pentolone della clinica milanese sta scatenando in tutte le case italiane. Già siamo allenati dai casi di negligenza, di sciatteria, di corruzione, che ciclicamente i giornali riportano dal centro e dalle periferie di un sistema sanitario sgangherato. Sappiamo di appalti pilotati, di assunzioni clientelari, di bilanci truccati. Abbiamo buoni motivi per nutrire quanto meno un poco di diffidenza. Però bisogna riconoscerlo: non c’è paragone. Il caso Santa Rita surclassa tutto e tutti, sbancando con il suo bieco cinismo la speciale classifica della vergogna. Disgusto per disgusto, un conto è sapere che qualche medico più o meno luminare lucra guadagni esagerati sulla nostra guarigione, un altro è sapere che fonda i suoi guadagni sul nostro spietato massacro. Siamo nel campo dei paragoni allucinanti, ma è questa la reale novità, il satanico salto di qualità portato a galla dall'inchiesta milanese: se fino all'altro giorno potevamo eccepire sull'esosità di certa medicina, adesso dobbiamo temere la sua lucidissima avidità omicida.

Inutile negarlo: la scoperta è sconvolgente. Se non ci si può più fidare nemmeno del medico, è l'abisso. Nelle famiglie italiane, il medico è da sempre una figura centrale. Al medico si racconta tutto, al medico si confessa qualunque debolezza e qualunque paura, al medico soprattutto si affida a occhi chiusi la nostra più segreta risorsa, genericamente detta speranza. Nelle quattro mura del suo studio, uomini e donne tutti i giorni sottoscrivono la cambiale in bianco della speranza. Di guarire, di stare bene, di vivere a lungo.

Ma che cosa c'è, dall'altra parte della scrivania? Tanti onestissimi professionisti, risponderebbe giustamente l'Ordine dei medici. E così effettivamente risulta, per fortuna. Ma c'è un ma. Ci sono altri casi. Qualcosa non quadra, quando dall'altra parte c’è un professionista convinto d'essere anche azienda, un'azienda magari particolare, comunque con precisi e dichiarati fini di lucro. A quel punto, il paziente diventa una slot-machine. Una particolare macchina da soldi che tra l'altro permette solo vincite sicure: così indifeso, così disarmato, così sprovveduto, da concedersi docilmente, quasi infantilmente, a qualunque gioco d'azzardo.

La vergogna, unica e imperdonabile, che non può accettare difese corporative e cavilli garantisti, sta tutta qui. La vita ci offre quotidianamente un campionario sterminato di porcherie umane. Ma questa sta davanti a tutte, forse preceduta soltanto dalla pedofilia. La sua feroce peculiarità sta nel rapporto di forza tra chi conduce il gioco e chi lo subisce: da una parte il medico onnipotente, dall'altra il paziente totalmente disarmato. Il famoso primario opera di tumore il ragazzo che solo ha la tubercolosi: l'obiettivo non è la salute del ragazzo, l'obiettivo sono i ventimila euro del rimborso. Il ragazzo? Un pratico arnese per fare soldi. Quante storie, ogni lavoro ha i suoi attrezzi...

Da dove nascono, i casi Santa Rita? Certo da quattro farabutti nascosti sotto la corazza del camice bianco. Ma tutto sommato, risalendo molto all'indietro, qualche germe pericoloso sta anche in una visione molto nuova e modernista della professione. È da un po' che pensando al futuro dei nostri figli mettiamo in fila, sullo stesso piano, tante affascinanti opzioni: potrebbe fare l'architetto, o l'ingegnere, o l'avvocato, o il giornalista, o il medico. Ecco, qui nasce il colossale equivoco. Il medico non può e non deve stare in questa lista. Può starci nei giochi dei bambini, quando sparano a raffica il cosa farò da grande. Ma è un gioco che al massimo può durare fino ai dieci anni. Poi, bisognerebbe che un'autorità superiore intervenisse per sgombrare il campo dalle fesserie, ristabilendo per decreto la verità: quello del medico non è un mestiere come un altro. È una professione sacra. Non si sceglie sfogliando la margherita. Per caso. O per ambiziosi progetti di fatturato personale. Chi lo sceglie deve sapere che un giorno si ritroverà tra le mani, in sedicesimo, le facoltà e i poteri di un creatore, che può togliere o restituire, peggiorare o migliorare la vita. Esagerazioni? Per ulteriori chiarimenti, rivolgersi alla ragazza martire della «Santa Rita», che a diciotto anni teme già di guardarsi allo specchio e di uscire con un ragazzo.