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Lo scandalo e la censura

di Sonia Toni - 12/06/2008

Intervista a Oliviero Beha

 

 

 



La seguente intervista è apparsa sulla rivista Consapevole 15.

 

Giornali, radio e tv delle mie brame: chi è il giornalista più censurato del reame?

È certamente un record, ma nonostante l’anima da sportivo, lui non vorrebbe esserne il detentore. Considerando la storia che andiamo a raccontare, non c'è dubbio che Oliviero Beha, penna e microfono fra i più apprezzati dell’ultimo ventennio, è stato ed è il più osteggiato e censurato di tutti i giornalisti italiani.

 

Ma com’è possibile che in un Paese considerato democratico, succedano queste cose? Quando e perché è cominciato questo accanimento censorio “anti Beha”?

All’inizio degli anni ’80 dicevano che ero il giornalista più brillante della mia generazione e che per questo ero il pupillo di Eugenio Scalfari, l’allora direttore del quotidiano Repubblica. Poi c’è stata la mia inchiesta sui mondiali di calcio del 1982 vinti dall’Italia e, in particolar modo, la partita Italia-Camerun. Quella partita ha spaccato in due la mia carriera e la mia vita tant'è che, da quel momento, potrei applicare a me stesso la datazione a.C. - d.C.: prima e dopo Camerun.

 


Leggi "Nella Palude di Italiopoli" - intervista di Sonia Toni a Oliviero Beha

 

Ci vuoi raccontare il fattaccio?

Ho dimostrato che una partita dei mondiali, vinta dall’Italia, era stata comprata e questo ha creato un pandemonio. L’Italia aveva vinto i mondiali, c’erano tanti interessi in gioco: sportivi, economici e anche politici (nell’82 Spadolini e Craxi erano a Madrid con la nazionale). Feci un’inchiesta in Camerun ma Repubblica non me la pubblicò mai. Ricevetti una lettera nella quale Scalfari mi diceva: “Non la pubblico per motivi che ti spiegherò a voce”. Non mi disse “non la pubblico perché non mi piace o è fatta male”.

 

Tu sei stato il primo, in Italia, a fare giornalismo d’inchiesta nello sport?

Nel calcio sì. Ti posso dire che anche validi giornalisti all’epoca si indignarono per la mia inchiesta, arrivando a scrivere articoli che titolavano: Giù le mani dall’Italia! Questo perché il tifo aveva il sopravvento sull’obiettività e la chiarezza di giudizio. Per me, sull’obbligo di testimonianza, non ha mai prevalso né il tifo, né il colore politico e questo è già un aspetto che anticipa altre cose di cui parleremo in seguito.

Sono stato considerato molto bravo ma “inaffidabile”, cioè uno che non si può ricattare e che, addirittura, si schiera contro l’intero establishment politico, sportivo, giornalistico senza guardare in faccia a nessuno; una specie di pazzoide.

 

È un controsenso direi: chi è bravo lo è anche perché è affidabile, no?

“Inaffidabile” per l’establishment – cioè per quel residence del potere di cui scrivo su Italiopoli, il mio ultimo libro – corrisponde a “irricattabile”, incorruttibile.

 

In quel periodo dunque, scrivevi su Repubblica. E poi?

Poi mi hanno cacciato via.

 

 

Motivo?

Ho fatto causa a Repubblica perché mi avevano tolto lo sport e spostato alla cronaca, facendomi scrivere un solo pezzo in un intero anno; ricordo anche (per forza!) di cosa si trattava: un pezzo sulla riapertura della galleria del Gran Sasso. Magari chi non sapeva poteva pensare: “ma guarda com'è bravo Beha che passa dallo sport alla cronaca con tanta disinvoltura”, senza comprendere che per uno che aveva sollevato l’enorme vespaio che avevo sollevato io, quello spostamento significava una sorta di sconfessione. Come se un giornalista che rivelasse uno scandalo politico venisse spostato allo spettacolo. A quel punto ho fatto causa e questo ha portato al mio licenziamento perché significava che non avevo più fiducia nel direttore.

 

Era ancora Scalfari il direttore di Repubblica? E come finì questa causa?

La causa l’ho vinta, ma Scalfari ha fatto venire i carabinieri davanti alla porta della redazione per non farmi entrare.

 

Ma com’è possibile? Avevi vinto la causa, no?

Purtroppo è stato così. Molti pensano che i vari Travaglio di oggi siano i più perseguitati dalla censura. A me è capitato molto peggio venticinque anni fa. E, secondo te, i sindacati, i giornalisti, hanno mosso un dito per me? Nessuno, e nonostante fossi fra i primi cinque giornalisti più conosciuti e apprezzati del momento, mi hanno fatto a pezzi lo stesso.

 

Vai avanti…

Dopo aver vinto la causa contro Repubblica per il diritto/dovere di cronaca, mi hanno offerto una forte cifra per chiudere tutto. Io volevo andare avanti ma il mio avvocato mi disse: “Se tu vai avanti rinunciando a questa offerta, daranno una buona parte di questa cifra al giudice che dovrà emettere la sentenza e tu sei fottuto”. Non potevo fare altro che accettare; ad una condizione però: che il quotidiano pubblicasse un’ammissione firmata da Scalfari nella quale si diceva che Repubblica e Oliviero Beha divorziavano consensualmente e che Oliviero Beha aveva svolto il suo lavoro splendidamente rispettando la deontologia professionale. Niente male per uno che era stato licenziato, no?

Da trent’anni non faccio altro che mettere il dito nel punto debole delle situazioni che tratto. Hai presente il vetro? In ogni vetro ‘'è un punto sul quale basta esercitare la minima pressione e si spacca. Ecco: io metto sempre il dito in quel punto.

 

Chi ti ha dato una mano in quel periodo?

Vittorio Emiliani, l’allora direttore del Messaggero, è stata una delle poche persone che mi ha aiutato.

Rimango disoccupato per un po’ di tempo poi, siccome all’epoca sembrava che avessi un certo impatto televisivo, mi chiamano Andrea Barbato e Angelo Guglielmi, l’allora direttore di Rai 3, per un programma che si chiamava Va’ pensiero. Il primo anno va tutto bene, ma durante il secondo, cominciano i problemi. Barbato era un eccellente giornalista ma non aveva molta voglia di faticare. Io ero il “giovane di bottega” anche se avevo già quasi quarant'anni, e lavoravo alla realizzazione del programma. A quel punto chiedo a Barbato di firmare insieme la cosa ma lui mi risponde picche perché non vuole dividere i diritti d’autore.

 

Queste cose mi fanno letteralmente andare fuori dai gangheri! Ma con che faccia si può negare una cosa del genere?

Semplicemente così. Me lo disse “papale papale” e considera che Barbato era un bravissimo giornalista: ce ne fossero oggi di professionisti così! Era uno dei pochi che sapevano parlare e scrivere. Oggi, o sanno parlare o sanno scrivere e qualcuno non sa né parlare né scrivere.

Comunque, visto che le cose stanno così, comunico a Barbato la mia intenzione di lasciare il programma.

Guglielmi, per sanare questa disputa e trovare una via d'uscita, mi offre una rubrica all’interno della trasmissione, che si sarebbe chiamata L’Antipatico. Così invece di scrivere “Va’ pensiero, un programma di Andrea Barbato e Oliviero Beha”, io suggerisco: “un programma di Andrea Barbato coadiuvato da Oliviero Beha”. Era una presa per i fondelli ma, nessuno se ne accorse.

 

 

Coadiuvato? Come un presidio medico chirurgico?

Infatti. “Coadiuvato” in questi contesti non esiste; viene da una terminologia da sacrestia: è il chierichetto che coadiuva il parroco durante la messa.

 

Insomma, facevi il chierichetto di “Don Barbato”?

Bè, se è per questo, ho anche provato a suggerire questa formula: “facciamo un programma di Andrea Barbato con le idee di Oliviero Beha”, oppure: “facciamo un programma di Andrea Barbato con gli umori di Oliviero Beha”! Comunque io feci la rubrica L’Antipatico e questo mi portò tanti di quei nemici che a confronto, considerando anche i tempi, quelli che ha tirato su il comune amico e meritevole Marco Travaglio, non sono nulla.

 

Ma cos’è che fece precipitare il programma e la tua rubrica, per cui ,l’anno successivo, non si fece più?

Un mio intervento sull’intervista di Enzo Biagi a Luciano Liggio.

Io sono quasi onorato di questa tua intervista oggi perché raccontando questi episodi della mia vita si riesce a ricostruire tutta la storia e a vederne tutti i collegamenti; comunque, questi sono i fatti.

Inizio la mia rubrica presentando l’argomento: “Oggi vorrei parlare di Enzo Biagi, che è il migliore, anzi il più migliore giornalista italiano”. Parlo dell’intervista di Biagi al capo mafioso Luciano Liggio che, fra le tante imputazioni, aveva anche quella dell’omicidio del giudice Terranova. Omicidio per il quale si sospettava che Liggio fosse il mandante. A un certo punto, Biagi fa una domanda sul giudice Terranova e Liggio: “Non voglio parlare del giudice Terranova perché è uno psicopatico”, e Biagi va avanti, ignorando completamente quella risposta infelice. Uscita l’intervista in televisione, la vedova del giudice Terranova rilascia alle agenzie di stampa una nota durissima nella quale dichiara che Enzo Biagi, permettendo a Liggio di definire psicopatico suo marito, aveva contribuito ad ammazzarlo una seconda volta. Sempre attraverso agenzia, Enzo Biagi rispo nde in sostanza che “la vedova faccia la vedova che io faccio il giornalista”.

Durante la mia rubrica dichiaro che Enzo Biagi è veramente il migliore. E perché dico questo? Perché mettendosi a pelle d’orso di fronte a Liggio, come faceva abitualmente di fronte a Gardini, Agnelli, De Benedetti, etc, cioè ai grandi esponenti del capitalismo italiano, evidentemente ci voleva dire che Liggio era alla stregua loro, cioè un potente come loro e questo, se l’aveva fatto apposta, era un atto da grande giornalista volontario, se invece gli era venuto spontaneamente, era un atto da grande giornalista involontario; il che è ancora meglio.

Non passa mezz’ora che Barbato mi dice: “Ha chiamato Guglielmi: tu non puoi più andare in onda”. “Perché?” “Perché ha chiamato Biagi e tu non puoi più andare in onda”.

Questo è lo stesso Biagi per cui abbiamo fatto tante battaglie. Tieni presente che io l’ho sempre difeso pubblicamente e gli ho dato solidarietà, anche per non dare soddisfazione ai censori ma sappi che lui mi ha fatto questo.

 


Leggi un'altra intervista di Sonia Toni a Oliviero Beha!

 

E com’è finita?

Si decide di chiudere la mia rubrica. Dico a Guglielmi e Barbato che accetto la cosa e loro confermano che è Biagi a pretenderlo. Prima della domenica successiva io chiamo Barbato e gli chiedo chi annuncia ai telespettatori che la mia rubrica non c’è più. Andiamo avanti da mesi con questo programma, la mia rubrica c’è sempre stata e quindi bisogna che qualcuno prenda il coraggio a due mani e dichiari che la rubrica non c’è più indicando anche il motivo. Questi rimangono di stucco e mi chiedono: “Ma come?” “Come? Vai e racconti che ha telefonato Biagi e tutta la storia”.

“Ma tu sei pazzo!” “Perché? È falso?” “No è tutto vero ma, per carità di Dio, non se ne parla nemmeno!”.

A quel punto si comincia a pensare, per quella domenica, di mandare in onda, al posto del programma, un film. Alle 14.30 cominciava la trasmissione, alle 14.20 Rai 3 era incerta se mandare Va’ pensiero in diretta o un film. Alle 14.25 Barbato sbotta e mi manda a fare ugualmente la mia rubrica che, in quell’occasione, ricordo che trattava di Troisi e Pasolini.

 

Morale?

Morale: alla fine dell'anno hanno chiuso il programma e non me l’hanno più ridato. E siamo solo all’ ’89!!

Poi è successo ancora di tutto! Non credo che tu abbia abbastanza spazio e noi abbastanza tempo per ripercorrere tutto.

Saltando ai giorni nostri: negli ultimi quattro anni mi hanno cacciato dalla vicedirezione di Rai Sport e mi hanno spento la radio che ho fatto per dodici anni (Radio Zorro e Radio a Colori) con i massimi risultati di ascolto e gradimento e, unico caso nella storia, per ben due volte, sia destra che sinistra, si sono espresse all’unanimità sulla bontà delle mie trasmissioni. Ora, tutto questo fa un certo effetto, se si pensa che oggi, mentre parliamo, 10 gennaio 2008, nonostante tre cause vinte e una ancora in corso, la Rai non vuole farmi lavorare.

 

Tu hai un contratto regolare, giusto?

Certo. Io sono vicedirettore dal 2002. Il presidente della Rai di allora mi disse: “Tu sei il più bravo in circolazione. Vorrei che tu rifondassi lo sport della Rai, ma non ti posso assumere come direttore perché non hai nessun politico dietro. Ti assumo come vice direttore così nessuno ci fa caso”. Era Antonio Baldassarre.

Attualmente sono un vice direttore della Rai, degradato a capo redattore, con lo stipendio dimezzato, con la trasmissione radiofonica interrotta senza spiegazioni nel giugno 2004 e senza la possibilità di fare nulla. Avendo vinto tutte le cause, dovrei essere tornato a lavorare da almeno tre anni. Questo dimostra anche, a chiunque dica che Santoro lavora perché ha vinto la causa, che forse la soluzione del problema non è vincere le cause.

 

Tu sai che il prossimo 25 aprile ci sarà il secondo V-Day e che, a meno di qualche cambiamento dell’ultima ora, sarà dedicato all’informazione. Quali suggerimenti vorresti dare, tu che stai soffrendo da anni il problema della censura?

Io sono un comunicatore, un informatore e se mi tolgono i mezzi di comunicazione non riesco a fare niente. Forse Beppe direbbe che oggi esiste una nuova finestra, che è quella di internet ed è verissimo, infatti in qualche modo io sto cercando di approfittarne. Ma non bisogna dimenticare nemmeno che se lui non fosse già stato famoso prima di internet, poteva farsi un mazzo così ma non sarebbe servito a niente. Non so se rendo l’idea. Ci sono tanti blog in giro di gente in gamba, ma nessuno li conosce.

Durante la scorsa estate io scrissi ripetutamente a Grillo che non bastava l’8 settembre e che ci voleva anche il 25 aprile per raggiungere una certa completezza d’informazione.

 

Bene. Sei stato ascoltato.

Il 25 aprile, secondo me diventa utile, allorché in quell’occasione si formuli una proposta concreta sul problema informazione. Punto primo: prendersela con un’informazione padronale e servile senza prendersela anche con i padroni, significa sbagliare bersaglio. Se i servi li prendiamo da soli otteniamo solo una rivolta dei servi, che reagirebbero compatti nei confronti di chi li attacca. Perfino D’Alema ne ha sempre dette di tutti i colori dei giornalisti: cosa facciamo? Ci mettiamo sullo stesso piano di D’Alema? Grillo è sullo stesso piano di D’Alema? E io? Certamente no. Detto questo, il secondo errore che faremmo è di non far capire agli italiani – cui credo sia dedicato questo 25 aprile – il quadro complessivo della situazione; quadro che io, modestamente descrivo in un capitolo di Italiopoli , all’interno del quale scrivo che bisogna parlare dei padroni collegandoli ai servi. Allora tutto questo ha un senso, perché così si informa bene e poi, non tutti i giornalisti sono da buttare via; ce ne sono anche di deboli e timidi e quindi ricattabili dal punto di vista della pagnotta e della famiglia, per capirci. Non possiamo pretendere che tutti facciano gli eroi.

Se invece proponi un’immagine dei servi come dipendenti dei padroni, in un paese orrendo, con una classe dirigente orrenda, qualche giornalista più perbene, più decente, che non ci voglia stare, può reagire più positivamente dicendo che “sì, basta, avete ragione”. Se te la prendi solo coi giornalisti, coi “servi”, senza mettere a fuoco anche i padroni, li avrai tutti contro, anche quelli che, invece, sarebbero dalla tua parte, perché grazie alla tua denuncia avrebbero una spinta di dignità in più per reagire. Non è una ricetta è il mio modo di pensare.

 

Pensi che il conflitto d’interessi sia l’aspetto che incide più negativamente sull’obiettività e onestà dell’informazione?

Il conflitto d’interessi non riguarda soltanto Berlusconi. Ormai è diventato la palude nella quale si muove tutto il Paese e, nonostante le parole di Giorgio Napolitano, ha cambiato purtroppo l’rticolo 1 della Costituzione Italiana, facendolo diventare: “l’Italia è un Paese fondato sul conflitto d’interessi e sulla mafia”.

 

Per approfondire: Chi è chi?
Oliviero Beha è uno dei più noti giornalisti italiani. Per molti anni inviato speciale di Repubblica, ha scritto per numerosi quotidiani e settimanali. È autore di trasmissioni televisive e radiofoniche di successo (Va’ pensiero, Radio Zorro, Radio a colori), di testi teatrali, saggi e poesie. Da sempre giornalista “contro”, è docente di Sociologia della Comunicazione alla Facoltà di Architettura Valle Giulia dell’Università la Sapienza di Roma.
www.behablog.it è il blog civico di Oliviero Beh a: ambiente, banche, assicurazioni, calcio, istruzione, malasanità, informazione.
www.italiopoli.it lo spazio on-line interamente dedicato al nuovo libro.

L'intervista che hai appena letto è apparsa in versione ridotta sulla rivista Consapevole 15.

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