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Iraq. Funzionari iracheni mettono in discussione la necessità della presenza delle truppe Usa

di Ned Parker - 12/06/2008

Sono in corso negoziati fra i due Paesi per decidere quanto tempo rimarranno le truppe. Gli Usa stanno riducendo gradualmente le loro forze.



Alcuni funzionari della coalizione di governo del Primo Ministro Nuri al Maliki stanno mettendo in discussione la necessità che l’Iraq abbia una presenza militare Usa, nonostante i due Paesi stiano andando avanti con negoziati stressanti per stabilire quanto tempo rimarranno le forze americane.

Alcuni funzionari del partito islamico al Da’wa, lo stesso di Maliki, e della più ampia coalizione sciita che lo sostiene – la United Iraqi Alliance, che ha cooperato con gli Usa, si sono espressi a favore dell’imposizione di forti limitazioni alle forze statunitensi, dopo che scadrà il mandato delle Nazioni Unite che autorizza la loro presenza – a fine anno.

Lo scorso anno, Maliki e il Presidente Bush avevano tracciato a grandi linee gli obiettivi di un accordo che comprendeva i rapporti militari, commerciali, e culturali. Si erano impegnati a restituire all’Iraq la piena sovranità, e avevano detto che la previsione era di finalizzare l’accordo entro il 31 luglio.

Secondo gli iracheni, gli americani erano a favore di una bozza dell’accordo che consentirebbe alle forze Usa di arrestare iracheni e di condurre missioni senza il permesso del governo. Essi inoltre hanno detto che gli americani pretendevano fino a 58 basi permanenti, il controllo dello spazio aereo iracheno, e l’immunità per le proprie truppe e i propri contractor.

I funzionari americani si sono rifiutati di rivelare la loro posizione negoziale, e hanno accusato coloro che li criticano di distorcere deliberatamente le posizioni statunitensi.

David Satterfield, il più alto responsabile per l’Iraq del Dipartimento di Stato, ieri ha detto che gli Usa sono tuttora impegnati a raggiungere un accordo entro fine luglio. E ha smentito che gli Usa stiano facendo pressioni per richieste che vìolano l’indipendenza dell’Iraq.

"Vogliamo vedere la sovranità irachena rafforzata, non indebolita”, ha detto.

Le forze Usa stanno riducendo gradualmente il loro numero, dal rinforzo massiccio di truppe dello scorso anno noto come "surge", che ha contribuito a mettere un freno alla guerra civile irachena. Secondo le stime, il livello delle truppe statunitensi dovrebbe scendere a 140.000 entro luglio, mentre gli americani valutano l’effetto delle riduzioni di forze sulla sicurezza dell’Iraq. Resta da vedere se la fragile pace fra la maggioranza sciita e quella che un tempo era l’élite sunnita reggerà se gli americani lasceranno rapidamente il Paese.

Sami Askari, un parlamentare della United Iraqi Alliance che è considerato uno dei membri dell’entourage di Maliki, dice che in molti casi i cambiamenti di opinione sono graduali.

"C’è il campo che pensa ancora che abbiamo bisogno che gli americani restino, e l’altro campo che dice che non abbiamo più bisogno", dice Askari. "Non si possono fare separazioni nette, neanche all’interno del partito al Da’wa, neanche all’interno" della coalizione, aggiunge.

Funzionari sciiti come Askari hanno ammonito che in nessun modo un qualsiasi politico iracheno potrebbe appoggiare le attuali proposte Usa per l’accordo relativo alla sicurezza.

"Se appartenessi al gruppo che crede nella necessità che gli americani restino, e mi mettessero davanti una bozza del genere, allora direi: ‘Guardate, preferisco andare con gli altri’”, dice Askari.

Il ministro degli Esteri iracheno, Hoshyar Zebari, kurdo, ha difeso l’accordo. "Le dichiarazioni che avete sentito di recente, i discorsi di propaganda politica che avete sentito di recente da parte di gruppi diversi hanno aiutato veramente molto poco", dice. "Non c’è stato ancora nessun accordo.

"In secondo luogo, la maggior parte delle dichiarazioni vengono da persone che non sono a conoscenza o non sono coinvolte a fondo in questi negoziati. La cosa è stata in realtà utilizzata a fini di manovre politiche", dice Zebari.

Politici iracheni di primo piano e funzionari occidentali hanno confermato gli attriti e il dibattito all’interno della coalizione [sciita] riguardo a un accordo.

"Naturalmente ci sono alcune persone che sono contrarie, non c’è dubbio", dice il vice Primo Ministro Barham Salih, che è uno dei negoziatori di più alto profilo da parte irachena. Salih ha preso un impegno solenne che i kurdi, Maliki, e il Consiglio di presidenza riusciranno a ottenere l’approvazione per un accordo bilaterale nonostante qualsiasi opposizione all’interno dell’alleanza [sciita].

Altri avvertono che alcuni membri di al Da’wa stanno cercando di sabotare un accordo a lungo termine.

"Un sacco di cose vengono travisate. E’ intenzionale. Alcuni non lo vogliono per principio. Alcuni potrebbero avere problemi ideologici a riguardo. Adesso stanno mostrando la loro vera faccia", dice un alto funzionario iracheno che non vuole essere identificato perché questo potrebbe mettere in  pericolo la sua posizione.

Il funzionario avverte che persino l’appoggio di Maliki non è scontato. Il Primo Ministro si trova a fronteggiare pressioni all’interno del suo stesso partito. In passato, alcuni funzionari hanno definito Maliki come qualcuno che è solito fare marcia indietro sulle decisioni del governo.

A detta del funzionario, i membri di al Da’wa sarebbero diventati troppo sicuri di sé dopo le campagne militari riuscite di questa primavera nella città portuale di Bassora, nel sud, a Sadr City – a Baghdad, e a Mosul. Campagne che per sconfiggere i gruppi armati sunniti e sciiti hanno fatto molto affidamento sull’appoggio aereo degli Usa.

"Questo ha dato questa falsa immagine che siamo abbastanza forti e possiamo farcela da soli, che non c’è alcun bisogno di una presenza straniera qualsivoglia", dice il funzionario.

Un funzionario occidentale che lavora a stretto contatto con il governo iracheno dice che l’ondata di offensive ha incoraggiato i consiglieri di Maliki a liquidare le richieste Usa come qualcosa che non vale il prezzo.

"Di fronte alla domanda: 'Abbiamo bisogno degli americani?' sono propensi a rispondere: 'No, a che cosa ci servono? Possiamo farcela' ", dice il funzionario, che non è autorizzato a parlare con i giornalisti.

I consiglieri di Maliki adesso si chiedono a voce alta se la presenza americana non crei più problemi per l’Iraq con i suoi vicini arabi e iraniani, o se essa salvaguardi la sovranità del Paese, spiega il funzionario occidentale.

Durante la visita di Maliki in Iran questa settimana, la Guida Suprema, Ayatollah Ali Khamenei, ha ammonito l’Iraq contro un accordo di questo tipo con gli americani. Le proteste di Tehran hanno avuto un eco in Libano, da parte del movimento politico armato sciita Hezbollah, e in Iraq, da parte dell’Esercito del Mahdi – la milizia dell’esponente religioso sciita Muqtada al Sadr.

Anche all’interno dei due maggiori partiti dell’alleanza [sciita], il Consiglio Supremo islamico iracheno e al Da’wa, ci sono coloro che da molto tempo vedono l’America con diffidenza.

"Alcuni non hanno mai appoggiato una presenza Usa prolungata fin dai tempi della Coalition Provisional Authority. Alcuni erano disposti ad accettare una presenza Usa limitata che li portasse al potere e poi sconfiggesse le forze sunnite, ma sono contrari a legami duraturi con uno Stato non islamico e non arabo", dice Anthony Cordesman, esperto di Iraq presso il Center for Strategic and International Studies.

Membri di primo piano dell’alleanza [sciita] dicono che le forze Usa dovrebbero essere chiamate a intervenire solo dal governo iracheno. Essi sostengono che l’anno prossimo le forze irachene dovrebbero avere la responsabilità delle città, e le truppe americane dovrebbero rimanere in attesa nelle basi - in un ruolo di appoggio.

"Se gli americani insistono ad avere la loro missione in Iraq, allora un accordo sarà difficile da raggiungere", dice Askari.

Se non si riuscisse a trovare un compromesso, l’Iraq ha due alternative: può chiedere una proroga del mandato Onu di sei mesi o di un anno, che darà al Paese il tempo di costruire per gradi il suo esercito e di acquistare armi, dice Askari. L’altra scelta è quella di fare da solo.

Funzionari come Askari pensano che l’Iraq potrebbe scommettere sulla separazione dagli americani e sopravvivere.

"Certamente abbiamo bisogno di loro [degli americani], ma non a qualsiasi prezzo", dice. "La mia sensazione è che adesso siamo più sicuri. Non c’è alcuna possibilità che scoppi una guerra civile. . . Se pensiamo di essere abbastanza forti, di avere forze sufficienti, per difendere il nostro Paese, non c’è nessun bisogno di truppe amiche".


Hanno contribuito a questo articolo i giornalisti del Times Caesar Ahmed, Saif Rashid, e Saif Hamid.


(Traduzione di Ornella Sangiovanni)
di Los Angeles Times
Articolo originale