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I segreti del lago Titicaca

di Marina Zenobio - 12/06/2008

 

In lingua aymara Titicaca significa «roccia del giaguaro», è il lago navigabile più alto del mondo, a 3810 metri sul livello del mare, grande 8562 chilometri quadrati - 3790 in territorio boliviano e 4772 in quello peruviano. Nelle sue acque trasparenti e azzurre, dove sfociano oltre 25 fiumi, si riflette un tratto della Cordigliera andina facendo sembrare vicinissime le montagne che, invece, distano una trentina di chilometri.
Tante varietà di anatre, pesci e la caratteristica rana gigante del Titicaca (Telmatobius culeu) sono gli animali che popolano il lago Titicaca, mentre tra la sua vegetazione si trova la totora (Scirpus californicus), un tipo di giunco molto importante per l'economia locale, e altre varietà di piante acquatiche tra cui l'Elodea potamogeton e la Lemna, meglio conosciuta come lenticchia d'acqua.
Sembra un pezzo di paradiso ma la realtà è ben diversa, perché le acque di questa conca idrica condivisa da Bolivia e Perù sono pesantemente inquinate. Lo ammette anche Luis Sánchez, coordinatore dell'Autorità binazionale del lago Titicaca (Alt), la cui denuncia è stata raccolta e rilanciata dall'agenzia stampa «Tierramerica». Non che sia una novità, se ne parla da decenni, ma non sono mai stati fatti studi integrali. Numerose ricerche sì, se ne occupano tutti - istituzioni pubbliche, accademiche e private - ma i sistemi di monitoraggio non sono mai stati né continui né sostenibili, così alla fine ognuno tira fuori le proprie conclusioni che non coincidono mai e il reale livello di contaminazione del lago Titicaca resta un'incognita. Si sa di certo, da uno studio effettuato presso i laboratori dell'università di San Andrés di La Paz (Umsa), che le piante di lenticchie d'acqua e di totora (quest'ultima utilizzata come foraggio) hanno alte concentrazioni di cadmio, piombo e arsenico. Tra i siti più colpiti dall'inquinamento la baia di Cohana (Bolivia, dipartimento di La Paz) e la baia interna di Puno (Perù, dipartimento omonimo). Si tratta di enormi sub-conche naturali colme di acque reflue che, per la mancanza di depurazione, si trasformano in un velenoso cocktail a base di residui minerari, industriali e organici. L'acqua dei fiumi che sfociano al lago non servono neanche per abbeverare il bestiame, tanto è sporca e nauseabonda e alcuni allevatori hanno denunciato la morte di diversi capi. Le comunità cercano quindi di organizzarsi come possono scavando pozzi, ma è un'impresa difficile e costosa, ammesso poi che l'acqua di quei pozzi non sia stata inquinata dalle infiltrazioni. Che la situazione è grave se ne è accorta anche l'Onu che, attraverso il suo Progamma per l'ambiente (Unep), sta cercando di sviluppare un piano binazionale per stabilire una rete ufficiale di monitoraggio ambientale che uniformi le informazioni in un unico protocollo. Al Centro di ecologia e conservazione ambientale dell'Umsa il compito di identificare i siti per le stazioni di monitoraggio dove saranno effettuati controlli biologici e chimici delle acque e della biodiversità acquatica.
Altre proposte di soluzione arrivano dalle ong, tra cui quella basata sulla tecnologia di biodigestione anaerobica, un processo di fermentazione degli escrementi umani e animali e di rifiuti agricoli per generare biogas, proposta da Oliver Campero, direttore di «Tecnologias en desarrollo» che ha una stazione sperimentale a Tiwanaku, cittadina a circa 70 chilometri da Cohana. Ma bisogna fare in fretta, perché se il processo di contaminazione non si inverte, la conca lacustre potrebbe cominciare a collassare, interrompendo la catena alimentare e impantanando le rive del Titicaca.