L'America delle baby gang
di Alessandro Armato - 13/06/2008
Si chiamano «mareros»: sono gli adolescenti membri delle bande giovanili che spadroneggiano nelle degradate metropoli di El Salvador, Honduras e Guatemala, ormai in guerra aperta con Stati repressivi
U na situazione fuori controllo. Una vera e propria guerra civile non dichiarata. È quella che, in America Centrale, è in atto tra lo Stato e le bande giovanili, conosciute come maras
. Cui bisogna affiancare il conflitto permanente tra bande rivali, come la famigerata Ms-13, o Mara Salvatrucha, e la Barrio 18, nelle cui fila militano decine di migliaia di giovani ( mareros, o pandilleros
dal termine più generico di pandilla,
banda) suddivisi in centinaia di clicas (cellule) che agiscono localmente. Quello delle maras è un fenomeno trasversale che attraversa tutta la regione con il suo carico di ferocia e morte. Nell’ultimo decennio, gli indici di violenza – in particolare nel triangolo nord: El Salvador, Honduras e Guatemala – si sono impennati a livelli comparabili solo con quelli di Paesi che vivono una guerra dichiarata. La politica dei governi nei confronti del problema è nettamente punitiva. «Il marero – ha detto Oscar Álvarez, ex ministro della Sicurezza dell’Honduras – è il nuovo criminale del XXI secolo. Nelle maras
ci sono persone dedite al narcotraffico, agli omicidi, al furto, al sequestro, allo squartamento. In altre parole, sono macchine per uccidere ». Negli ultimi anni in America Centrale sono proliferate leggi speciali a carattere repressivo. In Honduras, è in vigore dal 2004 una ley antimaras che ha portato all’arresto indiscriminato di migliaia di giovani con l’unica motivazione di avere tatuaggi o di indossare vestiti larghi e bandane. Lo stesso è accaduto nel Salvador, in seguito al varo del Plan mano dura (2003) e del Plan super mano dura (2004) del presidente Tony Saca, appartenente all’ultraconservatore partito Arena. Mentre nel Guatemala del socialdemocratico Álvaro Colom, diversi esponenti politici chiedono a gran voce fondi e misure straordinarie per combattere la crescente insicurezza sociale. Sulla stessa linea, anche se con una maggiore attenzione al tema della prevenzione e del recupero dei
mareros, si muove Washington.
Nel 2007 è stata annunciata la creazione di un’unità speciale per la lotta contro le bande, la Transnational anti-gang unit ( Tag), fondata da Fbi e polizia nazionale civile del Salvador e aperta alla collaborazione delle forze dell’ordine dell’America Centrale.
In questa regione, il fenomeno si è trasformato in una psicosi collettiva. L’identikit del marero è nella mente di tutti: età compresa tra 14 e i 25 anni, corpo pesantemente tatuato (anche se, ultimamente, è meno in uso per sfuggire alla repressione), capelli rasati, vestiti larghi, basso livello di istruzione, atteggiamento di sfida, un certo tipo di gergo, di gestualità, di sguardo e una vita di povertà e di abbandono scritta sulla fronte. In Salvador, Honduras e Guatemala possedere anche solo qualcuna di queste caratteristiche equivale oggi a un delitto. Antonio Rodríguez López Tercero, missionario passionista spagnolo impegnato da quasi dieci anni in Salvador nella prevenzione e nel recupero dei mareros,
lavora nella parrocchia San Francesco d’Assisi, nell’area metropolitana della capitale. Il religioso contesta la frenesia repressiva del governo e spezza una lancia a favore dei mareros: «Questi ragazzi prima di diventare violenti sono stati violentati nei loro diritti fondamentali: l’educazione, la salute, il diritto ad avere una famiglia, a giocare, a lavorare... Lo Stato continua a negare i diritti umani ai giovani e oggi ha iniziato a negare loro anche la vita. Ultimamente sono comparsi squadroni della morte che uccidono giovani in modo del tutto arbitrario».
I dati confermano che ci sia una relazione tra l’avvio della repressione governativa e il rialzo improvviso degli indici di violenza. A metà del 2003, quando è stato introdotto il Plan mano dura, il tasso di omicidi era di 34 per ogni 100 mila abitanti, mentre l’anno scorso ha superato i 55. Le maras rappresentano anche un fenomeno identitario. Frasi come: « La mara es mi familia. Para la mara vivir y para la mara morir » ('La mara è la mia famiglia; vivere per la mara e morire per la mara') si sentono ripetere spesso nelle aree depresse di San Salvador, San Pedro Sula, Città del Guatemala o Tapachula. Da qualche anno gli organismi di sicurezza e i media principali insistono
Ricoperti di tatuaggi, spesso giovanissimi, gli esponenti di questa microcriminalità sono abbandonati a loro stessi.
La politica cavalca il senso di paura e come unica risposta impone una durissima tolleranza zero