Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Notizie dall'Italia (maggio 2008). Le ragioni dell'in/dipendenza

Notizie dall'Italia (maggio 2008). Le ragioni dell'in/dipendenza

di redazionale - 14/06/2008

 

·  Aumento del prezzo del petrolio e speculazione finanziaria (5 e 6 maggio). Effetti della dipendenza. Con un occhio anche ai "mutui subprime" (8 maggio).

 

·  Come la Banca Centrale Europea indirizza la politica economica e sociale italiana. Cfr. 1, 5, 6, 8, 12, 20, 30. Paradigmatica la dichiarazione del presidente della BCE, Jean Claude Trichet (8 maggio).

 

·  L'Unione Europea vettore anche dell'americanizzazione militare dei paesi europei (1 e 3 maggio). I dati e i costi dell'occupazione militare USA in Italia (2 e 3 maggio).

 

·  George Soros e la AS Roma: quali le finalità politiche dello speculatore finanziario statunitense (26 maggio)?

 

 

  • Unione Europea / BCE. 1 maggio. Euro troppo forte, guai per l’Italia. Secondo il New York Times, l’avvento dell’euro ha messo in forte difficoltà il “Club Med”, cioè Grecia, Portogallo, Italia e Spagna, alle prese con inflazione in crescita e rapporto debito pubblico / PIL in aumento anche per le minori esportazioni causate dal cambio sopravvalutato dell’euro. «Prendiamo l’Italia, forse l’economia più debole d’Europa: alti costi del lavoro (sic!, ndr), esportazioni in calo e un debito pubblico gigantesco. Il vecchio rimedio sarebbe stato svalutare la lira. Adesso, incatenata al potente euro, non può. Probabilmente dovrà sopportare la recessione e l'aumento della disoccupazione», scrive il quotidiano USA. Se la Banca Centrale Europea abbassasse i tassi d’interesse, «probabilmente sgonfierebbe un pò l'euro e faciliterebbe all'Italia la vendita del suo vino e delle sue scarpe». In Italia e in altri paesi meridionali, scrive il New York Times, «secondo gli esperti, dato il disagio crescente, è sorprendente che non ci sia maggiore dissenso», e ricorda come nel 2005 Roberto Maroni avesse lanciato un appello al ritorno alla lira: «fu tacitato anche dai membri del governo Berlusconi». Il quotidiano statunitense nota infine che «i rigori della vita con l’euro potrebbero comunque impedire al club di crescere. Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e altri paesi est europei una volta speravano di adottare la moneta unica in fretta dopo l’adesione. Adesso molti aspetteranno fino al 2012. L’Unione monetaria sarà anche durevole ma non è molto amata».

 

  • U.S.A./NATO/UE. 1 maggio. L’Unione Europea sarà «integrata» nella NATO. È l’indirizzo strategico affermato due mesi fa al German Marshall Fund di Bruxelles (istituto promotore di svariati progetti “transatlantici” tra Stati Uniti ed Unione Europea in politica estera, economia, eccetera) dal segretario generale della NATO, De Hoop Scheffer. «Sono convinto che prendere sul serio la riforma della NATO significa cercare maggiori sinergie con l’Unione Europea», ha dichiarato l’olandese, «voglio vedere molta messa in comune delle nostre capacità (di NATO ed UE, ndr), specialmente in aree come trasporti ed elicotteri, ricerca e sviluppo, addestramento». De Hoop Scheffer dà quindi appuntamento al prossimo vertice NATO 2009 (in cui si celebrerà il 60° anniversario dell’Alleanza Atlantica) per la presentazione di tale riforma volta ad ottimizzare spese e dispositivi militari in funzione delle strategie imperiali USA. «Con un nuovo presidente USA in carica, un nuovo atteggiamento francese verso la NATO e una nuova dinamica nel processo di integrazione europea (un probabile riferimento al Trattato UE di Lisbona, ndr), penso che il futuro vertice 2009 produrrà un breve ma incisivo documento che riaffermi i duraturi fondamenti della cooperazione transatlantica nella sicurezza, e delinei i parametri basilari del nuovo Concetto Strategico».

 

  • U.S.A./NATO/UE. 1 maggio. L’integrazione dell’Unione Europea in un’”alleanza” militare come la NATO, sempre più usata come forza di aggressione in ogni parte del mondo, è un evento significativo ed inquietante. La discussione sul nuovo concetto strategico NATO, peraltro, va di pari passo con l’approvazione in sordina, nell’assordante silenzio dei media e senza prevedere la consultazione della volontà popolare, del nuovo Trattato UE di Lisbona. Il nuovo Trattato, in realtà la riproposizione sotto altre vesti della cosiddetta “Costituzione Europea” bocciata nel 2005 con una consultazione referendaria in Francia ed Olanda, tra le altre cose prevede che la politica di “difesa” degli Stati membri dev’essere compatibile con quella della NATO. In uno scenario geopolitico caratterizzato dall’invadenza aggressiva di Washington, in ultima istanza volta a fronteggiare l’espansionismo dei rivali Russia e Cina, l’Unione Europea si presenta sempre più come «cortile di casa» degli USA, con gli Stati membri chiamati ad eseguire le direttive strategiche USA ed a contribuire con uomini e mezzi finanziari (in un contesto dove contraddittoriamente si proclama che non ci sono risorse per alimentare la spesa sociale).

 

  • U.S.A./NATO/UE. 1 maggio. Un ancor più stretto “coinvolgimento” dell’Unione Europea nelle strategie imperialiste USA era stato in precedenza chiesto anche dall’ambasciatrice statunitense alla NATO, Victoria Nuland. In due discorsi tenuti a Londra e Parigi (22 e 25 febbraio 2008), disponibili in francese sul sito diploweb.com e tradotti in italiano su www.ripensaremarx.splinder.com, la Nuland auspica una nuova “Unione transatlantica” (ovviamente a guida USA) in cui l’Europa della difesa, coordinata con la NATO, costituisca un fondamentale pilastro. In questi progetti l’Unione Europa è vista dunque come il principale “alleato” / subalterno statunitense, pronta a sobbarcarsi le responsabilità militari e logistiche, con relativo dispendio di uomini e risorse finanziarie, chieste da Washington per la messa in atto delle proprie strategie. «Gli Stati Uniti ed il Regno Unito non hanno soltanto bisogno uno dell’altro, ma hanno bisogno di un’Europa forte (…) di una capacità di difesa europea più forte e più potente (…) Negli Stati Uniti, abbiamo bisogno di un’Europa che sia il più possibile unita, pronta a fare tutta la sua parte per difendere la nostra sicurezza comune e promuovere i nostri valori condivisi (così come in Iraq ed Afghanistan, per citare solo gli ultimi esempi, ndr?)». L’ambasciatrice parla dunque di “sfide comuni”che attendono USA ed Unione Europea, citando i soliti «terrorismo» e «armi di distruzione di massa» (senza rilevare che di entrambi gli Stati Uniti sono primo produttore ed esportatore), ma anche un non specificato «estremismo violento» e la «necessità di ridurre la nostra dipendenza verso l'energia fossile», puntando il dito, seppur con termini diplomatici improntati alla ricerca di “cooperazione”, su Russia, Iran e Cina.

 

  • U.S.A./NATO/UE. 1 maggio. L’ambasciatrice stila quindi un bilancio dell’attuale capacità militare europea, rilevando dal suo punto di vista gli elementi positivi ma evidenziandone anche i “punti deboli”. «Con quindici missioni su tre continenti, l’UE ha provato la sua capacità di costituire un insieme più grande della somma delle sue parti. Oggi, l’UE fornisce aiuti allo sviluppo, ai diritti umani, ai programmi anticorruzione, agli istruttori di polizia (…) La Gran Bretagna è stata la nazione pilota per la costruzione di queste capacità nell’UE (…) a prova di ciò, la missione civile-militare dell’UE in Bosnia, le missioni di polizia a Timor Est ed a Rafah, e gli sforzi di mantenimento della pace in Ciad». È dal punto di vista della struttura militare che cominciano per l’ambasciatrice USA le note dolenti: «In Ciad, le nazioni europee che partecipano alla missione scoprono che anche per organizzare un'operazione modesta di sostegno della pace occorrono elicotteri di manovra, aerei da trasporto a lungo raggio d'azione, mezzi sofisticati di informazioni, di sorveglianza e di riconoscimento, mezzi di comunicazione moderni ed interoperabili. Tutto l’aiuto allo sviluppo del mondo, tutto il sostegno alla buona gestione e tutti gli addestramenti di polizia del mondo non servono a nulla se inizialmente non potete fornire la sicurezza alle persone che cercate di aiutare (sic!, ndr). L’organizzazione che servo, la NATO, trae gli stessi insegnamenti in Afghanistan (doppio sic!, ndr)». Le sfide future di Washington richiedono perciò un incremento delle spese militari per «migliorare i mezzi militari europei collocati in settori trascurati come quelli degli elicotteri, i droni, le forze speciali; disporre di comunicazioni interoperabili e di soldati addestrati alla lotta antiribellione», e l’ottimizzazione delle risorse disponibili: «abbiamo bisogno di uno spazio dove possiamo pianificare ed addestrarci a tali missioni, come un’unica famiglia UE-NATO». La Nuland insiste infine sul fatto che Washington necessita «di un’UE più forte (…) di una NATO più forte (…) gli americani ed i britannici non possono continuare a portare tale parte della responsabilità globale senza ulteriore aiuto dei nostri alleati ed amici».

 

  • U.S.A./NATO/Italia. 2 maggio. L’Italia come avamposto militare del Pentagono. Su il Manifesto dello scorso mese Manlio Dinucci snocciola tra i dati del Base Structure Report quelli relativi al peso militare statunitense in Italia. Nel nostro paese, secondo il Rapporto, le forze armate statunitensi hanno importanti installazioni in 41 siti (cui se ne aggiungono 57 minori): qui posseggono 1593 edifici con una superficie totale di oltre 900mila m2, più altri 1348 in affitto o concessione. Il Pentagono è dunque uno dei maggiori proprietari immobiliari del nostro paese. Tutte queste basi, nel quadro del riallineamento strategico, stanno acquistando crescente importanza. Lo dimostra la decisione di raddoppiare la base di Vicenza, avallata dal governo Prodi e ora confermata dagli appalti alle «cooperative rosse»: da qui opera la Squadra di combattimento 173a brigata aviotrasportata, l’unica unità aviotrasportata e forza di risposta rapida del Comando europeo degli Stati Uniti, la cui missione è «promuovere gli interessi statunitensi in Europa, Africa e Medio Oriente». Nel 2005 è stato inoltre trasferito da Londra a Napoli il Fleet and Industrial Supply Center (Fisc), il centro logistico delle forze navali USA in Europa. Altrettanto importante è il potenziamento della base di Sigonella. Sempre nel 2005 è entrato in funzione a Sigonella il Global Broadcast Service, che trasmette alle unità di combattimento le informazioni satellitari. Nel 2007 è stato annunciato che a Sigonella sarà installata anche una delle 4 stazioni terrestri (le altre saranno negli USA e in Australia) di un nuovo sistema di comunicazioni della marina statunitense: il Muos (Mobile User Objective System), formato da una costellazione di satelliti geosincroni, che collegherà con comunicazioni radio, video e trasmissione dati ad altissima frequenza, le unità di superficie, i sottomarini, i cacciabombardieri, i missili, gli aerei senza pilota, i centri di intelligence, in qualsiasi parte del mondo si trovino. Con l’installazione del Muos, la base di Sigonella è destinata a svolgere ulteriori ruoli anche nel programma dello «scudo» antimissili che gli USA vogliono estendere all’Europa: il governo italiano vi ha aderito firmando segretamente al Pentagono, nel febbraio 2007, un accordo-quadro per mano del ministro della difesa Arturo Parisi.

 

  • U.S.A./NATO/Italia. 2 maggio. Le basi in Italia (al cui costo il nostro paese contribuisce nella misura del 41%) servono non solo alla «proiezione di potenza» USA verso sud e verso est, ma svolgono sempre più funzioni globali nella strategia USA. Queste basi (cui si aggiungono quelle NATO sempre sotto comando USA) dipendono dalla catena di comando statunitense e sono sottratte ai meccanismi decisionali italiani: quando e come vengono usate dipende non da Roma ma da Washington. Così, sulla scia del riorientamento strategico USA, è cambiato, a partire dalla prima guerra del Golfo, il ruolo delle forze armate italiane. Come spiega il capo di stato maggiore della difesa, loro compito è oggi la «difesa degli interessi vitali del paese» nelle aree di «interesse strategico» che comprendono Balcani, Europa orientale, Caucaso, Africa settentrionale, Corno d’Africa e Golfo Persico. A tal fine si sta realizzando uno «strumento proiettabile», dotato di spiccata capacità «expeditionary» coerente con il «livello di ambizione nazionale». Fuor di prolissità: l’Italia si attrezza per la «proiezione di potenza» statunitense.

 

  • U.S.A./NATO/Italia. 2 maggio. Tutto questo costa. La spesa militare italiana, già all’ottavo posto mondiale come ammontare e al sesto come spesa pro-capite, continua ad aumentare. Nelle ultime due finanziarie è cresciuta complessivamente del 23%, raggiungendo i 23,5 miliardi di euro. Anche in Italia, come negli USA, tale continuo aumento è stato reso possibile da una politica bipartisan, portata avanti prima dal governo Berlusconi, quindi da quello Prodi. Emblematica la partecipazione italiana al costosissimo programma del caccia statunitense Joint Strike Fighter, ribattezzato F-35 Lightning: il primo memorandum d’intesa è stato firmato nel 1998 dal governo D’Alema; il secondo, nel 2002 dal governo Berlusconi; il terzo, nel 2007 dal governo Prodi. Il Joint Strike Fighter è un caccia multiruolo, efficace strumento di guerra concepito per tutte le missioni di attacco. Per partecipare al programma, l’Italia si è impegnata a versare un miliardo di dollari, a cui si aggiungerà il costo per l’acquisizione degli aerei, che «comporterà per l’Italia un impegno stimato in circa 11 miliardi di dollari». Si tratta appunto di “stime”, perché il costo di tutti i sistemi d’arma aumenta in continuazione. Un salasso per le casse pubbliche, a cui vanno aggiunti i circa 7 miliardi di euro per acquistare 121 Eurofighter Typhoon, il caccia europeo che l’Italia sta costruendo (insieme a Gran Bretagna, Germania e Spagna) mentre allo stesso tempo partecipa alla realizzazione del caccia statunitense, concorrente di quello europeo. Ingenti profitti godranno invece le società –Avio, Piaggio, Galileo avionica, Oto Melara e altre– legate alla costruzione del caccia, definito «un fulmine che colpirà il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente» nel quadro della strategia statunitense della “guerra preventiva”, a cui l'Italia viene sempre più legata.

 

  • U.S.A./NATO/UE. 3 maggio. SI alla realizzazione in Europa del sistema di difesa/offesa antimissilistico (comunemente noto come “Scudo anti missilistico”, BMD) voluto da Washington: è la decisione più importante sul piano strategico del vertice NATO di Bucarest (2-3 aprile). Il sistema missilistico è infatti cruciale per il dominio geopolitico USA nel XXI secolo. Lo “Scudo”, costituito da radar e missili, è finalizzato alla intercettazione e distruzione dei missili balistici nemici sia nella fase di lancio che in quelle intermedia e terminale. Ufficialmente dovrebbe servire a proteggere gli Stati Uniti e l’Europa stessa dalle testate nucleari degli “Stati canaglia” Corea del Nord ed Iran. Ma, a prescindere dal fatto che nessuno di questi paesi è dotato di missili balistici in grado di minacciare Stati Uniti ed Europa, un atto del genere fornirebbe a Washington un pretesto per poter addirittura incenerire i due Paesi in questione. E poi, se la Corea del Nord volesse colpire gli Stati Uniti, lancerebbe i suoi missili non certo verso ovest, al di sopra dell’Europa. E ancora: se fosse vero che l'obiettivo è neutralizzare i missili iraniani, occorrebbe installare i missili intercettori in Turchia o altri paesi limitrofi...

 

  • U.S.A./NATO/UE. 3 maggio. Le vera finalità dello “Scudo” sono invece due, di diverso grado: un consolidamento, anche attraverso l’installazione di una rete di sofisticati centri di intelligence, del dominio sull’intero territorio europeo, e soprattutto il dominio dello spazio, che garantirebbe a Washington decenni e decenni di superiorità militare sui futuri antagonisti globali. Il BMD (il programma missilistico), ancora lontano dall’essere affidabile, come dimostra il fallimento di diversi test, permette infatti di sviluppare le tecnologie per il dominio globale dello spazio, le stesse richieste dall’intercettazione di un missile. La realizzazione di uno “Scudo” anti-missili affidabile costituirebbe inoltre un sistema non di difesa, bensì di offesa: Washington sarebbe infatti in grado di lanciare un “first strike” (“primo colpo”) contro un paese dotato anch’esso di armi nucleari contando sulla capacità del sistema di neutralizzare o quantomeno attenuare gli effetti di una eventuale rappresaglia. Al momento, comunque, diversi analisti ritengono lo “Scudo” inefficace nel fronteggiare una eventuale risposta missilistica russa. Ciò non di meno, per i suoi risvolti tecnologici, il sistema BND è per Washington uno strumento fondamentale per la preparazione delle guerre del futuro. Il dispiegamento in Europa dello “scudo” costituisce dunque una vittoria di straordinaria portata per Washington sul piano politico, diplomatico e strategico, ottenuta superando la fortissima opposizione della Russia e in una fase in cui molti membri europei della NATO sono sempre più preoccupati di mantenere buone relazioni con la Russia sul piano economico e delle forniture di energia. La decisione costituisce altresì un cambiamento a 360 gradi della dottrina militare della NATO, dal principio della deterrenza nucleare tramite la minaccia della distruzione reciproca (Mutually Assured Destruction, MAD) a quello opposto della difesa/offesa antimissile contro armi a media lunga portata (intermediate-range ballistic missile, IRBM, e intercontinental ballistic missile, ICBM). È stato in ossequio al principio della deterrenza che USA e URSS avevano stipulato nel 1972 il Trattato ABM che proibiva tali sistemi, principio che l’amministrazione Bush ha affossato nel 2002 con la denuncia unilaterale dal Trattato. Siamo quindi di fronte a un cambiamento epocale.

 

  • U.S.A./NATO/UE. 3 maggio. Entrando nel dettaglio, la NATO dice sì all’insediamento del cosiddetto “Terzo Sito” (in aggiunta ai due già esistenti a Fort Greeley in Alaska e Vandenberg Afb in California), che dovrebbe comprendere una stazione radar nella Repubblica Ceca e una batteria di missili intercettori in Polonia. La NATO non solo avalla il piano, ma ha anche indicato che il “Terzo Sito” deve essere visto come facente parte del sistema di sicurezza collettivo dell’Alleanza. Affermando che «la difesa antimissile si inquadra nella risposta complessiva alle minacce contro il territorio e la popolazione degli Alleati», la NATO sta scientemente abbandonando i principi di deterrenza per allinearsi alle nuove politiche di "sicurezza" espresse nella National Security Policy dell’amministrazione Bush (fondata anche sulla dottrina e la pratica della guerra preventiva), e che hanno appunto comportato la denuncia unilaterale statunitense del trattato ABM e la decisione di dispiegare un sistema BMD. La NATO ha deciso –ma senza che l’opinione pubblica e gli stessi parlamenti degli Stati membri siano stati consultati o anche solo informati– di adeguarsi ai concetti strategici formulati dall’amministrazione Bush. L’era della deterrenza si chiude e si apre quella della difesa/offesa antimissile, preludio a nuove guerre statunitensi.

 

  • U.S.A./NATO/UE. 3 maggio. Con la dichiarazione finale NATO, quel “Terzo Sito” che aveva sollevato più di un dubbio all’interno di vari Paesi europei, viene adesso definito un beneficio per l’Alleanza in quanto tale. Quali “promesse” (o minacce?) gli Stati Uniti hanno messo sul tavolo per arrivare a una tale unanimità? Le implicazioni non sono di poco conto. Sul piano pratico, il “Terzo Sito” è strettamente inserito nel sistema: l’intero sistema di stazioni radar e postazioni missilistiche dipende infatti dalla catena di comando che fa capo al presidente degli Stati Uniti. In precedenza, il sottosegretario USA alla difesa Eric Edelman aveva puntualizzato che «per la difesa missilistica, i tempi sono oggi molto più brevi di quanto fossero durante la guerra fredda. Allora avevamo 30 minuti per decidere la risposta. Oggi, a seconda delle circostanze, abbiamo una finestra tra 2 e forse 12 minuti». Quindi, «i protocolli di esecuzione sono preprogrammati nel sistema», che funzionerà al di fuori di qualsiasi decisione o consenso da parte dei governi ceco o polacco di turno, in balìa dei «protocolli di esecuzione preprogrammati» dal Pentagono. Ma non è tutto: la dichiarazione finale NATO parla adesso di una «architettura di difesa antimissile per tutta la NATO», sulla quale non risulta esserci mai stata alcuna discussione. Ed integrare il “Terzo Sito” in una futura “architettura NATO”, ovviamente sotto controllo esclusivo statunitense, non significa altro che costituire altri siti simili per tutto il territorio dell’Alleanza.

 

  • U.S.A./NATO/Italia. 3 maggio. Polonia e Repubblica Ceca non sono infatti gli unici “alleati” destinatari del sistema missilistico e su cui Washington conta di scaricare parte degli ingenti costi per lo sviluppo del sistema, ammontanti finora a 10 miliardi di dollari annui. Come rivelato da alcuni articoli dello scorso anno di Manlio Dinucci (il Manifesto), oltre alla Gran Bretagna ed a progetti che coinvolgerebbero Ucraina e Georgia, anche l’Italia, in segreto, verrà coperta dallo “Scudo” statunitense. «Ho il piacere di annunciare che lo scorso febbraio abbiamo stabilito un memorandum di accordo quadro con l'Italia e possiamo ora iniziare a sviluppare possibilità di condivisione di tecnologie di difesa missilistica, analisi e altre forme di collaborazione»: così il generale Henry Obering III, direttore dell’Agenzia degli Stati Uniti di difesa missilistica, ha annunciato il 27 marzo 2007, di fronte al comitato per i servizi armati della Camera dei rappresentanti, che l’Italia entra ufficialmente nello “Scudo”. Lo stesso generale ha chiarito che lo schieramento in Europa, da parte degli Stati Uniti, di missili anti-missili non rientra in ambito NATO e che «gli USA non sono disponibili a cedere la responsabilità del progetto». Secondo Dinucci, il memorandum di accordo quadro, rimasto segreto al Parlamento ed all’opinione pubblica e redatto col governo Berlusconi (la firma è poi slittata a causa delle elezioni italiane di aprile), è stato siglato al Pentagono il 16 febbraio 2007 da un innominato rappresentante del governo italiano (forse l’allora ministro della Difesa, Parisi), dopo che il 7 febbraio il centrosinistra aveva assicurato a Washington ulteriori esborsi ed impegni per il programma del caccia statunitense F-35 Lightning (Joint Strike Fighter).

 

  • U.S.A./NATO/Italia. 3 maggio. La firma dell’accordo al Pentagono è stata ammessa, a malincuore e non senza ambiguità, dal sottosegretario Verzaschi alla Camera il 12 aprile 2007. Il sottosegretario ha riconosciuto che l’accordo quadro comporta una serie di «accordi attuativi successivi» che a loro volta producono «costi associati», ossia un ulteriore aumento della spesa militare italiana e di quella della ricerca a fini militari, e che tali accordi «sono suscettibili di alterare equilibri strategici consolidati, in particolare con la Russia». Tra l’altro l’Italia ha lanciato l’8 giugno 2007 il suo primo satellite a uso “duale”, civile e militare, proprio dalla base di Vanderberg in California, dove sono già installati alcuni missili dello “Scudo” USA. Il fatto che il progetto sia cofinanziato dal ministero della difesa conferma che i satelliti hanno anche una importante funzione militare, presumibilmente collegata al sistema BMD statunitense. Il sottosegretario Verzaschi ha poi ricordato l’esistenza «già da tempo [di] rapporti di collaborazione industriale con gli Stati Uniti nel settore missilistico, tra i quali emerge per importanza quello per la progettazione e lo sviluppo del sistema Medium Extended Air Defence System (Meads)».

 

  • U.S.A./NATO/Italia. 3 maggio. Il Meads, ricorda Dinucci, rientra nel progetto dello “scudo a più strati”. È un sistema mobile, facilmente trasportabile in lontani campi di battaglia, utilizzabile contro missili tattici, aerei ed elicotteri. Come il “grande scudo” contro i missili balistici, questo “piccolo scudo” è uno strumento non per la difesa ma per l’attacco: una sorta di testuggine destinata a proteggere i soldati statunitensi e alleati all’offensiva. La Meads International –la joint-venture multinazionale, con quartier generale in Florida, incaricata della realizzazione del sistema– ha ricevuto nel 2005 un primo contratto per 3,4 miliardi di dollari. La spesa è sostenuta per il 58% dagli USA, per il 25% e il 17% rispettivamente da Germania e Italia. Ciò significa che, solo per questo primo contratto, l’Italia spende, con il denaro pubblico, oltre mezzo miliardo di euro. Altrettanto, o di più, spenderà per ciascuno dei successivi contratti e, soprattutto, per l'acquisto dello scudo-testuggine quando sarà ultimato. Il memorandum d’intesa sulla partecipazione dell’Italia al “piccolo scudo” venne firmato nel maggio 1996 dal primo governo Prodi. Risalendo ancora indietro nel tempo, andrebbe ricordato il primo memorandum d'intesa sulla partecipazione italiana ai programmi di ricerca per lo “Scudo” firmato al Pentagono, nel settembre 1986, dal secondo governo Craxi.

 

  • U.S.A./NATO/Italia. 3 maggio. Le implicazioni dell’accordo firmato al Pentagono sono enormi, su tutti i piani: militare, politico, economico. Esso prevede una serie di accordi specifici che coinvolgeranno nel programma non solo le industrie militari italiane, soprattutto quelle del settore aerospaziale, ma anche università e centri di ricerca. La realizzazione dello “Scudo” viene presentata come un affare per i paesi europei. Con un ‘piccolo’ però: così come per il succitato Joint Strike Fighter, mentre centinaia di milioni di dollari entreranno con i contratti nelle casse di aziende private, centinaia di milioni o miliardi usciranno dalle casse pubbliche come compartecipazione alla spesa per la sua realizzazione. L’accordo comporta in sintesi un ulteriore: aumento della spesa militare italiana (già tra i primi posti nel mondo), soprattutto dei programmi di investimento derivanti da accordi internazionali; militarizzazione della ricerca, a scapito di quella civile, sotto la cappa del segreto militare; rafforzamento dei comandi e delle basi statunitensi in Italia, con la conseguenza che il nostro paese diverrà ancor più trampolino di lancio delle operazioni militari statunitensi verso sud e verso est; pericoli per il nostro paese che, per la sua collocazione geografica, costituisce una postazione ottimale in cui installare sia radar che missili intercettori rivolti verso il Medio Oriente e il Nord Africa. Come ricorda Dinucci, «siamo di fronte a una non nuova, ma vergognosa adesione ai sempre più pericolosi piani di guerra statunitensi, e alla conferma che il nascente Partito Democratico già corre per rafforzare i legami con gli Stati Uniti piuttosto che la sicurezza del nostro paese».

 

  • Banca Centrale Europea. 5 maggio. La Banca Centrale Europea ammonisce contro un aumento dei salari. Jean-Claude Trichet annuncia l’allarme inflazione, che resterà «significativamente sopra il 2%» (!!!) per almeno tutto il 2008. Ma le parole di Trichet esprimono preoccupazione non tanto per il caro-petrolio o i prezzi dei generi alimentari in preoccupante ascesa, ma per i cosiddetti «effetti di secondo livello» di questi aumenti, a partire da un incremento dei salari e, dunque, del costo del lavoro. Per Trichet, è contro la rinegoziazione di salari e stipendi che bisogna agire «in maniera ferma e tempestiva (…) Il messaggio della BCE è chiaro: vanno eliminati i fenomeni di indicizzazione automatica nelle nostre economie». Insomma, a fronte dell’aumento del costo della vita i salari devono restare fermi. Assoluto silenzio, invece, sulle speculazioni finanziarie sul petrolio e sugli alimentari.

 

  • Petrolio. 5 maggio. Goldman Sachs lo pre-vede oltre i 200 dollari. Arjun Murti, l’analista dell’influentissima banca d’affari USA Goldman Sachs che nel marzo 2005 previde che il prezzo del petrolio sarebbe arrivato oltre i cento dollari, vede adesso le quotazioni del greggio proiettate addirittura fino a 200 dollari al barile. Secondo le indicazioni date da un gruppo di analisti di Goldman Sachs capeggiato appunto da Murti, nel giro di due anni il prezzo potrebbe arrivare fra i 150 ed i 200 dollari. Il report sottolinea che le possibilità di vedere il greggio a questi livelli «sembrano essere aumentate da qui a 6-24 mesi», sebbene sia difficile individuare esattamente il picco delle quotazioni ed al tempo stesso la durata di questa fase rialzista. Intanto il greggio a New York ha superato quota 120 dollari.

 

  • Petrolio. 5 maggio. Contrariamente a quanto si pensa, l’aumento del prezzo di un barile di greggio, oltre ad influenzare negativamente l’economia dei paesi industrializzati, produce conseguenze anche sui paesi produttori di petrolio, sovente privi sia di infrastrutture e tecnologie occorrenti per la raffinazione, sia di industrie all’avanguardia, pertanto costretti ad importare derivati del greggio e prodotti industriali ad un costo che aumenta più del tasso di incremento del prezzo del greggio. Alcuni analisti come William Engdahl puntano il dito sulla speculazione finanziaria, attraverso cui soprattutto banche d’affari e fondi d’investimento stanno facendo impennare il prezzo del barile ed in generale delle materie prime al fine di ripianare le perdite subite con i cosiddetti “mutui subprime”. Il meccanismo speculativo va anche legato alla politica monetaria della FED (la banca centrale USA), che ha ridotto i tassi dal 5.25% al 2%, ed alla caduta del dollaro. Anche un economista come Giacomo Vaciago ha spiegato tempo fa che «la quotazione del dollaro avvantaggia la speculazione. Si tratta di un meccanismo molto semplice: fai debiti in dollari e compra petrolio. I tassi scendono, i debiti si fanno in dollari e più ne fai e meno costano, perché scende il dollaro e paghi di meno. C’è un effetto subprime sul dollaro, a tutto vantaggio di chi compra petrolio e fa i soldi: la speculazione vince, perché non può perdere».

 

  • Petrolio. 5 maggio. In due dettagliati articoli pubblicati tra gli altri dal sito web globalresearch.ca, William Engdahl spiega come l’odierno prezzo del greggio non è affatto frutto di una carenza nell’offerta petrolifera o di un eccesso di domanda. Engdahl porta un poco di ordine tra l’infinità di notizie anche plausibili, diffuse ad arte dai media, per giustificare i rincari dei futures petroliferi: dal “rischio terrorismo” alla guerra imminente in Iran o alla “domanda insaziabile” in Cina. Proprio a tal riguardo lo studioso USA rileva che la domanda di greggio cresce sì in Cina, ma diminuisce considerevolmente negli USA per la recessione. E se la Cina consuma 7 milioni di barili al giorno, gli USA abbisognano del triplo: 20,7 milioni barili. È nel più grosso consumatore mondiale, gli USA, che si registra un calo dei consumi destinato a salire quanto più la recessione frenerà i consumi delle famiglie, colpite dai pignoramenti, dai debiti, dalla disoccupazione crescente. Come non bastasse, nuovi giacimenti entreranno in produzione nel 2008, aumentando l’offerta, a cominciare dall’Arabia Saudita. Si tenga presente che anche a prezzi ben al di sotto dei 100 dollari al barile diventano convenienti economicamente molti dei pozzi chiusi quando il greggio era quotato sotto i 30 dollari. Il costo medio di estrazione del petrolio più caro, quello dalle sabbie bituminose canadesi, è di 60 dollari. Insomma: la domanda non cresce, l’offerta aumenta, ma i prezzi salgono.

 

  • Petrolio. 5 maggio. In realtà ci troviamo dinnanzi l’ennesima bolla finanziaria manovrata in particolare dalle banche d’affari USA alle prese con la crisi dei “mutui subprime”. Engdahl stima che almeno il 60% del prezzo del greggio è pura speculazione. Lo studioso ci informa che il prezzo del petrolio viene oggi determinato da Borse elettroniche (i mercati OTC, Over-The-Counter, caratterizzati dal non avere un regolamento, mercati le cui compravendite si svolgono al di fuori dei circuiti borsistici ufficiali) controllate da banche d’affari come Goldman Sachs e Morgan Stanley ed esentate dalle amministrazioni USA da varie normative e controlli attraverso i quali sarebbe stato possibile mettere dei limiti alle posizioni speculative. Le somme per l’acquisto e vendita a termine di petrolio, lasciate in balìa della speculazione finanziaria, risultano così ben più elevate delle reali consegne di oro nero. Manipolare i rincari attraverso i futures è poi conveniente, perché si può comprare sulla carta una partita di petrolio ad una data stabilita (future, appunto) versando in anticipo solo il 6% del prezzo. Con scarse disponibilità di moneta, si può dunque manovrare su grandi quantità di merci. Le tesi di Engdahl si fondano soprattutto sui risultati di una inchiesta del Senato USA (giugno 2006). Secondo l’inchiesta, è stata la speculazione nei mercati finanziari ad aver fatto rincarare il greggio con contratti futures per miliardi di dollari. Il rapporto senatoriale del 2006 rileva che «ci sono pochi gestori di fondi che sono maestri nello sfruttare le teorie sul picco petrolifero e i momentanei colli di bottiglia della domanda-offerta. Essi gettano benzina sul fuoco rialzista facendo audaci previsioni di straordinari rincari imminenti che diventano profezie auto-avverantisi». Nelle Borse elettroniche il rapporto rileva che, «al contrario di quanto previsto nei mercati regolamentati sui futures, non ci sono limiti al numero di contratti che uno speculatore può effettuare», così come supervisioni di qualche ente statale od obbligo di presentazione di un rapporto sui contratti stipulati alla fine di ogni giornata.

 

  • Petrolio. 5 maggio. Con le tesi di Engdahl converge indirettamente anche Alberto Clò, dell’Università di Bologna e presidente del centro studi RIE. Anche Clò rileva che la domanda di greggio cresce meno di quanto si attendeva, e che la causa dei rincari è la speculazione finanziaria. È dunque «la componente finanziaria a spingere le quotazioni ed essa rispetta logiche completamente diverse. Il petrolio è diventato l’investimento più redditizio e rende di più che gli investimenti sulle obbligazioni o sulle divise. A ciò si deve aggiungere la perdita di valore del dollaro che accentua la pressione della componente finanziaria». Per Clò è necessario quindi prestare «più attenzione ai derivati petroliferi, visto che anche le autorità americane parlano di scarsa trasparenza in questo settore e di facili manipolazioni». L’economista focalizza pure l’attenzione sulle ragioni dei momentanei ribassi in un trend rialzista della quotazione del barile, causata dal fatto che il greggio, raggiunte certe soglie, «cala quando gli speculatori incassano i loro dividendi. Dopo di che può tornare a salire».

 

  • Petrolio. 6 maggio. La speculazione finanziaria sul petrolio farà impennare esponenzialmente anche i prezzi dei beni alimentari. Secondo un’analisi della Coldiretti, sulla base dei dati Ismea relativi a marzo 2008, il costo di produzione degli alimenti nelle imprese agricole fa segnare un aumento dell’8,8% a causa del record fatto segnare dal petrolio, che rischia di provocare un effetto valanga sui prezzi al consumo, con l’86% delle merci che in Italia viaggia su strada. L’attività di allevamento e la coltivazione dei cereali come grano, mais e riso sono le più colpite. Per l’attività di allevamento, spiega Coldiretti, i costi sono aumentati del 14%, con punte del 16% per i bovini, mentre per la coltivazione di riso gli oneri sono cresciuti per grano e mais dell’11% e del 10% per il riso. Tra i fattori della produzione necessari alle campagne che hanno subìto maggiori rincari, afferma l’organizzazione, ci sono i fertilizzanti (+ 35,6%), i mangimi (+ 22,6%) ed i carburanti (+7,1%). Nell’alimentazione di trattori e mezzi meccanici, il gasolio nelle campagne ha sostituito quasi completamente la benzina. Ma a subire gli effetti del caro prezzi, conclude Coldiretti, è l’intero sistema agroalimentare, dove i costi della logistica incidono dal 30 al 35% per frutta e verdura e assorbono in media un quarto del fatturato delle imprese agroalimentari.

 

  • Unione Europea. 6 maggio. Bruxelles pretende ulteriori lacrime e sangue dall’Italia per «rafforzare gli obiettivi di bilancio per il 2008». È quanto si legge nella proposta di raccomandazione al consiglio Ecofin che il commissario UE agli affari economici e monetari, Joaquin Almunia, presenterà alla Commissione UE. Almunia intende sì chiedere l’abrogazione della procedura per “deficit eccessivo” aperta nel 2005 nei confronti del nostro Paese, perché «il deficit è stato portato sotto il tetto del 3% del PIL in maniera credibile e sostenibile», anche se al prezzo di ulteriori tagli alla spesa sociale e inasprimenti fiscali che hanno reso altamente impopolare il governo Prodi. Nel testo si ricorda come il rapporto deficit / PIL si è attestato all’1,9% nel 2007, dopo il 3,5% del 2004, il 4,2% del 2005 e il 3,4% del 2006. Bruxelles prevede che il disavanzo si attesti al 2,3% nel 2008. Il monito però arriva proprio per il 2008, a ben vedere in contraddizione con il succitato virgolettato. Il Consiglio UE ha già sottolineato come «il bilancio strutturale rischia di deteriorarsi sostanzialmente nel 2008», col risultato che «l’obiettivo di medio termine del pareggio di bilancio potrebbe non essere raggiunto entro il 2011». Insomma Bruxelles, non soddisfatta della crisi in cui versa il Paese, esige ulteriori sacrifici, ed ammonisce che una riduzione delle tasse sia a livello nazionale che locale, unite ad un aumento di spesa per accordi su retribuzioni del settore pubblico a livello locale per il 2006-07, porterà al peggioramento del deficit. La verità è invece tutt’altra: tagli alla spesa ed aumento della pressione fiscale, aggiunta alla politica monetaria restrittiva della Banca Centrale Europea, con la sopravvalutazione dell’euro rispetto al dollaro, determinano una contrazione del PIL e dunque una diminuzione di quel rapporto deficit / PIL che a parole Bruxelles vorrebbe salvaguardare.

 

  • Economia. 7 maggio. «È una crisi con la C maiuscola». Lo afferma il neo ministro per l’Economia, Giulio Tremonti, in un’intervista con “La storia siamo noi” di Rai Due. Tremonti paragona l’attuale crisi finanziaria emersa con le insolvenze dei “mutui subprime” con quella devastante del '29: «La storia non si ripete mai per identità perfette, ma che sia una crisi con la C maiuscola lo sanno tutti». Così come nel '29 c’è «l’invenzione di ricchezza, l’illusione, il pompare i valori». Altra analogia è che «tutto avviene fuori dalle regole». Il neo ministro dell’Economia ricorda quindi i decisivi interventi dell’estate 2007 (immissioni di liquidità o addirittura nazionalizzazioni) approntati dagli Stati e dalle Banche centrali per evitare il fallimento del sistema bancario, che dimostrano come il neoliberismo inteso come mercato senza Stato sia una colossale menzogna e che la cosiddetta “globalizzazione” sia una prassi di pura rapina capitalistica di risorse economiche pompate dalla finanza pubblica a quella privata. «In Europa il mercato è stato tenuto in piedi dalla Banca Centrale Europea che ha messo dentro quella liquidità che i banchieri non volevano mettere dentro perché i banchieri non si fidavano dei banchieri. E lo stesso è avvenuto in America con la banca federale degli Stati Uniti. Una cosa ancora più forte è stata fatta in Inghilterra quando è stata nazionalizzata una banca fallita (la Northern Rock, ndr)».

 

  • Cronaca. 7 maggio. Si improvvisa rapinatore per pagare le rate del mutuo. Un giovane operaio di Brugherio (Milano) è stato arrestato dopo aver tentato di compiere una maldestra rapina all’Ufficio delle Poste. Acceso un mutuo con una rata di 750 euro, a causa dell’aumento dei tassi l’esborso mensile era salito a oltre 950 euro, insostenibile con lo stipendio da operaio e la paga della moglie, dipendente saltuaria in una mensa. L’operaio aveva anche contratto un altro debito con una finanziaria che, invece di risolvere la sua situazione, l’aveva aggravata, nonostante il sostegno dell’anziana madre e della sorella che a più riprese lo avevano aiutato nei pagamenti.

 

  • Banca Centrale Europea. 8 maggio. Il trattato che disciplina l’attività della Banca Centrale Europea «stabilisce che i governi europei non possono nemmeno cercare di influenzare la Banca Centrale Europea. Questo è chiaro». Lo ha detto il presidente della BCE, Jean Claude Trichet, rispondendo alla domanda di un giornalista in cui si ipotizzava un’alleanza Berlusconi-Sarkozy per chiedere alla BCE un cambiamento di rotta.

 

  • Economia ("mutui subprime"). 8 maggio. Mano libera all’inflazione dei generi alimentari e delle materie prime per ripianare i conti delle banche d’affari USA. È praticamente questa la strategia finanziaria seguita dalla finanza USA per fuoriuscire dalla crisi dei “mutui subprime”, scaricandone i costi sulla popolazione mondiale. Italia inclusa. Fino a poche settimane fa si temeva una crisi finanziaria mondiale di impatto tale da spingere qualcuno a parlare addirittura di fine del sistema finanziario statunitense. Nei primi tre mesi del 2008 le quotazioni nei mercati finanziari erano crollate a causa dalla presa d’atto della recessione statunitense, della caduta dei consumi e della gravità della crisi nel sistema bancario globale, quasi tutto coinvolto nella bolla finanziaria dei mutui subprime e pieno di perdite: palesi per circa 300 milioni di dollari ed occulte per almeno il doppio. Il livello dei tassi interbancari a breve (Libor e l’equivalente europeo Euribor, i tassi d’interesse con cui i vari istituti si prestano il denaro tra di loro, gli stessi su cui sono indicizzati i mutui bancari), assai superiori al tasso di riferimento determinato dalle banche centrali, segnale della crisi di fiducia all’interno del sistema, mostrano che nei bilanci bancari sono ancora molti i crediti in sofferenza. Come spiegare allora l’attuale ottimismo in Borsa? Esso è semplicemente frutto delle ultime mosse di “socializzazione delle perdite” della Federal Reserve e del Tesoro USA (esemplificata dal duo Bernanke-Paulson), sostenuta dalle grandi banche d’affari USA.

 

  • Economia ("mutui subprime"). 8 maggio. Una importante mossa è stato il salvataggio, deciso a metà marzo dal governatore della Fed Bernake, del colosso bancario Bear Stearns da parte di JP Morgan, praticamente con i soldi della Banca centrale USA. Con questa mossa si è di fatto comunicato che la Fed avrebbe impedito con ogni mezzo possibile il fallimento di qualsiasi grande banca. Il secondo è stato il protrarsi e l’ampliarsi della continua immissione di liquidità, con ogni mezzo e senza andare troppo per il sottile, culminato con i massicci tagli dei tassi ufficiali e l’accettazione della “carta straccia” dei subprime in garanzia per ottenere finanziamenti dalla banca centrale USA. In pratica, siccome alcuni stimano che l’attuale buco non ancora emerso sia di circa 200 miliardi, la Fed si è detta disponibile ad assorbirlo e ripulirlo tutto. Una gigantesca opera di nazionalizzazione del rischio che non è servita a debellare la contrazione del credito alle attività produttive. Il terzo colpo lo ha messo a segno Paulson (ex Goldman Sachs) ed il mondo politico, approvando il bonus fiscale di 160 miliardi di dollari che nei prossimi giorni arriverà nelle cassette postali dei cittadini statunitensi. Anche questa è una misura tipicamente keynesiana, adottata da un presidente liberista e dimostra che quando ce n’è bisogno, predicare il liberismo e razzolare tutt'altro può essere utile, specie quando si liberalizzano i profitti e si socializzano le perdite. Molti analisti ripongono molta fiducia su questo provvedimento, ritenendo che i cittadini statunitensi ritorneranno a spendere e spandere come ai vecchi tempi, dimenticando l’erosione del potere d’acquisto determinata dal caro benzina, la rata del mutuo sempre più alta, la crescita dei generi alimentari. Questa illusione sarebbe avvalorata da risultati societari migliori delle grigie attese per varie multinazionali, ignorando però l’effetto doping valutario sui bilanci di tali colossi, che producono e vendono fuori dagli USA, realizzando profitti in valuta pregiata. Il rimpatrio contabile di questi profitti fa lievitare i risultati consolidati di gruppo, che sono espressi in dollari, sorprendendo gli analisti che non sono avvezzi a considerare nelle loro stime gli effetti delle plusvalenze valutarie. La resa dei conti è però soltanto rinviata.

 

  • Economia ("mutui subprime"). 8 maggio. La recessione statunitense –che a causa delle relazioni economiche globali basate innanzitutto sulla dipendenza dalle importazioni USA produrrà effetti anche in Europa e dunque in Italia– si innesta su una delle più importanti crisi finanziarie della storia e da questa crisi trova alimento. I fatti degli ultimi mesi hanno mostrato quanto il sistema bancario di tutto il mondo sia stato coinvolto nella “finanza creativa”, che ha creato un castello di carte che ora sta crollando. L’epicentro del terremoto è rappresentato dal crollo del mercato immobiliare USA. Da qui sono scaturiti tutti i problemi che hanno fatto scoppiare la bolla del credito facile. Il buco complessivo provocato dai subprime si allarga ogni settimana. Molti ormai stimano a 600 miliardi di dollari quella perdita che a luglio dello scorso anno Bernanke ipotizzava essere di 50, massimo 100 miliardi. Di questi 600 ne sono emersi circa 200, in grandissima parte dal mondo bancario. Ne mancherebbero ancora all’appello 400. Dopo le banche, fare pulizia toccherebbe alle società di assicurazione specializzate nella garanzia dei mutui ed ai fondi speculativi. Ma la crisi finanziaria non si limita al solo mondo “subprime”.

 

  • Economia ("mutui subprime"). 8 maggio. Stanno aumentando in modo consistente le insolvenze sui mutui da parte dei clienti migliori, che trovano conveniente “fallire” anche se avrebbero i soldi per pagare. In un contesto di prezzi delle abitazioni in calo, chi ha comprato la casa 1-2 anni fa finanziandosi al 100% (come in USA fanno quasi tutti), probabilmente si ritrova con un debito residuo superiore al valore della propria abitazione, ed un mercato immobiliare destinato a scendere ancora. Conviene quindi andarsene un anno in affitto e consegnare le chiavi della propria casa alla banca, con la probabilità di ricomprarsi la stessa casa spendendo molto meno nel 2009 o 2010. Oltre all’immobiliare residenziale, dinamiche analoghe si stanno riscontrando sull’immobiliare commerciale. Altro snodo di sofferenza, il mondo delle carte di credito revolving, che sono una forma di finanziamento della spesa corrente molto diffuso e molto caro, ma soprattutto poco trasparente, poiché tende a non fornire al cliente la esatta percezione del proprio indebitamento complessivo e alimenta l’illusione del credito facile, fino a quando le rate di rimborso non diventano un macigno che travolge gran parte dello stipendio. Anche in questo settore negli USA, ma anche in Europa, dove sono un po’ meno diffuse perché introdotte più recentemente, aumentano in modo preoccupante le insolvenze. Ed anche qui si parla di una montagna di miliardi di dollari di esposizione per il sistema bancario. Bisognerebbe poi accennare alle difficoltà finanziarie del cosiddetto “private equity”, che sta anch’esso barcollando. Si tratta di particolari fondi chiusi che, ricorrendo ad imponenti finanziamenti, investono in società in crisi, da ristrutturare, in settori ad alto rischio ed innovativi, effettuando scalate ed acquisizioni.

 

  • Economia ("mutui subprime"). 8 maggio. Sui consumatori statunitensi si sta abbattendo un duplice “effetto povertà”. Per la prima volta negli ultimi decenni, la recessione che si sta manifestando in USA è segnata da un calo della ricchezza finanziaria in azioni e di quella immobiliare. Questo li spingerà a “tirare la cinghia”, anche perché i prezzi al consumo aumentano significativamente. Dal momento che nel 2001 la crisi durò poco perché si bloccarono solo gli investimenti, ma non i consumi, si paventa che la crisi odierna non sarà indolore. Una crisi che investe i gangli vitali del sistema finanziario mondiale, in cui le banche hanno smesso di fare le banche (che valutano a chi prestare denaro e si assumono i rischi delle loro valutazioni) per diventare piazziste di carta finanziaria di dubbio valore presso la loro clientela. L’esplosione degli strumenti derivati ha raggiunto livelli che rendono persino impossibile la stima del loro ammontare complessivo. I nodi stanno venendo al pettine tutti insieme. Le autorità monetarie sono alle prese con un vero dilemma: lasciare fallire chi ha esagerato, con il pericolo di veder barcollare l’intero sistema a causa delle notevoli interdipendenze che esistono tra tutti gli operatori? Oppure cercare di salvare il sistema finanziario, iniettando altro denaro e soccorrere i falliti con soldi pubblici, sperando che le cose migliorino? La scelta della seconda opzione è al momento evidente. Ma ciò rischia di non fare semplicemente altro che allungare la resa dei conti finale e l’entità del conto da pagare.

 

  • Cronaca. 10 maggio. Minacce di morte ad intellettuali che rivendicano i diritti nazionali del popolo palestinese. Il filosofo Gianni Vattimo, l’artista Elvio Arancio e l’architetto Mohammad Hannoun hanno ricevuto tre identiche lettere in cui vengono minacciati di morte. Il testo della lettera inviata a tutti e tre, informa l’agenzia infopal.it, è la stessa e ricorda ai tre intellettuali il 12 ottobre 1972. Quel giorno venne assassinato in piazza Annibaliano, a Roma, dal Mossad israeliano, l’intellettuale pacifista palestinese Wail Zuaiter.

 

  • Unione Europea. 12 maggio. Bruxelles avvisa Tremonti: avanti con il “risanamento dei conti” avviato dal governo Prodi. Secondo quanto riporta la Repubblica, le misure di abolizione dell’ICI e di detassazione degli straordinari non incontreranno il favore degli altri ministri europei dell’economia e delle finanze e della Commissione Europea se non saranno compensati da altri inasprimenti fiscali o tagli alla spesa pubblica. I ragionieri di Bruxelles paventano che, con la crescita capitalistica italiana vicina allo zero, il rapporto deficit / PIL (previsto nel 2008 al 2,3%: sotto il limite del 3% ma superiore al dato del 2007) sia destinato a peggiorare. Il fatto, però, è che proprio la politica restrittiva prescritta da Bruxelles, basata su tagli alla spesa pubblica ed inasprimenti fiscali, provocando una caduta della domanda e dunque del PIL, produrrà un peggioramento del rapporto deficit / PIL. Non è infatti vero che il taglio delle spese pubbliche porta in equilibrio i conti dello Stato, dato che alla prova dei fatti l’economia produttiva soffre e non genera le risorse di cui è capace. Ed è altrettanto vero che “buoni” investimenti finanziati anche a debito incrementano il reddito nazionale. I diktat europei vanno però in direzione opposta. Secondo il quotidiano italiano, l’Eurogruppo (il centro di coordinamento che riunisce i ministri dell’economia e delle finanze degli Stati membri che hanno adottato l’euro, che si riunisce informalmente alla vigilia dell’Ecofin, che a sua volta comprende i ministri dell’economia e delle finanze di tutti gli Stati membri dell’UE), dovrebbe ribadire l’impegno di tutte le capitali europee a portare il rapporto deficit / PIL allo 0% entro il 2010: per l’Italia, alle prese con il caro petrolio e l’aumento della spesa per interessi sui titoli del debito pubblico, si tratterebbe di una ricetta fatale.

 

  • Politica economica. 20 maggio. Anche Tremonti si inchina a Bruxelles. Nel corso di un vertice a Palazzo Chigi con i sindacati, il ministro dell’Economia enuncia le linee di politica economica del governo per la legislatura. Pur rilevando che «nell’economia reale troviamo una crescita intorno allo zero» Tremonti, invece di rilevare le responsabilità dei vincoli europei, dichiara che «in una logica di responsabilità repubblicana, è intenzione del nostro governo rispettare gli impegni assunti in Europa dall’Italia». Anche se l’assenza di crescita rischia appunto di condizionare i saldi di bilancio. Tremonti annuncia che «la politica di bilancio dovrà recuperare risorse per un ammontare che si stima fra i 20 ed i 30 miliardi nel triennio 2009-2011», al fine di azzerare nel 2011 il deficit di bilancio, come richiesto da Bruxelles. Il ministro sottolinea che gli impegni «assunti dall’Italia con l’Europa prenderanno da subito la forma organica di un piano triennale di stabilizzazione della nostra finanza pubblica». Il primo passo sarà, in concomitanza con il Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef), la presentazione di un provvedimento legislativo «così da dare piena, organica e responsabile attuazione ai citati impegni europei». Insomma, dietro le quinte sono sempre i diktat di Bruxelles a determinare obiettivi ed indirizzi di politica economica in questo paese. Lo conferma indirettamente lo stesso ministro quando afferma che «nel tempo presente, i governi non hanno più il potere necessario per modellare la società o per fare parti importanti dell’economia». Nel quadro dei vincoli europei, che di fatto impediscono l’uso della leva fiscale a fini di rilancio dell’economia, poco cambia dunque se oltre a ridurre la spesa pubblica Tremonti, per procurarsi risorse senza troppo destabilizzare i già precari equilibri sociali, deciderà veramente di prelevare qualcosa dai settori bancario e petrolifero.

 

  • Politica interna. 26 maggio. La AS Roma allo speculatore finanziario statunitense George Soros? L’ipotesi di acquisto al centro delle cronache sportive di questi giorni apre riflessioni ad ampio raggio. George Soros è diventato noto anche in Italia per le sue speculazioni finanziarie. Mercoledì 16 settembre 1992 (la famosa notte in cui guadagnò 1 miliardo di dollari) furono le sue speculazioni finanziarie al ribasso a provocare l’uscita della sterlina e della lira dal sistema monetario europeo ed a consentire l’avvio della fase di privatizzazione delle banche ed aziende di Stato a prezzi di saldo. L’attacco speculativo del settembre 1992 portò ad una svalutazione della lira del 30% ed al prosciugamento delle riserve della Banca d’Italia guidata allora da Ciampi, che bruciò 48 miliardi di dollari nel vano tentativo di arginare l'attacco speculativo. Secondo la stampa economica, Soros avrebbe incassato nel giro di pochi giorni, grazie ai crolli del settembre ’92, almeno 28 milioni di dollari contro la lira italiana e ben 84 milioni di dollari contro la sterlina inglese. Nell’ottobre 1995 un esposto presentato dal “Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà” –che promuove le tesi a volte strampalate di Lyndon LaRouche, considerato una sorta di “candidato perenne” alla presidenza degli USA, avendo stabilito il record di tentativi di candidatura consecutivi (ben 8 volte)– documentava le dirette responsabilità di Soros nell’attacco alla lira, stabilendo un collegamento tra questa manovra e l’incontro tenuto a bordo del panfilo reale “Britannia” della regina Elisabetta II d’Inghilterra, avvenuto il 2 giugno 1992, nel corso del quale esponenti del mondo bancario e finanziario anglosassone incontrarono personalità italiane per discutere la privatizzazione delle partecipazioni statali a prezzi stracciati (tra i partecipanti citiamo Mario Draghi, allora direttore generale del ministero del Tesoro, l’allora ministro del Bilancio Beniamino Andreatta e l’attuale leader di Intesa-San Paolo, Giovanni Bazoli). Meglio di Ciampi ed Amato si è comportato il primo ministro malaysiano Mahathir Bin Mohamad che, per eludere gli attacchi speculativi contro la moneta del proprio paese organizzati anche stavolta da Soros & Co., istituì nel settembre ’98 (gli anni della crisi del Sud-Est asiatico, che ridusse alla povertà decine di milioni di famiglie) il controllo dei cambi e dei capitali: misure che i Trattati europei non permettevano allora e non permetterebbero adesso.

 

  • Politica interna. 26 maggio. George Soros non è comunque un semplice speculatore di successo, ma soprattutto un componente di rilievo dell’establishment capitalista USA (pur anche conflittuale al suo interno). Diverse sono le fonti (dall’oligarca russo filo USA Berezovsky al Washington Post) che hanno definito Soros un “agente della CIA”, esponente di quella fazione dell’establishment USA preoccupata che il capitalismo russo possa diventare un’antagonista geopolitico globale di quello USA. Altre fonti rilevano come i giochi finanziari di Soros siano finalizzati in ultima istanza alla raccolta di risorse da destinare all’implementazione di strategie di politica e