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La battaglia delle lingue: ecco perché scelgo l’Italiano

di Giorgio Pagano - 14/06/2008

 

 

 

Theodor Roosvelt, 1918: «abbiamo spazio per un’unica lingua in questo paese e quella è l’inglese, perché vogliamo che il crogiolo faccia della nostra gente degli Americani, di nazionalità americana, e non dei clienti di una pensione poliglotta, e così abbiamo spazio per un’unica realtà, quella verso il popolo americano». Risultato: la distruzione delle lingue dei nativi americani. David Ruthkopf, 1997: «è negli interessi economici e politici degli Stati Uniti assicurarsi che se il mondo si sta muovendo verso una lingua comune, questa deve essere l’inglese; che se il mondo si sta muovendo verso telecomunicazioni, sicurezza, standard di qualità comuni, essi devono essere Americani; che se il mondo sta diventando sempre più unito dalla televisione, dalla radio e dalla musica, la programmazione deve essere quella Americana; e che se si cominciano ad affermare valori comuni, essi devono essere valori con cui gli Americani si trovano a proprio agio».

Il «braccio armato» dell’inglese nel mondo, il British Council, nell’anno 2005-06 è stato finanziato dal governo britannico con 275 milioni di euro per promuovere l’inglese (povera lingua! Era così bistrattata che un grande sforzo economico gli anglofoni dovevano pur farlo!) e, ora, non si sa nemmeno a quanto ammonteranno i finanziamenti del governo britannico e dei privati per condurre la più grande Guerra delle Lingue della modernità da parte di una democrazia contro un’altra democrazia, annunciata da Gordon Brown il 17 gennaio 2008: creare in India 750.000 docenti di lingua inglese.

Risultato: la progressiva perdita di funzionalità delle lingue dei popoli non anglofoni, anticamera della loro scomparsa. In prospettiva, la più grande opera di genocidio linguistico-culturale mondiale dopo quella compiuta dall’antica Roma attraverso il latino; nel nostro continente la distruzione delle lingue dei nativi europei.

Il «divertente» è che i nostri politici, intellettuali, presidi e rettori vanno al massacro dei propri popoli con gioia, favorendolo: assumono sempre più docenti madrelingua inglese per insegnare le materie più disparate e per le quali non ci sarebbe alcun bisogno di conoscere l’inglese. A Pavia un convegno di filosofia fino allo scorso anno fatto in inglese e italiano, quest’anno sarà solo in inglese.

Domanda: ma gli insegnanti madrelingua italiani dove potranno lavorare in Italia?

I miei «baroni» universitari si chiamavano Argan o Zevi, quelli di oggi Tizio o Caio, e il nulla della loro personalità, la loro incoscienza d’appartenere ad una nazione che ha il 70% dei beni culturali del mondo ne fa degli individui che pensano di raggiungere grandezza parlando la lingua della più grande potenza del mondo, che definire in inglese, una cosa, un pensiero o altro, rende quella cosa, quel pensiero... più autorevoli e importanti. Non sono patetici?

Se i politici di un paese che si chiama Italia e ha come lingua ufficiale l’italiano usa sempre più termini in inglese, significa che non mette in grado gli elettori di capire, di farsi un’idea di quello dicono e, conseguentemente, di conoscere le leggi che vengono emanate e di rispettarle.

Ormai siamo arrivati al punto che nella Gazzetta Ufficiale italiana vengono pubblicate leggi direttamente in inglese: nella Gu del 4.2.2008 è pubblicata la Legge n. 12 del 7.1.2008 recante «Ratifica ed esecuzione del Protocollo sui privilegi e le immunità dell’Organizzazione europea perla ricerca nucleare (Cern)»; il testo, di 17 pagine, è pubblicato solo in lingua inglese, nondimeno l’art. 3, comma 2 della legge stabilisce che «La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare come legge dello Stato».

Credo si capisca bene, a questo punto, l’impegno radicale per l’utilizzo della lingua italiana in Italia. Esso è a pieno titolo parte dell’ultradecennale battaglia contro il regime e la partitocrazia, per il diritto ad essere informati per poter decidere, del conosce per deliberare. Non ha niente a che vedere con Starace o Mussolini. Qui non parliamo di autarchia, non usiamo il primato italiano per partire alla conquista di altri popoli. Qui stiamo cercando d’impedire che scompaia dalla faccia della terra il popolo italiano vittima di un regime che lo sta svendendo come colonia angloamericana. Preoccuparsi, come ha fatto Arcangeli da queste colonne, di difendere l’italiano avendo timore del rigetto studentesco per la lingua inglese credo sia come preoccuparsi del proprio carnefice linguistico mentre con le mani al collo ti sta facendo esalare l’ultimo grido nella tua lingua.