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Kosovo: una partita con le carte truccate

di Stefano Vernole - 14/06/2008




Dopo aver resistito per alcuni mesi alle pressioni provenienti da Bruxelles e
Washington, infuriate per il mancato dispiegamento della missione Eulex in Kosovo a
causa del veto russo presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il
Segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon sembra ora aver ceduto il passo.
L’annunciata “riconfigurazione” di Unmik, che delinea il progressivo
depotenziamento del ruolo delle Nazioni Unite e il suo passaggio di competenze
all’Unione Europea, ha aperto così la strada all’ennesima violazione della
Risoluzione 1244 dell’ONU, scatenando le ire del Ministro serbo per il Kosovo e
Metohija, Slobodan Samardzic.
La decisione assunta da Ban dovrebbe infatti salvaguardare sia l’indipendenza
operativa di Eulex rispetto alle strutture dell’ONU sia negare la scissione
amministrativa del Kosovo a maggioranza serba nel nord, secessione che è già stata
attuata sul terreno.
La Russia, per bocca del Ministro degli Esteri Sergei Lavorv, ha nuovamente tuonato
contro la “linea occidentale” sul Kosovo, rilanciando l’appello alla ripresa dei
colloqui tra Belgrado e Pristina, anche perché la dichiarazione d’indipendenza del
17 febbraio scorso non ha portato la provincia serba alla stabilità.
L’obiettivo europeo-statunitense consiste però nel discutere la
“riconfigurazione” di Unmik in Consiglio di Sicurezza la prossima settimana,
studiando il modo di evitare un voto o una nuova risoluzione e aggirando così il potere
di veto a disposizione di Mosca e Pechino.
La strategia messa in cantiere dai paesi occidentali sarebbe quella di
intensificare le pressioni sui vari paesi delle Nazioni Unite che finora non hanno
riconosciuto l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia (ad oggi solo 42 Stati su 192
l’hanno fatto), in virtù del processo di accelerazione che l’adozione della nuova
Costituzione del 15 giugno dovrebbe mettere in moto.
Se ad ottobre almeno i 2/3 degli Stati rappresentati all’ONU dovessero riconoscere
l’autoproclamazione del Kosovo, non solo Pristina potrebbe ambire ad ottenere un
seggio all’interno dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ma i 1.900 uomini
che compongono la Missione Eulex potrebbero essere dispiegati senza più tante
preoccupazioni di carattere diplomatico.
Aldilà delle battaglie giuridiche e mediatiche che Belgrado e Mosca stanno
conducendo nell’arena internazionale (in particolare la dichiarazione congiunta
russo-cinese-indiana del 15 maggio scorso che confermava l’impossibilità di
riconoscere l’indipendenza del Kosovo e chiedeva la continuazione dei negoziati
per una soluzione condivisa tra le parti), il vero problema che si pone di fronte agli
obiettivi occidentali è quello rappresentato dalla presenza nel nord del Kosovo e
Metohija di una forte e agguerrita minoranza serba, estremamente decisa a mantenere
la sua sovranità e i suoi legami organici con la madrepatria.
A questo proposito, va ricordato che i Serbi del nord del Kosovo, in pieno accordo con
il governo di Belgrado, hanno eletto alle elezioni politiche ed amministrative
dello scorso 11 maggio i propri rappresentanti ed annunciato che,
contemporaneamente all’adozione della costituzione kosovara del 15 giugno, verrà
creata un’assemblea indipendente per sancire il boicottaggio del nuovo Stato
guidato da Thaci e “supervisionato” dalla NATO.
Il progetto, elaborato probabilmente dallo stesso Ministro Samardzic, stretto
alleato dell’ex premier Vojislav Kostunica, vorrebbe indurre le Nazioni Unite a
concedere una larga autonomia alle istituzioni serbe nel nord del Kosovo per quanto
riguarda il controllo della polizia, delle dogane, della giustizia, dei trasporti,
delle telecomunicazioni e del confine con la Serbia, inclusa la protezione delle
chiese e dei luoghi sacri per i cristiano-ortodossi.
Temendo l’apertura di una separazione di fatto dal resto del paese, il capo
dell’Unmik, Joachim Ruecker, ha deciso di estendere il mandato dei sindaci uscenti
nei comuni serbo-kosovari che avevano eletto i loro nuovi rappresentanti l’11
maggio, togliendo legittimità alla validità delle consultazioni tenutesi nel nord
del Kosovo.
Questo ennesimo sopruso, volto ad ignorare come la Risoluzione 1244 ancora
attualmente in vigore attribuisca la sovranità sulla provincia alla Serbia, ha
scatenato le ire della Russia, che attraverso il portavoce del Ministero degli
Esteri, Andrei Nesterenko, ha chiesto le dimissioni di Ruecker, criticando “lo
sfacciato arbitrio, a cui bisogna decisamente porre fine”.
Almeno su questo punto, le manovre di Mosca sembra aver avuto buon esito e hanno
convinto Ban Ki Moon a “licenziare” Ruecker dal suo incarico di capo missione.
Su questa scelta del Segretario generale dell’ONU pesano comunque anche altri
fattori, ovviamente non rivelabili al grande pubblico e in particolare lo scontro di
poteri relativo alla gestione del cd. “Fondo di difesa a favore di Ramush Haradinaj”,
l’ex comandante dell’UCK recentemente assolto dal Tribunale dell’Aja nonostante
le pesantissime accuse che gravavano sul suo conto (il governo di Belgrado aveva
predisposto contro di lui 108 capi d’accusa e la stessa Carla Del Ponte lo indicava
quale esecutore materiale di almeno 40 omicidi contro i civili serbi, nel solo 1998).
Haradinaj è infatti considerato insieme all’attuale capo del governo di Pristina,
Hashim Thaci, uno degli “intoccabili”, in quanto è a capo di uno dei più importanti
clan mafiosi kosovari.
Egli è recentemente tornato alla ribalta, grazie all’impunità concessagli dal
Tribunale dell’Aja, accusando lo stesso Thaci di utilizzare lo Shik, ossia il
“Servizio d’informazioni del Kosovo” (una sorta di servizio segreto
albanese-kosovaro, formato da ex membri dell’UCK e in passato specializzato nella
caccia ai Serbi) a beneficio del suo partito politico.
Proprio pochi giorni fa, la stessa abitazione di Thaci è stata attaccata con armi da
fuoco, un episodio che la polizia ha liquidato come un gesto improvvisato di due
giovani ladruncoli, mentre vicino a Skopje è stato arrestato, in quanto
protagonista degli incidenti scoppiati durante le elezioni macedoni, Agim
Krasniqi, ex comandante dell’UCK ed ex socio del premier kosovaro.
Tra gli stretti collaboratori di Ramush Haradinaj, accusati di utilizzare il suo
cospicuo fondo di difesa (almeno dieci milioni di euro) per riciclare denaro sporco,
l’Unmik ha posto agli arresti Jahja Lluka, al momento uno dei consiglieri di Agim
Ceku, che ricordiamo ex capo del governo di Pristina, ex comandante dell’UCK ed ex
comandante dell’esercito croato durante l’epurazione dei Serbi dalle Krajine.
Insieme a Lluka è stato messo in galera il direttore della banca “Kasabanka”, Milazi
Abasi, su cui sarebbero stati effettuati i versamenti di denaro, tutti inferiori ai
diecimila euro, limite al di sopra del quale chi deposita è obbligato a specificare
l’origine del denaro utilizzato nella transazione.
Casualmente, pochi giorni dopo l’arresto di Abasi, la maggiore banca slovena, “Nova
Ljubljanska Banka” (NLB), ha acquistato il 50,14% della “Kasabanka”, entrando
perciò direttamente nel mercato bancario del Kosovo.
La retata ha però risparmiato gli “uomini ombra” dell’affare “Fo
ndo di difesa Haradinaj”, che potrebbero individuarsi negli stessi personaggi sui
quali, alcuni mesi fa, si erano concentrate le attenzioni dell’ex funzionario
Unmik, James Wasserstrom, poi costretto ad abbandonare il Kosovo con l’accusa di
conflitto d’interessi.
Il dirigente americano, che aveva l’incarico di supervisionare il processo di
privatizzazione delle pubbliche imprese, avrebbe siglato un contratto di 160.000
euro (fonti albanesi parlano di 220.000 o 460.000 euro) come “special advisor”
nell’appalto riguardante l’aeroporto internazionale di Pristina (PTK).
Pur avendo l’Unmik confermato le indagini e pur essendo stato bloccato per un
controllo di polizia al posto di frontiera di General Jankovic, il valico che separa
il Kosovo dalla Macedonia, James Wassertrom non è stato arrestato ma semplicemente
invitato a togliere il disturbo.
I pochi mezzi d’informazione che hanno seguito la vicenda si sono concentrati sullo
scontro che egli avrebbe avuto con tre pezzi da novanta dell’amministrazione
internazionale in Kosovo, cioè l’ex generale statunitense e vice di Unmik, Steven
Schook, il capo dell’Ufficio Legale dell’Unmik a Pristina, Alexander Borg Olivier e
non ultimo, il Rappresentante Speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite
(SRSG), Joachim Rucker.
Motivo del contendere, le diverse interpretazioni sui criteri di privatizzazione
delle imprese kosovare, che Wasserstrom avrebbe denunciato sotto il controllo dei
partiti politici kosovari e in particolare di quello del premier Thaci.
Su “depistaggio” di alcune ONG legate a George Soros, si era accreditata anche la
pista relativa al mega appalto per la costruzione della centrale elettrica “C”, un
affare che vede in pole position una multinazionale ceka-statunitense, insidiata
da altri tre gruppi economico-finanziari europeo-americani, tutti interessati a
ricevere i fondi assegnati per il bando ma non realmente intenzionati ad investire in
un progetto che potrebbe trasformare il Kosovo in un grande esportatore di energia.
Il nodo della questione riguarderebbe, invece, le indagini che Wasserstrom stava
effettuando sui “suggerimenti” elargiti da Rucker, Borg Olivier e Schook a Lluka, al
fine di ottenere vantaggi fiscali nella costituzione del “Fondo di difesa
Haradinaj” (per quali tornaconti è facilmente immaginabile).
Non è quindi un caso che Steven Schook sia partito in tutta fretta su un aereo privato da
Pristina nel dicembre 2007, appena giunta la notizia dell’apertura di un’inchiesta
per il suo comportamento non professionale nel su-indicato progetto “Kosovo C”.
Il vero motivo per cui Ban Ki Moon in persona lo avrebbe richiamato riguarda piuttosto
la propensione di Schook ad “attingere” ai conti correnti del “Fondo difesa
Haradinaj”, operazione alla quale aveva preso attivamente parte.
Che anche Rucker, ora, sia stato rimosso, indica evidentemente l’intenzione di
nascondere il vespaio di conflitti d’interesse che legano a doppio filo i clan
mafiosi albanesi e i principali responsabili dell’amministrazione
internazionale del Kosovo.
I casi di Bernard Kouchner e Marti Athisaari insegnano.
Ma quello della corruzione non rappresenta, in questo delicato momento di
passaggio, il principale problema nella provincia serba.
Profondamente indignati per il parziale successo che la Russia aveva ottenuto nella
sua battaglia diplomatica di difesa del diritto internazionale sulla questione
kosovara, gli Stati Uniti e i loro alleati britannici sono passati al contrattacco.
Non bisogna dimenticare che le cupole atlantiste stanno spingendo, in maniera
sempre più vigorosa, per la realizzazione del tanto a lungo annunciato “Nuovo Ordine
Mondiale”, rallentato in questi ultimi anni proprio dalla resistenza messa in campo
dalle principali potenze eurasiatiche, favorevoli invece ad un sistema
multipolare di relazioni internazionali.
Dalla dichiarazione di 5 ex generali della NATO per una nuova architettura
internazionale guidata da Stati Uniti ed Unione Europea ma volta a “superare” le
Nazioni Unite, si è passati alla recente proposta dell’ “alleanza delle
democrazie”, accettata da entrambi i candidati presidenziali USA Obama e Mac Cain,
significativamente indicata come l’unica soluzione per superare il veto
russo-cinese nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e poter “intervenire” in teatri
come il Darfur, il Myanmar e l’Iran.
Il caso del Kosovo assurge quindi a simbolo di queste intenzioni e proprio per tale
motivo gli apparati strategici di Washington si sono messi all’opera al fine di
aggirare tutti gli ostacoli al dispiegamento della Missione europea Eulex, i cui
uomini incaricati – è bene ribadirlo – sono di assoluto gradimento statunitense
(quando non nominati direttamente dal Dipartimento di Stato USA).
Ciò chiarisce perché il 10 giugno 2008, europei e nordamericani abbiano annunciato
di voler cooperare insieme per garantire “una transizione morbida” dei poteri tra la
missione di Unmik e quella di Eulex, che saranno probabilmente destinate a convivere
per alcuni mesi.
Quanto “morbida” si preveda, al contrario, debba essere questa transizione, lo ha
ben sottolineato il portavoce della Missione ONU in Kosovo, Alexander Ivanko, che ha
parlato di “cambiamenti drammatici dopo il 15 giugno … Capiamo che il nord
rappresenta un problema e ci è chiaro che questo problema non sarà risolto né domani né
dopodomani. Sarà necessario del tempo e speriamo che le istituzioni kosovare e gli
altri attori internazionali siano molto cauti nel risolvere questo problema”.
Secondo Ivanko, la priorità dell’Unmik è quella di riprendere il controllo doganale
dei posti di frontiera settentrionali di Brnjak e Jarinje, perché l’alternativa
sarebbe quella di chiuderli.
Sulla “prudenza” che gli “altri attori internazionali” dovrebbero mantenere in
questa fase considerata a rischio, è evidente il riferimento di Ivanko alle forze
dell’Alleanza Atlantica.
Questa settimana la NATO ha alzato il livello di guardia nella provincia, parlando di
“allarme rosso” e ha messo a punto il piano operativo (Oplan) delle truppe Kfor, che
include il compito di addestrare il nuovo esercito kosovaro previsto dal piano
Athisaari.
In base all’intesa raggiunta, i portavoce dell’Alleanza hanno dovuto ammettere che
Spagna, Slovacchia e Romania, nazioni che non riconoscono l’indipendenza di
Pristina da Belgrado, non parteciperanno all’assunzione dei nuovi compiti (Madrid
avrebbe minacciato, in caso contrario, il ritiro dei suoi 640 soldati dal Kosovo).
Un’altra grana è costituita dall’atteggiamento della Turchia, che non vuole
approvare alcun passo in avanti rispetto ai meccanismi di cooperazione limitata
previsti dall’accordo “Berlino Plus” del 2002, perché non intende fornire il via
libera a Cipro all’interno dell’Unione Europea (a sua volta Cipro blocca l’ingresso
di Ankara nell’Agenzia di Difesa europea).
Per questo motivo era rimasta in sospeso la revisione del piano operativo,
necessaria anche per regolare il coordinamento tra Kfor e la nuova missione di
polizia e giustizia europea, Eulex.
Quello che più inquieta è che gli apparati di sicurezza dei vari paesi sono in queste
ore estremamente tesi, in quanto per risolvere “definitivamente” il problema della
secessione nel nord del Kosovo, sarebbe stato approntato un ulteriore piano
operativo e ufficialmente segreto, in base al quale le SAS, le squadre speciali
dell’esercito inglese con licenza di uccidere (la guerra contro l’IRA insegna),
sarebbero a breve inviate nella zona di Kosovska Mitrovica, allo scopo di eliminare i
capi serbi ribelli.
L’Italia, ovviamente, darebbe il suo contributo “passivo” all’operazione, stante
l’annuncio del neo Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, per cui è stato messo a
disposizione un battaglione di riserva “pronto a dispiegarsi in Kosovo entro 4
giorni in caso di tensioni legate al passaggio di poteri”.
Il 15 giugno, adozione della nuova Costituzione del Kosovo e il 28 giugno,
anniversario della battaglia nel Campo dei Merli, quando migliaia di Serbi
proveranno a calare su Gazimestan, sono i due giorni in cui l’adrenalina dovrebbe
salire alle stelle.
Si tratta di una partita giocata con carte truccate, è importante, allora, che siano
almeno carte scoperte.