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Filosofia della Polis

di Marco Recchi - 28/01/2006

Fonte: Rinascita



Posta l’impossibilità di comprendere una dottrina, senza porla nell’ambiente socio-culturale in cui si è formata, il Professor Gian Franco Lami rivendica al sapere un fine non solo e non tanto speculativo, ristretto in ambiti teorici, ma pratico, nel quotidiano perfezionamento di se stessi e degli altri. Se è utopistica la conoscenza assoluta, totale, si tratta non di trovare la “verità”, ma di cercarla, con un metodo che consenta la parallela crescita etica e morale.
Ciò emerge già in Socrate, Platone e Aristotele, con la filosofia che affianca la mitologia, indicando norme di convivenza sociale. Essa ha un’originaria vocazione politica, negata poi dal cristianesimo e ripresa, pur in forme varie, nelle moderne analisi di Schopenhauer, Heidegger, Voegelin. Nell’Atene del V secolo a.C., le prime riforme democratiche alterano i consueti assetti monarchici, mettendo in crisi la tradizione, in cui l’individuo si percepiva anzitutto come cittadino. Fino ad allora il legame sociale, nasceva dal richiamo ai “padri fondatori” della città, la quale era così un universo a sé, sul piano civile e religioso. In ognuna di esse, le leggi politiche e i rituali del culto formavano un unico sistema di valori, per unire la felicità individuale e quella collettiva. Ma le guerre civili legate all’emergere di nuove forme di governo, incrinano tale “autarchia”. Occorre allora un sapere più universale, che soddisfi l’esigenza, eterna, di un valore comune, un fine, che unisca la società.
Per conoscere l’essenza di tutte le cose, Socrate si volge alle coscienze: nel dialogo, ricompatta la pluralità delle opinioni, in armonia con la natura. Ma è Platone che affronta la vastità della crisi contemporanea. Sostituiti i “concetti” alle tradizioni per legittimare le norme sociali, dà alla storia una spiegazione unitaria, aperta a tutte le culture del mondo greco. La visione platonica non ha contenuti “trascendenti”, che dividono il sapere dalle azioni, né “totalitari”, che rinunciano al momento persuasivo, al consenso. L’adesione alla idea è invece un metodo. Come la “rivelazione”, chiede a tutti l’impegno totale, ma a ognuno secondo la sua spontaneità. E’una cittadinanza basata sulla partecipazione emotiva, “ero(t)ica>”, ove i “migliori” emergono sempre per forza, e mai con la forza: sono quelli “costretti” a fare del bene ai “peggiori”, non quelli che costringono i “peggiori” a fare il bene. Compiendo atti “giusti”, il filosofo dà esempi di “giustizia”, e nel perfezionarsi, favorisce il perfezionamento altrui. Il legame sta in una crescita morale analoga, rispettosa delle differenze naturali tra gli uomini. Ma tale senso del dovere, si perde nel pensiero di Aristotele, dove la dimostrazione, unilaterale, prevale sul dialogo, bilaterale: alla norma interiore subentra quella razionale, e al moto unificante, i legami “fatali” tra soggetti divisi. La ragione, non la coscienza, indica il modello di comportamento, ora molteplice, per adattarsi alle situazioni reali. Tale mira di completezza e verificabilità, nega il pathos della “religione civile” socratico-platonica, ma si tratta, al contempo, di differenze secondarie, rispetto al comune fine educativo e pedagogico. La teoria cerca la miglior forma di convivenza, che porti i cittadini a un processo d’identificazione, sia poi il comunismo platonico o l’aristotelica difesa della proprietà privata. L’originario passaggio dai miti alla filosofia, giunge forse a eccessi di “scientificità”, nel “dimostrare” già esistente quella identificazione che dovrebbe invece produrre, ma mira sempre a una felicità terrena, e sociale. Del resto, prima dell’avvento del cristianesimo, l’anima immortale non è attribuita all’individuo, ma alla città, che provvede a onorare la memoria dei propri membri, secondo il contributo da essi offerto al bene comune. Tale stretta unità tra la parte e il tutto, coinvolge la stessa nozione di “verità”, intesa come dis-velamento, come progressiva eliminazione dei “veli” conoscitivi, che sottende l’incompletezza dell’esistenza solo “privata”, e il suo necessario complemento nella dimensione pubblica. Se la natura dell’uomo è di essere “animale politico”, inseparabile dalla vita associata, è nella dimensione della cittadinanza che egli trova la sua perfezione, quale identità tra pensiero e azione. Mentre la nostra odierna globalizzazione supera i tradizionali confini nazionali, e i fondamentalismi religiosi invitano a discutere le “radici cristiane” dell’Europa, emerge l’attualità di un’analisi, come quella di Lami e della Scuole Romana di Filosofia Politica, tesa alle radici profonde del pensiero occidentale. Richiamare la riflessione socratico-platonico-aristotelico, appare allora come una sfida, un invito a rinnovare la fiducia nella qualità conoscitiva e creativa dell’uomo occidentale, nei valori simbolici della sua tradizione e nel valore filologico e “veritevole” dei dei suoi interpreti.
Casa Editrice Rubbettino
2005. pagine 247 - Costo 18 €