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L´invasione dei tele-politici

di Michele Serra - 30/01/2006

Fonte: La Repubblica

   
CON POCHE (e preziose) diserzioni, la presenza dei politici italiani in televisione sta diventando più che eccessiva, e decisamente parossistica: un esercito di occupazione, né più né meno. Dalle fasce serali, già presidiate da tempo, i leader e i loro luogotenenti sono partiti alla conquista dell´intero arco orario, come una popolazione in sovrannumero costretta a colonizzare nuove terre. Si vedono onorevoli antelucani, già inceronati e incravattati quando noi ancora dobbiamo lavarci i denti, e il video è il primo incerto lume della casa.

Onorevoli mattutini che discettano di sistemi elettorali di fronte a una sparuta audience di casalinghe e vecchi, in tristi trasmissioni dove accanto alle poltrone degli ospiti si soffrigge e si mondano le verdure. Onorevoli post-prandiali che rilanciano il welfare mentre il pubblico risciacqua distrattamente i piatti, e onorevoli del meriggio che inframmezzano, con numeri di oratoria varia, i servizi sul nuovo fidanzato di Romina Power. E naturalmente onorevoli notturni, per terze e quarte serate, malamente stipati, come rimasugli di giornata, tra le orde satellitari del porno e delle fattucchiere del lotto: e lo zapping di quelle ore è un mirabolante collage di culi e facce, gemiti e dichiarazioni programmatiche.

Se la prima, logica reazione è di sbigottito fastidio, composta dal rosario di "ancora lui!" e "non se ne può più" che echeggia in milioni di case, la seconda è di logica preoccupazione. Specie chi, della politica e dei politici, ha una concezione rispettosa, e li considera dunque, se non un bene pubblico, almeno un male necessario, comincia a domandarsi se questa ossessione televisiva della nostra classe dirigente non abbia un segno mutageno, e pernicioso: se i politici sono diventati, di fatto, personaggi televisivi, front-men delle post-ideologie, uomini-sandwich che sfilano ininterrottamente lungo i boulevard e i vicoli del palinsesto, chi si occupa, nel frattempo, della politica?

Chi rimane a bottega, a rifare i conti, a stilare programmi, a leggere documenti e a rispondere al telefono, se gli stati maggiori al completo sono in uno studio televisivo? Chi governa, se è al governo, e chi studia le contromosse, se è all´opposizione? Si sappia questo: che partecipare a un programma televisivo significa mettersi in viaggio, spendere almeno due orette tra sala trucco e convenevoli con il conduttore e gli autori, andare in onda, salutare cordialmente durante lo strucco, rimettersi in viaggio per tornare a casa, oppure per raggiungere un ulteriore studio televisivo. È un lavoro di mezza giornata almeno, spesso una giornata intera. Ed è un altro lavoro, almeno rispetto a quell´idea della politica che ancora la rende interessante e utile. Quel cimento intellettuale che comporta studio (leggere almeno qualche libro) informazione (partecipare a convegni, spulciare documentazione, confrontarsi con i collaboratori), quella capacità di individuare o almeno indovinare argomenti, proposte, parole d´ordine che introducano qualche novità in un dibattito che altrimenti è solo una rissa stantia, la replica ininterrotta di vecchi litigi, rancori inaciditi, rivalità bacucche che sono, per il pubblico, uno spettacolo ormai muffito.

Perché questo, poi, è il punto: per rinnovare il repertorio – e questo lo sa bene ogni artista – sono le assenze che contano. È il ritirarsi, almeno a tratti, per riflettere e aggiornarsi, è conoscere persone, ascoltare consigli. È viaggiare e documentarsi, uscire dal tinello soffocante del quotidiano, e quando si ritorna sulla scena, farlo sapendo di avere qualcosa di nuovo da raccontare.

I leader politici, non troppi anni fa, erano tutti o quasi degli intellettuali. Avevano l´autorevolezza, magari anche solo simulata, di chi consacra il proprio tempo all´elaborazione delle idee. Quando apparivano in televisione i Berlinguer, gli Almirante, i Moro, i Malagodi, si percepiva la solennità di parole che scaturivano dall´autorevole silenzio del potere, non il presente, petulante cicaleccio così ordinario, così comune, che circola dai cachinni del Bagaglino alle due chiacchiere di Unomattina, dall´appiccicoso incontro, a pacche sulle spalle, tra satirici e satirizzati, allo sbraitare astioso di dibattiti inudibili (spaventoso quello dell´altra sera dalla La Rosa sull´eutanasia), nei quali nessuno ascolta nessuno e tutti interrompono tutti, come guitti in disgrazia ansiosi di rubarsi la scena anche se hanno dimenticato la parte.

Orrendo. E la cosa più incredibile è che questa sovraesposizione masochista, questo moltiplicarsi delle stesse facce che le rende tutte uggiose come i doppioni delle figurine, sarebbe poi il frutto di una presunta "cultura dell´immagine", con tanto di esperti in libro paga. Pochissimi dei quali, evidentemente, hanno il coraggio o la destrezza di afferrare per la manica il leader di loro competenza, e dirgli "onorevole, dia retta: non ci vada. Si faccia desiderare. Meglio ancora: si faccia rispettare, perché a furia di confondersi con la folla, va a finire che nessuno la prende più sul serio".

Al contrario, e lo dico per conoscenza diretta, c´è una frotta di portaborse e consiglieri zelanti che bussa alla porta di ogni studio televisivo, spesso maleducatamente, recando l´auto-invito dei loro capi. Dove non arriva l´intelligenza, basterebbe la cortesia per capire che a casa d´altri non ci si invita, si aspetta di essere invitati. Ed essendo la televisione, per definizione, la casa di tutti, la regola dovrebbe valere anche di più, perché il disturbo e l´intrusione sono direttamente proporzionali al numero degli italiani che vengono disturbati.