Le vacanze dei ragazzi, e dei giovani in generale, non sono mai state una passeggiata. La loro naturale e sacrosanta propensione per il piacere e l’avventura già tende a metterli in situazioni difficili. La preferenza giovanile per la notte poi (la dea che per i greci era madre di Thanatos, la morte) non fa che aumentarne i rischi. Ora però (la sorte di Federica è solo l’ultimo esempio), la situazione si fa più drammatica. E, alla vigilia della partenza dei figli, i genitori tremano. Il timore è realistico, e opportuno.
Solo gli stupidi non hanno paure: il «timor dei», di ciò che il destino ti può riservare, ha sempre fatto parte della saggezza. Non deve però trasformarsi nella generica e nevrotica «ansia», che ti toglie il respiro senza aiutarti a vedere meglio la situazione, ed è ben nota alla psicologia contemporanea.
Per coltivare un saggio timore, e non diventare ansiosi, può forse essere utile cercare di capire meglio (senza diventare preda di uno sgomento generico), perché le vacanze dei giovani d’oggi, siano le ferie di Federica, o il viaggio d’istruzione di Meredith, o i tanti viaggi oltreoceano di giovani curiosi e ritornati senza vita, abbiano troppo spesso un esito tragico.
Un tratto comune di questi episodi è un’ingenuità: le giovani vittime delle vacanze contemporanee si affidano a qualcuno (a volte a più persone), che poi approfitta di loro, e li uccide. Questo spesso deriva dal fatto che non hanno paura. Si tratta di una caratteristica giovanile bella, e di sempre: la fiducia negli altri, l’aspettativa dell’amore (nel quale sono spesso cresciuti, oggi assai di più di una volta), la non conoscenza del calcolo, della violenza, e di quella forma di perversione profonda che può spingersi fino a togliere la vita di un’altra persona.
Fino a poco tempo fa il mondo degli adulti conosceva perfettamente questo strabismo affettivo dei giovani, che preferiscono vedere il bene anziché il male, e li metteva in guardia. Poi, con la pedagogia di massa, si è affermato il mito della socializzazione innanzitutto. I bambini, e poi i giovani, dovevano soprattutto socializzare. Anche nella valutazione del profitto scolastico, la capacità di aprirsi agli altri è diventata sempre più importante. Contemporaneamente, tutte le informazioni che rendevano la socializzazione meno automatica, più complessa, sono divenute impopolari.
Nell’educazione, la presentazione dell’aspetto problematico dell’altro, la sua possibile aggressività, il suo lato a volte interessato o psicologicamente disturbato, venivano omesse in quanto produttrici di resistenze alla socializzazione. Inutile dire che questa è anche la via più comoda, in quanto nessun giovane desidera sapere che un amico può tradirlo (e anche se informato, non sempre lo crede).
Agli effetti del mito della socializzazione facile e indolore, si sono poi accompagnati gli interessi del turismo. Evidenti, ad esempio, nelle proteste spagnole al fatto che le cronache italiane raccontino in modo veritiero, e senza edulcorazioni, la vicenda di Federica. Gli affari sono affari, e il mito dei luoghi di vacanza come sede di bontà e amore universale non deve essere messo in discussione. Il giovane viandante finisce così con il non aver più la consapevolezza, ben nota al viaggiatore di una volta, di essere oggetto anche di attenzioni interessate, che possono dar luogo a improvvisi pericoli.
Nulla deve turbare la sua serenità, secondo le migliori regole della società dello spettacolo. Che però non sempre è a lieto fine. Spieghiamolo con calma ai nostri ragazzi, senza timore di essere noiosi.