il poeta del selvatico: Gary Snyder
di Luigi Lazzarini - 30/01/2006
Fonte: boscaglia.it
La Boscaglia incontra Gary Snyder
Gary Snyder è in Italia. La notizia, rimbalzata tra conoscenti selvatici, mi arriva a fine agosto. Sono incantato dal tempismo perfetto con cui le circostanze si sono concatenate tra loro.
Gary Snider è stato, nella sua giovinezza, a metà degli anni ’50, un importante esponente della Beat Generation, movimento letterario/visionario fortemente contrario all’omogeneizzazione delle menti, e quindi della vita, nato a S.Francisco. Poeta, monaco buddista, ispiratore dell’ecologia profonda e del bio-regionalismo, la sua figura ed il suo pensiero, abitavano ed influenzavano da mesi la mia esistenza. Dalla scoperta del suo libro “Ri-abitare nel grande flusso” alle suggestioni di “Nel mondo selvaggio”. Appena pochi giorni fa, durante il Velino Parikarama avevo lasciato il suo libro in una spirale di pietre, cosicchè i viandanti alle mie spalle, scesi dal Colle del Bicchero, potessero fermarsi a leggere qualcosa e a riflettere, qualcosa come:
“I nostri poteri più profondi possono non solo cambiare noi stessi, ma anche la cultura. Se l’uomo vuole sopravvivere sulla terra, egli dovrà saper trasformare la tradizione di civilità urbana, lunga cinque millenni, in una nuova cultura di sensibilità ecologica spirituale-scientifica, tendente all’armonia, intimamente selvatica. La selvaticità è lo stato di completa consapevolezza. Ecco perché ne abbiamo bisogno”.
Proprio questa visione del selvatico ci aveva ispirato la Settimana Selvatica, al campo monti di Boscaglia insieme a Tra Terra e Cielo, dove avevamo tentato di scalfire quella pellicola di urbanità che ci ostacola a percepire “il grande flusso”.
Giuseppe Moretti, coordinatore della Rete Bioregionale, che ha organizzato la visita e accompagnato Gary Snyder in Italia, sintetizza così il suo percorso poetico, letterario e politico.
“Una nuova-antica visione sul significato del nostro essere qui su questa terra, e cioè che, come esseri umani, siamo parte interdipendente di un più ampio, complesso e organico reame di esseri e di avvenimenti. Una visione aperta “ai valori più arcaici” dell’Occidente, - “risalgono al tardo Paleolitico: la fertilità della terra, la magia degli animali, la visione di potere della solitudine, l’iniziazione terrificante e la rinascita; l’amore e l’estasi della danza, il lavoro comune della tribù” – istruita dalla spiritualità dell’Oriente – la saggezza, la compassione e il rispetto per tutte le forme di vita del messaggio Buddhista – e illuminata dal “sogno” stesso della Terra. Una visione, questa, anche altamente politica, perché rimette in gioco scelte e costrutti culturali, ed esistenziale, perché non può che iniziare in prima persona.”
Dalla lettura degli stralunati vagabondaggi di Japhy nel libro “I Vagabondi del Dharma” di Jack Kerouac, che è in realtà uno spettacolare Gary Snyder ventenne sotto mentite spoglie, da altri suoi scritti e dalle tradizioni buddiste di pellegrinaggi al Monte Kailash, avevamo tratto l’idea del Velino Parikarama. Un evento spontaneo, promosso dalla Boscaglia, dove un piccolo manipolo di camminatori, in solitaria, ha realizzato la circumdeambulazione del Velino, maestosa montagna abruzzese, ritrovandosi poi alla sera a raccontarsi questa esperienza intorno al fuoco di un bivacco. Lo spirito scelto era meditativo, d’immersione nella natura, con piccoli chorten di pietre che segnavano il cammino e davano la possibilità di fermarsi un attimo leggendo un koan zen, una poesia di Walt Whitman, un haiku, un pensiero spirituale cristiano.
Il primo incontro, dove Gary Snider avrebbe letto le sue poesie, a cui ho potuto partecipare era organizzato dalla Rete Bioregionale Italiana a Pratale, in una piccola e nascosta valle dell’Umbria, tra Perugia e Gubbio. Quando arrivo tira un forte vento e sono tutti già raccolti sotto il grande gelso, intorno al quale è costruita la casa di Etain e Martino. Ci saranno 40, 50 persone, ci sono molti giovani, ma anche lunghe barbe grigie; si passano il bastone di nocciolo e ciascuno racconta la sua storia, chi tributa un omaggio a Gary Snyder, chi narra il suo personale tentativo di ri-abitare il luogo dove vive, semplicemente, coltivando la terra, allevando gli animali.
La sera finamente posso ascoltare Gary Snyder leggere le sue poesie, con quel suo ritmo cadenzato, come fossero dei mantra, inframezzate dall’arpa e dal flauto. Lascierò Pratale il giorno dopo dopo aver passato altre ore meravigliose con queste persone, selvatiche e generose, autentici e puri esseri umani in tutto il loro splendore.
Qualcuno vedendo le foto di quel consesso, mi ha poi detto “Sono gli ultimi fricchettoni…”, in realtà io credo che i bioregionalisti siano piuttosto un’avanguardia, numericamente insignificante sul piano mondiale, ma con un grande significato di protesta, di critica della società in cui viviamo, che realizza una proposta politica per un nuovo modo di vivere.
Rivedrò Gary Snider un paio di giorni dopo a Firenze, in un reading alla libreria Edison, l’atmosfera, purtroppo, è del tutto diversa ed è difficile mantenere l’attenzione mentre la gente gira tra gli scaffali senza alcun rispetto per quello che sta accadendo, con il sottofondo di piattini e tazzine del bar…
Soltanto lui, il poeta, legge imperturbabile con la sua cantilena, in mezzo a questo caos solleva un bicchier d’acqua e lo riappoggia sul tavolo con infinita delicatezza, per non disturbare Lucio che legge la traduzione italiana. Quel gesto profondamente armonico mi ha detto di lui più di tante parole.
In quell’occasione ho chiesto a Gary Snyder cosa significava per lui, il camminare come forma di meditazione, ecco la sua risposta:
“La meditazione è una pratica di concentrazione che è meglio iniziare da seduti, ma ci vuole del tempo affinchè si riesca a dedicare la giusta attenzione alla propria coscienza ed alla propria consapevolezza. Prendere consapevolezza della propria mente e della propria coscienza, significa prendere consapevolezza del proprio corpo, di tutto il proprio corpo. Fin dai tempi del Buddha Sakyamuni si sapeva che anche il camminare può essere una forma di vera meditazione. Anche i lama ed i monaci sono abituati a praticare la meditazione in cammino, ma usualmente camminano molto lentamente, soltanto dopo aver imparato bene la meditazione camminando, allora puoi andare più veloce. Un'altra cosa molto importante, che mi è stato insegnata nei monasteri buddisti, è che anche il lavoro fisico è una forma di meditazione. Sono consapevole di meditare anche quando taglio la legna e raccolgo i rami secchi nel bosco. Se fossi veramente illuminato, forse sarei in grado di essere consapevole anche quando uso il computer, ma a questo livello non sono ancora arrivato…”
Quale insegnamento migliore, profondo e ironico, possiamo cercare noi camminatori? Da anni la Boscaglia propone nei sui viaggi il camminare lento e molti di noi hanno vissuto esperienze molto intense, nel camminare in gruppo, nel praticare la camminata dell’attenzione, nello risvegliare la dimensione selvatica che dorme dentro ognuno di noi.
Sulle orme di questo leggendario esploratore dell’anima, possiamo continuare a percorrere il nostro lieve cammino, più lenti, più profondi, più dolci.
Settembre 2004
APPROFONDIMENTI
Sul Velino Parikarama - http://www.boscaglia.it/kora.htm
Sul camminare come forma di meditazione e come terapia - http://www.boscaglia.it/letture/3000.htm
BIBLIOGRAFIA
La grana delle cose, Edizione e/o, Roma 1995
Nel mondo selvaggio, Red Edizioni, Como 1992
Ri-abitare nel grande flusso, Rete Bioregionale Italiana/Arianna Editrice, Bologna 2001