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L'unità dinamica della persona va «suscitata», per Mounier, attraverso l'amore e l'attività

di Francesco Lamendola - 17/07/2008

 

 

 

 

 

 

Parlare del personalismo di Emanuel Mounier (Grenoble, 1905- Châtenay-Malabry, Seine, 1950) significa smuovere alcuni scheletri dentro l'armadio, infastidire alcune interpretazioni di comodo, irritare sia la cultura cattolica che quella di matrice marxista (o ciò che attualmente ne rimane). Perché Mounier fu un uomo e un pensatore scomodo,  un cristiano che prendeva il Vangelo con la stessa, drammatica urgenza con cui lo avevano preso Pascal e Kierkegaard: radicalmente e senza compromessi; e che, al tempo stesso, parlava della libertà con i toni appassionati di un profeta dell'Antico Testamento, ma calato nella lotta di classe del XX secolo.

Marx., infatti - insieme a Kierkegaard - è l'altro polo ideale della riflessione filosofica di Mounier; o meglio il marxismo, di cui pure vede i limiti, le insufficienze e i fraintendimenti di base, a cominciare dalla negazione di una istanza ontologica fondamentale dell'individuo: la trascendenza. Con la cultura marxista, d'altra parte, Mounier condivide le impazienze rivoluzionarie: la condanna senza remissione del capitalismo sfruttatore dei poveri e degli umili, l'insofferenza verso un mondo borghese avvertito come non solo come profondamente corrotto e decadente, ma come eticamente intollerabile.

Mounier è stato un filosofo militante, fortemente legato all'attualità, ai problemi sociali; e, al tempo stesso, un pensatore e uno scrittore fortemente originale, meno legato del suo maestro Maritain alla tradizione consolidata (San Tommaso d'Aquino), per cui la sua scrittura ha un forte impulso creativo e coinvolgente e fa appello all'interezza della persona del lettore, non solo alla sua dimensione astrattamente razionale. Fondatore della prestigiosa rivista Esprit, nel 1932, ha consegnato alla cultura europea e mondiale opere quali Rivoluzione personalista e comunitaria, (1935); Manifesto al servizio del personalismo (1936); Dalla proprietà capitalista alla proprietà umana, (1936); L'avventura cristiana (1945); Libertà sotto condizioni (1946); Che cos'è il personalismo? (1947); Introduzione agli esistenzialismi (1947); Trattato del carattere (1948); Il personalismo (1949).

 

Personaggio scomodo, dicevamo. Da sinistra lo accusarono di essere un romantico anti-moderno e di vagheggiare un ritorno regressivo alla civiltà pre-industriale; da destra, e proprio dal mondo cattolico da cui proveniva e in cui si riconosceva, diffidavano di lui come di una specie di marxista travestito da cristiano. Di fatto, egli è stato, forse, il filosofo europeo che più di ogni altro sentì la gravità della crisi mondiale del 1929, che meglio intuì l'insostenibilità di un sistema economico basato sulla rapacità di pochi, e che si sforzò di delineare una proposta di rinnovamento sociale che perseguisse coerentemente una «terza via» tra egoismo borghese e totalitarismo marxista.

Nemico di ogni interpretazione quietistica e intimistica del fatto della fede, come se essa dispensasse l'uomo dall'essere membro consapevole di una comunità e dal dovere di condividerne speranze e difficoltà, Mounier non guarda tanto a San Tommaso e al Medioevo, quanto al Rinascimento, come a un modello sociale nel quale le esigenze dell'intera persona umana sono valorizzate e, al tempo stesso, possono esprimersi in un contesto pubblico e comunitario, stringendo individuo e società in un legame organico e armonioso. È pur vero che proprio a partire  Rinascimento si consuma la rottura di quel legame, per cui il mondo moderno è divenuto un mondo desacralizzato, figlio delle «tre erre»: Rinascimento, Riforma, Rivoluzione

Da un punto di vista cristiano, per Mounier, due forme di alienazione minacciano l'individuo: l'alienazione mistica, che lo vorrebbe staccare dalla dimensione della società e della storia, e l'alienazione collettivistica, che vorrebbe sopprimere in lui l'esigenza alla spiritualità e alla trascendenza. Delle due, forse la più pericolosa è la prima; perché il marxismo ha avuto almeno il merito - secondo Mounier - di scagliarsi contro il mondo del denaro, anche se lo ha fatto servendosi di «arti diaboliche» e al prezzo di compromettere l'unità della persona. Da parte sua, lo spiritualismo ha ristretto la dimensione umana alle esigenze individuali più limitate ed egoistiche; per cui Mounier ripete, con Pascal, che «chi vuol fare l'angelo, diventa bestia».

 

Ed eccoci giunti al concetto-chiave della filosofia di Mounier: personalismo deriva da persona, che si caratterizza per la presenza dello spirito. Ciò che è privo di spirito, la materia, non può essere persona; la persona, d'altra parte, non si esaurisce nel soggetto individuale. Essa è trascendenza e, pertanto, possiede un valore che eccede l'esperienza esistenziale: essa è in un contesto, in una situazione, ma non si riduce al contesto e alla situazione, bensì tende a proiettarsi oltre. Il mondo e tutte le cose acquistano senso e valore proprio in virtù di questa eccedenza, senza la quale non vi sarebbero né senso, né valore.

Un errore fondamentale della filosofia moderna, per Mounier, è stato quello di identificare la persona con la coscienza che il soggetto ha di se stesso; così come l'errore fondamentale della psicologia è quello di identificarla con l'io individuale. La persona, al contrario, possiede una profondità che rinvia al trascendente, nel tempo stesso in cui si alimenta del rapporto con gli altri, formando una comunità personale. La comunità è una persona collettiva o anche, se si preferisce, una persona di persone: e solo nella grande persona della comunità può realizzarsi pienamente la persona del singolo individuo - la quale, si badi, non è, semplicemente, l'individuo stesso.

Tradendo questa dimensione di apertura connaturata alla società stessa, il mondo industriale e borghese ha creato delle folle anonime, in cui l'individuo è per così dire atomizzato; bisogna riscoprire l'importanza  del doppio legame dell'uomo con la trascendenza e con i suoi simili. Ebbene, il cristianesimo è appunto questo:  rivoluzione personalistica e comunitaria, come recita il titolo di uno dei libri più noti del filosofo francese.

La persona umana, infatti, è un essere essenzialmente sociale, che è stato creato per l'amicizia e per l'amore degli altri. Un essere che contempla e lavora, e che si sente in comunione con tutte le altre persone, riconoscendo in ciascuna di esse un centro insopprimibile di autonomia e libertà. Libertà!, ecco: la grande parola è stata pronunciata.

Ma come la intende, esattamente, Mounier?

Per H. Duméry (Un philosophe de combat, cit. in Armando Rigobello, Il personalismo e Mounier, in Questioni di storiografia filosofica, Editrice La Scuola, Brescia, 1978, vol. 5, pp. 366-67), la parola e il concetto di «libertà» sono inseparabili dalla parola e dal concetto di «impegno»:

 

Una volta pronunciata la parola libertà, si tocca infine il cuore stesso della persona. Ma che cosa è la libertà? Mounier naviga tra due scogli: la libertà non è una cosa, e nemmeno è uno scaturire gratuito e senza direzione, come la concepisce Sartre. È accoglienza di valori ed insieme autonomia. La sua stessa disponibilità svolge una funzione orientatrice. Questa disponibilità infatti innanzitutto si fonda sulla necessità d'aprirsi a Dio, che è la radice segreta di ogni movimento di personalizzazione.

Infine Mounier deduce una teoria dell'impegno che s'apre a ventaglio sulle prospettive rivoluzionarie. Occorre impegnarsi per superare le strettoie economiche che soffocano la persona e quelle politiche che l'opprimono. Egli invita i cristiani a far prevalere l'integrità della loro fede sui compromessi della pigrizia o dell'interesse.

I valori personali, in particolare quelli religiosi, non possono vivere in noi e negli altri uomini s essi non sono sufficientemente purificati per non dare scandalo ai nostri e agli altri occhi.

 

È strano che gli storici della filosofia e della pedagogia abbiano un po' sottovalutato la portata pedagogica dell'ideale di Mounier dell'uomo impegnato nel mondo per realizzare il personalismo comunitario. Tutti parlano della pedagogia di Maritain; ma il pensiero di Mounier ha una valenza pedagogica ancora più accentuata.

Osserva in proposito Sergio Moravia (Educazione e pensiero, Le Monnier, Firenze, 1983, vol. 3, p. 546):

 

Il personalismo di Mounier (rivolto a realizzare un ideale di uomo «totalmente impegnato» sia verso la storia che verso i valori spirituali e tendente a sintetizzare le esigenze dell'esistenzialismo  con quelle del marxismo, cioè la responsabilità personale e l'impegno sociale) manifesta una più accentuata [rispetto a Maritain] valenza pedagogica. Prima di tutto tale «concezione dell'impegno deve avere le sue incidenze sull'educazione ancora tradizionalmente fissata, negli ambienti dove sussiste la sollecitudine di una formazione dell'uomo spirituale», favorendo uno sviluppo dell'educazione in senso «comunitario» e la realizzazione del suo compito primario, quello di «suscitare» la persona. Quella ch'è stata chiamata dallo stesso Mounier la «rivoluzione personalista» è infatti, essenzialmente, una trasformazione educativa volta a incrementare nel soggetto umano responsabilità, creatività e capacità di partecipazione sociale, attraverso l'armonizzazione delle tre «tensioni» che lo compongono (verso il «basso»: corpo; verso l'«alto»: spirito;  verso il «largo»: comunione) all'interno di una determinata «situazione» storica che va accettata e sviluppata proprio attraverso l'intervento dell'uomo-persona. Al centro della formazione umano-pedagogica Mounier pone la funzione dell'«amore», come incontro genuino dell'io coll'altro e come impegno in un dialogo costruttivo e comune, e la funzione dell'attività «integrale» , vista come il momento del farsi donandosi agli altri. La costituzione di un «uomo nuovo», che è il compito primario dell'educazione secondo Mounier, viene indicata come l'obiettivo cui le istituzioni educative (la famiglia, la scuola, la chiesa) devono guardare. Sotto un diverso profilo, l'educazione si manifesta come il riconoscimento di una «vocazione» e la realizzazione di una «incarnazione». In opere come Rivoluzione personalistica e comunitaria (1934), Cos'è il personalismo (1948), Il personalismo (1950) e nelle pagine di Esprit (la rivista fondata da Mounier nel 1934), la riflessione pedagogica si intreccia strettamente all'elaborazione della concezione personalistica, acquisendo un significativo spessore teorico e, insieme, una fisionomia aperta, problematica ed antidogmatica.

 

Fuori della Francia, tra i filosofi che maggiormente subirono l'influsso del pensiero di Mounier vi fu il nostro Luigi Stefanini, che alla dimensione sociale e pedagogica di esso dedicò un saggio molto importante: Personalismo sociale, Studium, Roma, 1952. A sua volta, fra quanti hanno studiato, in Italia, la dimensione socio-pedagogica del pensiero di Mounier, ricordiamo in particolare Lorenzo Biagi e il suo saggio: Mounier tra impegno e profezia, Gregoriana, Padova, 1990; e Giuseppe Goisis, Riscopriamo l'impegno di Mounier (in Quaderno n. 4 della Fondazione «Ispirazione», Treviso, 2006, pp. 151-164).

 

In conclusione, il discorso di Mounier sull'uomo parte dalla presa di coscienza del carattere sempre più meccanico, disumanizzato e alienante dei rapporti fra gli uomini nella società contemporanea, dominata dai miti distruttivi della produzione e del guadagno.

La sua proposta di una ricostruzione personalistica dell'uomo e della società, anzi, dell'uomo nella società (che è anch'essa, come abbiamo visto, persona), si  sostanzia di una filosofia che esce dal chiuso delle aule accademiche e si rivolge a ogni uomo e a ogni donna, facendo appello alle tre dimensioni esistenziali (verso Dio, verso se stessi, verso l'altro) che, sole, cooperando reciprocamente, possono permettere alla persona di emergere. La persona, infatti, non è un mero dato; è piuttosto una potenza, una possibilità, che giace in ogni individuo, ma che deve essere opportunamente «suscitata» per potersi pienamente realizzare.

In questo senso, la rinuncia di Maritain alla vita accademica e il distacco dal suo maestro J. Chevalier furono uno schiaffo assestato con forza alla cultura universitaria che, come osservava impietosamente un altro maestro del Nostro, Charles Péguy, «sorbonifica tutto», ossia irrigidisce in formule morte ogni discorso vivo e concreto.

 

Ma che cosa può dirci, oggi, il personalismo di Emanuel Mounier?

Secondo Giusepope Goisis, che lo ha definito - giustamente - «un cantiere ancora aperto», ha ancora da dire parecchio agli uomini del terzo millennio (Op. cit., pp. 162-164):

 

In definitiva, cos'ha da dire il personalismo di Mounier alla cultura e alla politica del nostro tempo? Ancora molto, io penso, come fermento per il pensiero e per la prassi, dal momento che, per la cultura dominante, la persona umana è spesso solo funzione, drasticamente sottovalutata non più rispetto alla società e allo Stato, ma oggi rispetto alla scienza, al mercato e alla tecnica.

A livello di opinione pubblica, l'attenzione si è troppo concentrata sull'enfasi dei media, che operano più manipolazione che autentica comunicazione. A stento, a volte, la rincorsa all'effimero maschera la più profonda paura verso il nuovo che ci corre incontro, e tale paura sembra invadere l'esistenza collettiva…In questa situazione, Mounier ci ripropone l'imperativo dell'impegno: «Primo, non evadere». Le più grandi opportunità, le migliori possibilità il personalismo le ha giocate alle nostre spalle, ma tali possibilità si schiudono davanti a noi, oggi, nel presente momento in cui le grandi narrazioni ideologiche hanno messo a nudo le loro crepe interne e l'enfasi sul sociale sembra, almeno in parte, rientrata, in qualche settore con esiti rovinosi (alla droga della cultura politicizzata si è venuta opponendo, in una dilaniante alternativa, il nichilismo, orpellato magari con le brume New Age, in una cultura tutta tempio e supermercato). Il personalismo può e deve arricchirsi dell'apporto delle scienze umane, grazie alla sua struttura flessibile, e divenire sempre più, col suo riferimento alla centralità della persona, un grande spazio 'laico' di confronto e reciproca integrazione fra le diverse mentalità e culture. Per fare un solo esempio, la categoria mounieriana del «discernimento combattivo» può aiutare a rifondare un'etica dell'impegno: la lucidità critica di Mounier ci invita a prestare attenzione alla minaccia di soffocazione dell'umano, presente anche oggi ma,  a differenza degli anni Trenta, sotto forma di «tolleranza repressiva»; lo stile del pensatore di Grenoble può servire a dar risposta alla crisi della militanza politica e sociale, dovuta ala generale caduta di tensione progettuale.

In conclusione, il personalismo di Mounier contribuisce anche a chiarire alcuni drammatici interrogativi del cristianesimo odierno, soprattutto in ordine al suo porsi come «affrontamento» al cospetto dell'odierna società di massa. La sfida tecnologica ci scuote nel profondo, e il dilagare dell'indifferenza si mescola con vistosi ritorni all'idolatria pagana. Mounier ha cercato di superare il gap tra vita cristiana e condizioni rinnovate del mondo contemporaneo, testimoniando un cristianesimo maturo, leale nei confronti delle realtà terrene, libero da complessi sia di arrogante superiorità, sua i intirizzita inferiorità.

Ha preso sul serio la realtà paradossale dell'agonia del cristianesimo, ha preso drammaticamente sul serio l'attenzione evangelica ai poveri, che tante pagine incisive ha ispirato a Péguy e Bernanos, lasciando ai cristiani laici, impegnati nei settori della cultura e della politica, la testimonianza di un vitale gusto per la sapienza condivisa, per armonizzare fede e pensiero, ricerca attorno ai problemi sociali e dono di sé.

 

Ci piace concludere queste righe riportando un breve brano di Mounier a proposito del problema della pace e della guerra; problema non dibattuto nell'astrattezza della discussione accademica, ma nella drammatica imminenza del grande cataclisma della seconda guerra mondiale, che incombeva sinistro sui cieli d'Europa nel 1939.

Dopo aver ribadito che la pace non è uno stato di debolezza, ma di fortezza, il quale richiede ad ciascuno il massimo di spogliamento, di sforzo e di rischio per mantenere l'eroismo della vocazione cristiana, Mounier scriveva (in Le Chrétiens devant le problème de la paix, traduzione italiana: I cristiani e la pace, a cura di G. M. Schiavone, Ecumenica, Bari, p. 78):

 

Lottiamo come disperati contro la guerra che viene, non accordiamole neppure un briciolo di complicità, ma non arriveremo ad esorcizzarla se non come si scongiura una malattia: presentandole un'anima sana in un corpo sano. Contro il bellicismo, questo riduttore: l'assoluto della carità cristiana; contro quella forma di pacifismo che serve le imprese della violenza: la vocazione terrena del cristiano, l'umiltà che è il senso della terra, una pazienza con la storia che è la stessa, inesauribile, pazienza di Dio.