Nelle Lettere. 1940- 1975 (Einaudi, Torino 1988), ce n'è una a Gianni Scalia, del 3 ottobre 1975, sociologo e amico di Pasolini, dove lo scrittore si congratula con lo studioso per una "bellissima idea" . Scrive Pasolini: "la tua idea di 'tradurre' in termini di economia politica ciò che io dico giornalisticamente mi sembra non solo bellissima, ma da attuarsi subito" ( vol. II, p.748).
Non è dato sapere se il progetto sia stato portato a termine da Scalia, dopo la morte dello scrittore, ma la lettera illumina quello che è un aspetto fondamentale dell'opera di Pasolini.
La sua estrema creatività, ma anche "invasività" : come capacità di cimentarsi con le forme artistiche, espressive, e di comunicazione più varie, "colonizzandole" e piegandole alla propria poetica e ai propri valori culturali. Sicuramente la traduzione "economica" dei suoi scritti giornalistici avrebbe suscitato in lui nuovi interessi verso la "scienza triste". E chissà forse nuove sollecitazioni, letture, e scoperte.
Va però segnalato anche il rovescio della medaglia. Essere estremamente creativi, come Pasolini (o persino volerlo essere a ogni costo, come notano gli osservatori meno benevoli), e perciò passare da un campo all'altro (dal romanzo al cinema e alla critica sociale, sociologica ed economica), ha un suo costo: quello di seminare di perle (romanzi, poesie, film, documentari, testi teatrali) il proprio cammino ma anche di intuizioni, magari brucianti, ma proprio perché tali, poco organiche e di difficile se non di impossibile interpretazione "postuma".
Sotto questo aspetto Giulio Sapelli, professore di storia economica, ha scritto un volume utilissimo per due ragioni: in primo luogo perché consente di fare il punto sulle analisi economiche e sociologiche di Pasolini( e, in questo senso, riprende e sviluppa il progetto di Scalia). In secondo luogo, perché, grazie al taglio problematico (o aporetico) il testo mette bene in luce la difficoltà, per ogni studioso, di riuscire a decifrare un pensiero intuitivo, prensile e febbrile come quello di Pasolini.
Prendiamo ad esempio la famosa tesi pasoliniana sulla modernizzazione senza sviluppo. Una volta letto e chiuso il libro, si scopre che sul problema della modernizzazione capitalistica Pasolini non aveva una posizione precisa: per un verso, seguendo l'ottima ricostruzione di Sapelli, sembra essere contrario (si veda la sua critica dei processi di massificazione e omologazione, pp. 27-36, 107-137 ) per l'altro però, e Sapelli ne fornisce le prove, Pasolini continuerebbe a sostenere, condividendo addirittura, l'ottimismo evoluzionistico engelsiano (p. 31), lo sviluppo delle forze produttive, come meccanismo fondamentale per il passaggio dalla "preistoria" (il capitalismo) alla storia (il socialismo). Perciò per Pasolini il punto chiave, dal punto di vista della politica, sembra essere quello di come far collimare, all'interno di una modernità, a questo punto necessariamente (e razionalmente) capitalistica, soprattutto se l'obiettivo finale è quello obbligato del socialismo, sviluppo morale e sviluppo delle forze produttive (p.165), crescita economica e crescita intellettuale e culturale (p.155).
Il che suggerisce una domanda, che Sapelli non si è posto, e alla quale, proprio dopo aver letto il suo libro è ancora più complicato rispondere. Ma non si sa mai.
Un Pasolini redivivo si batterebbe per la crescita o per la decrescita?