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Dobbiamo difenderci dai «vampiri psichici» con le armi della positività e della Grazia

di Francesco Lamendola - 24/07/2008

La celebre scrittrice inglese ed esperta di occultismo e magia Dion Fortune (il cui vero nome era Violet Mary Firt: Llandudno, 1890- Londra, 1945) ha raccontato un inquietante episodio della sua giovinezza, quando, maestrina ventenne presso una scuola privata, fu vittima di quella che lei definì una deliberata «aggressione psichica» da parte della sua direttrice, una donna malvagia che aveva appreso, in Oriente, delle particolari tecniche di suggestione basate sull'uso dei poteri mentali.

Così ha ricordato l'episodio il noto studioso dell'occulto Colin Wilson nel suo libro Mistreri del soprannaturale (titolo originale: The Mammoth Book of the Supernatural, 1991; traduzione italiana di Erberto Petoia, Newton & Compton editori, Roma, 1998, p. 379):

 

Nel 1911, all'età di vent'anni, diventò maestra in una scuola privata. La direttrice era una donna molto dispotica - una persona prepotente e crudele, avida di potere, che aveva studiato occultismo in India. Dopo diverse feroci dispute con la direttrice, Dion Fortune decise di lasciare il suo lavoro. Una collega le consigliò di partire senza avvertire la direttrice, sostenendo che altrimenti non sarebbe riuscita ad andare via. Malgrado questo consiglio, lei avvertì la sua superiora. La direttrice disse che la sua partenza era gradita purché prima ammettesse di essere incompetente e di non avere fiducia nelle proprie capacità. Dion Fortune negò indignata le accuse. La direttrice la fissò allora negli occhi e ripeté l'affermazione centinaia di volte per quattro ore di seguito.

Alla fine una sorta di istinto profondo avvertì Dion Fortune di far finta di cedere e di chiedere il perdono della sua direttrice. La vecchia donna allora si calmò e la lasciò andare. Ma il danno era fatto: Dion Fortune per i successivi tre anni fu un rottame sia nel corpo che nella mente. Dopo più di un anno di malattia, scrisse in seguito, «il mio corpo era come una batteria elettrica che era stata completamente scaricata». La diagnosi di uno psicologo direbbe probabilmente che la direttrice aveva esercitato una sorta di potere ipnotico per distruggere la sua autostima, per farla sentire indifesa e soggetta a incidenti. Il risultato fu il prosciugamento delle se riserve vitali, come avrebbe detto Gurdijeff, così che il minimo sforzo la stremava. Le giunse alla conclusione che la donna l'aveva danneggiata con un «attacco psichico», facendo sì che il suo corpo astrale disperdesse energia vitale. Come antidoto, si dedicò completamente allo studio dell'occultismo. Forse la parte più interessante del racconto di questa esperienza è quando afferma che la direttrice non aveva usato semplicemente l'ipnotismo, ma anche suggestioni telepatiche - in altre parole, la pressione del pensiero.

 

Per chi desideri approfondire l'argomento, è consigliabile la lettura dei libri che Dion Fortune scrisse in proposito, fra i quali Psychic Self-Defense (Autodifesa psichica), oltre ai suoi numerosi e fortunati romanzi.

A noi, però, basta aver ricordato che esiste un vampirismo psichico diretto ed estremo, utilizzato da persone relativamente esperte in pratiche di magia nera, le quali vogliono agire senz'altro sui centri della volontà e sulla struttura psichica complessiva delle loro vittime designate, allo scopo di ridurle in proprio potere o di infliggere loro il massimo danno possibile. Nel caso di Dion Fortune e della sua direttrice, poche ore di bombardamento ipnotico e telepatico causarono alla giovane maestra un danno enorme, che si tradusse in anni di depressione psico-fisica.

Esistono, tuttavia, casi molto più frequenti, e il più delle volte inconsapevoli, di vampirismo psichico, dovuti all'azione di persone profondamente scoraggiate e disilluse dalla vita, e tuttavia ancora abbastanza attaccate ad essa da volersene «vendicare» con un sordo rancore che dirigono, spesso in maniera non intenzionale, un po' verso tutti.

Queste persone non sono consapevoli, in genere, di quello che stanno facendo; ma quanti le avvicinano, non possono fare a meno di percepire intorno a loro un'aura impregnata di negatività, dalla quale possono difendersi solo allontanandosi. Non tutti, però, possono allontanarsi; parenti stretti, colleghi di lavoro, infermieri (nel caso si tratti di ammalati), ad esempio, non hanno la facoltà di andarsene a piacimento, il che li espone a un prolungato influsso negativo.

Ciò che si verifica nel vampirismo psichico è una sorta di risucchiamento dell'energia vitale, una sensazione opprimente e claustrofobica di pressione spirituale, per cui le persone che ne sono vittime si sentono come svuotate di forza interiore e, al tempo stesso, sospinte verso un cupo pessimismo e una generale impressione di smarrimento, angoscia, frustrazione e offuscamento della speranza. Quest'ultimo è l'effetto, alla lunga, più pericoloso: perché il fatto di abituarsi a vivere, poco a poco, senza più un barlume di speranza nella bontà e nella bellezza della vita, trasforma chi ne è soggetto in un vero e proprio «ossesso».

Naturalmente non stiamo parlando, qui, di circostanze specifiche dell'esistenza, di momenti o situazioni nei quali è normale, anche se dannoso, abbandonarsi al pessimismo e diffonderlo involontariamente intorno a sé. Qui si parla di una struttura del carattere che è divenuta, o che tende a diventare, permanente; e nella quale non c'è più spazio per la capacità di vedere gli aspetti postivi della realtà, ma solo uno sconsolato ed autolesionistico desiderio di sprofondare sempre più in basso nello scoraggiamento e nel nichilismo. Esso è di solito unito all'autocompiacimento del proprio dolore e al demoniaco desiderio di contagiare quante più persone possibile, spegnendo in esse la scintilla dell'amore per la vita; cosa pericolosissima, soprattutto se rivolta a dei giovani o, peggio, a dei bambini.

Secondo certe teorie, già il solo squilibrio nel potenziale vitale tra un anziano e un bambino dovrebbe sconsigliare una eccessiva vicinanza fisica tra essi, specialmente nelle ore del sonno, perché la psiche dell'anziano tenderebbe a vampirizzare quella del bambino.

Noi non lo crediamo, perché siamo persuasi che non il semplice dato biologico o anagrafico, ma la qualità negativa dell'aura vitale, ossia del corpo sottile che noi creiamo con i nostri pensieri e con i nostri stati d'animo, costituisce eventualmente un pericolo per coloro che vengono a trovarsi nel suo raggio d'azione. Infatti, non sono le parole o i gesti o gli sguardi, ma anche semplicemente i pensieri a creare quel pericoloso contagio psichico che abbiamo definito, per comodità di linguaggio, una forma di vampirismo.

 

C'è un altro fattore da tener presente, quando si parla di queste cose, e cioè che noi tendiamo,  istintivamente, a cercare il «nemico» - in questo caso, il vampiro psichico - fuori di noi, mentre può darsi benissimo che egli giaccia acquattato nel fondo di noi stessi.

Per riconoscerlo e smascherarlo, valgono le stesse regole che si adoperano per riconoscerlo quando riteniamo che sia all'esterno, nella mente e nello spirito di un'altra persona, con la quale dividiamo una parte delle nostro tempo e con la quale, magari, siamo emotivamente e affettivamente coinvolti. Si tratta di cogliere la differenza fra colui che pensa, parla e ragiona in modo sistematicamente negativo, perché si trova in uno stato di temporanea prostrazione e di non voluto abbattimento, e colui che, al contrario, prova una sorta di maligna soddisfazione nello sporcare o nel demolire ogni aspetto positivo della realtà, allo scopo di potersi beare di un quadro fatto di negatività assoluta. Si tratta, in questo caso, di persone che non desiderano essere consolate, ma piuttosto compatite a tempo indeterminato.

In genere, questa seconda categoria di persone (che possono costituire una graduale involuzione interna delle prime) detestano essere contraddette, o dover ammettere che non tutto è così nero come esse lo rappresentano; e divengono aggressive nei confronti di quanti cercano di far loro notare l'esistenza, nonostante tutto, di ragioni di speranza.

Ebbene, questa irritazione e questa aggressività possono avere origine anche in una parte del nostro io, quella che si compiace di soffrire, e dirigersi eventualmente contro un'altra parte del nostro io, quella che vorrebbe reagire positivamente alle sfide della vita e alle difficoltà davanti alle quali, talvolta, abbiamo la sensazione di non farcela.

Sia che il vampiro psichico si trovi all'esterno, sia che si trovi all'interno del nostro io, la sua caratteristica fondamentale è quella di non voler star meglio, di non voler guarire, perché ciò lo priverebbe dello strumento mediante il quale perseverare nella sua attitudine di parassitismo e grazie al quale può tenere in pugno il prossimo.

Se ha una malattia fisica, tenderà a disprezzare o ignorare le cure, adducendo mille pretesti; e, se,  nonostante tutto, otterrà la guarigione, non passerà molto che si presenterà un altro disturbo, un altro malessere: perché l'importante, per lui, è rimanere malato, in modo da poter continuare a lamentarsi senza posa e a rovesciare su chiunque gli capiti a tiro tutta la sua sofferenza, il suo rancore e il suo strano senso della giustizia «offesa».

Se ha un disturbo psicologico, si comporterà allo stesso modo: cercando di prolungare il suo dolore, per poter prolungare anche il suo «potere». Chi potrebbe, infatti, rimproverarlo perché si lamenta dei suoi mali?

In realtà il suo male, se pure, in origine, era di natura fisica o psicologica, ha finito per mettere radici nella parte più profonda della sua anima, ed è divenuto un malessere spirituale. Ricordiamo quanto detto nel precedente articolo Amare la vita è il segreto per reagire alla stanchezza fisica, mentale e spirituale (sul sito di Arianna Editrice), e cioè che la volontà può agire dai livelli superiori della persona verso quelli inferiori, ma non viceversa. Quindi, è illusorio pensare di poter ottenere un miglioramento delle condizioni fisiche o mentali di una persona, se la parte di lei che è realmente malata, e che non vuol guarire, è lo spirito.

 

Un caso a parte è costituito dai parenti di quelle persone che soffrono da molti anni, o magari dalla nascita, di gravi malattie o di handicap fisici o psichici, le quali, sotto la pressione inclemente della situazione che si trovano a vivere, possono talvolta accumulare una carica di risentimento inconscio nei confronti del malato o del disabile. Ma, poiché il loro Super-io non ammetterebbe mai una cosa del genere e, d'altra parte, la tensione e il rancore accumulati esigono imperiosamente di venire alla luce, essi deviano i loro sentimenti negativi dal loro oggetto reale alla società dei «sani», colpevole non tanto di indifferenza nei confronti della loro difficile situazione, quanto di godere di un bene che ad essi è negato: la tranquillità di una vita normale, la salute delle persone care e, con essa, la pace dello spirito.

Può accadere, in tal modo (può accadere, ma non è detto che accada), che i genitori o i parenti stretti di un malato cronico o di un disabile grave, finiscano per prendere in antipatia, se non in odio, tutti coloro che hanno la «colpa» di stare bene, a cominciare dal personale preposto all'assistenza del loro congiunto (infermieri, assistenti polivalenti e così via), maltrattandoli continuamente per trovare un sollievo alla loro intima pena. In realtà, vorrebbero maltrattare il malato o il disabile; cosa che non ammetterebbero mai e poi mai, neppure con se stessi.

Certo, questa è una cosa «politicamente scorretta» da dirsi, perché l'istintivo senso di colpa del sano nei confronti del malato induce il primo a pensare che, al mondo, esistano solo due generi di persone: quelle buone e che soffrono ingiustamente, e quelle egoiste, che se la spassano; e che i malati e i disabili devono rientrare di diritto nella prima, mentre tutti i sani appartengono - almeno potenzialmente - alla seconda. Lo ripetiamo: non è detto che il fenomeno sopra descritto accada; e, di fatto, avviene abbastanza raramente. Ma avviene; e chi scrive lo afferma per il fatto di aver avuto l'occasione di osservarlo, più di una volta.

Al di là delle esagerazioni vitalistiche e superomistiche di Nietzsche, il problema è reale.

Chi si trova a disporre di un basso potenziale vitale (e non è detto che sia un malato o un disabile; a volte, queste sono proprio le persone più coraggiose e positive), si vendica di tutto il mondo attraverso un atteggiamento di rancore e di rimprovero diffuso, che trova il modo di far breccia nella coscienza altrui e di tessere una tela sottile di senso di colpa da parte dei «sani», i quali si sentono in dovere di farsi perdonare il delitto di stare bene e di vedere le cose con un po' di ottimismo e di fiducia nel domani.

Ma su ciò, per adesso, basta.

È stato sufficiente accennare a questo aspetto della questione, aspetto che molti - crediamo - conoscono benissimo, e che, tuttavia, generalmente si ritiene di pessimo gusto discutere apertamente e senza complessi.

 

Che cosa possiamo concludere?

La sofferenza esiste; le malattie esistono; esiste anche la depressione, che non è semplicemente una debolezza della volontà, ma una malattia ben precisa, e anche delle più difficili da curare.

Lungi da noi sostenere che il mondo è pieno di malati immaginari, i quali nascondono dietro improbabili malesseri la loro paura, la loro amarezza e la loro delusione nei confronti della vita. Però, al tempo stesso, è un fatto che esiste anche la tentazione di lasciarsi cullare dalla malattia e di crogiolarsi nella sofferenza: tentazione molto umana e alla quale, in determinate circostanze (ad esempio, quando si deve affrontare un disturbo cronico o una grave infermità permanente), è difficile resistere.

Davanti al vampiro psichico - che può essere, lo ripetiamo, anche dentro di noi - sono vani i rimedi fisici o i ragionamenti, i quali ultimi fanno appello alla sola sfera mentale. Il suo problema vero è di tipo spirituale, ed è su quel livello che esso va collocato, affrontato e combattuto - nella misura in cui ciò sia possibile.

Ma attenzione: si tratta spesso di un io molto astuto, che ha un fiuto speciale per intuire che voi non volete permettergli di indugiare all'infinito nella nicchia che si è scelto; né, tanto meno, di angustiarvi eternamente con i suoi lamenti o di tiranneggiarvi con i suoi sfoghi sterili e distruttivi. Egli comprende, in un batter d'occhio, che non volete commiserarlo, ma, semmai, aiutarlo a tirarsi fuori dal vicolo cieco in cui è andato a ficcarsi: vede pertanto in voi un nemico della peggiore specie, al quale muoverà una sorda guerra non dichiarata.

 

Esistono soluzioni a una situazione del genere?

Ciò dipende dai molti fattori implicati in ciascun singolo caso; ogni situazione è un caso a sé, non esistono regole generali.

Come per la depressione, cui per certi aspetti somiglia, il vampirismo psichico è una lunga e difficile malattia, che non si può guarire, semplicemente, con la buona volontà, né del paziente, né di coloro che lo assistono o che gli stanno vicino.

In linea di massima, crediamo si possa fare questa osservazione: non si diventa vampiri psichici per caso, ma come esito estremo di un atteggiamento generale nei confronti della vita; un atteggiamento coltivato per anni, giorno dopo giorno, fatto di pessimismo, sfiducia, paura, rabbia, egoismo e desiderio di rivalsa. È il rancore dei deboli che avevano ambizioni smisurate, ma che non hanno saputo lottare per realizzarle neanche in minima parte; la solidificazione delle cattive abitudini di un ego ipertrofico, irrealistico e vendicativo, deciso ad avvelenare agli altri quel po' di serenità o di gioia che sono riusciti a conquistarsi, perché nessuno deve star bene quando il «vampiro» sta male, e ha ventiquattr'ore al giorno per rimuginare sulla sua desolazione.

Se il vampiro psichico è, in fondo, un ossesso, come dicevamo più sopra, il rimedio più diretto sarebbe quello di un rito di liberazione che si può apparentare all'esorcismo: nel senso che si tratta di scacciare uno spirito di negazione e di impedimento, che si è installato al di dentro e al di sopra dell'io quotidiano.

D'altra parte, non si deve dimenticare che l'esorcismo è un semplice strumento, mentre il rimedio effettivo è l'amore di Dio e dell'uomo; quindi, anche nel nostro caso, una disposizione amorevole, di apertura, di generosità, resta pur sempre il rimedio più efficace, almeno in quei casi nei quali è ancora possibile intervenire per liberare l'io «normale» dal suo molesto e sgradito ospite parassitario.

In ogni caso, si tratta di una lotta difficile, che solo le persone più evolute sul piano spirituale possono sperare di affrontare con prospettive di successo.

Per tutte le altre, il rimedio migliore è pur sempre la fuga: perché il vampiro, aggrappandosi agli altri, tende a fare come colui che sta per annegare, trascinando con sé quanti vorrebbero dargli aiuto.

A meno che non cerchiamo di fare appello al quarto livello della nostra struttura ontologica di persone, quello soprannaturale: invocando l'aiuto di quella Grazia che può moltiplicare le nostre forze, e senza la quale possiamo fare ben poco.

Ma, per chiedere il soccorso della Grazia, bisogna avere già fatto un bel tratto di strada.

Quanto meno, bisogna essersi spogliati della pretesa arrogante di essere i soli padroni della nostra vita, di poter capire tutto con la sola ragione, e di non aspettarsi altro aiuto che quello di una scienza quantitativa, meccanicistica e senz'anima.