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La scimmia col gilet è una caricatura. E sfocia nell’eugenetica

di Giuseppe Sermonti - 24/07/2008



Sono stato per alcuni anni animalista, per semplici ragioni di pietà.
Trovavo e trovo orribile che alcune povere bestie siano sottoposte a
esperimenti strazianti, che hanno una discutibile utilità medica e
servono soprattutto a produrre pubblicazioni per la carriera degli
sperimentatori. Ciò mi pareva particolarmente infame nei confronti delle
nostre sorelle scimmie, benché non abbia mai assistito ad alcun
esperimento che le coinvolgesse. Ma gli ululati dei cani provenienti
dallo stabulario dell’Istituto di Sanità mi sono rimasti nell’anima dopo
cinquant’anni.

Mi sono allontanato dall’animalismo quando ho cominciato a sentir
parlare dei “diritti” degli animali, di una sorta di omologazione
giuridica di uomini e bestie, da cui l’uomo emergeva come un animale con
qualche diritto in più, conquistato con la prepotenza. Ho sentito
parlare e ho letto di qualcosa come un diritto di voto esteso agli
scimpanzé, e, dal lato opposto, ai robot. La pietà, e sino l’amore, nei
confronti degli animali, è sentimento rispettabile ed è una via per
avvicinarci alla fratellanza universale e a Dio, come ci ha insegnato
san Francesco. Un cane può essere modello di affetto e di fedeltà. Dare
a questi sentimenti una sanzione burocratica e legislativa offende il
nostro diritto e ridicolizza la scimmia. La scimmia col cilindro e col
gilet è stata per qualche tempo la caricatura del darwinismo.

Un mese fa la commissione ambientale delle Cortes spagnole ha preso in
carica un progetto di liberazione animalista, intitolato alle grandi
scimmie (Great Ape Project). Il particolare riguardo riservato agli
scimmioni ha certamente origine dalla nozione darwiniana che da essi
deriviamo attraverso il processo evolutivo, che di essi siamo eredi e
non di un mitico Adamo. Benché quella nozione sia stata smentita
definitivamente, se non altro perché l’uomo è comparso sulla terra
milioni di anni prima degli scimmioni, essa è rimasta nel nostro
subconscio e nella nostra subcultura. Quello che preoccupa nell’accesso
delle scimmie al nostro diritto è l’invasione della legalità zoologica
nella nostra filosofia e nel nostro diritto. Scrisse Darwin nei suoi
appunti: “Origine dell’uomo ora dimostrata. La metafisica deve fiorire.
Chi comprendesse il babbuino farebbe per la metafisica più di quanto
abbia fatto Locke.” E la metafisica del babbuino ci insegna che (è
sempre Darwin) “l’origine della nostra specie è la causa delle nostre
passioni malvagie. Il diavolo sotto forma di babbuino è nostro nonno”.

Il rischio che l’adozione del Great Ape Projet fa intravedere non è
tanto quello di vedere una scimmia seduta in Parlamento. E’ quello di
vedere insinuarsi nelle nostre leggi la metafisica del babbuino. Quella
metafisica, promossa dal cugino di Darwin, Francis Galton, conosce una
sola forma di elevazione e miglioramento, l’eugenetica, cioè
l’eliminazione dei difetti e dei difettosi. “La nostra razza dovrà
liberarsi del marchio ereditario dovuto alla sua primitiva barbarie, –
scrisse Galton – prima che i nostri discendenti possano raggiungere la
posizione di membri liberi di una società intelligente”.
La giurisdizione zoologica, quanto meno quella delle Grandi Scimmie,
tenderà ad affacciarsi nel Corpus Juris Civilis di Giustiniano, via via
dissolvendo i concetti di colpa e di responsabilità, e sostituendoli con
quelli di difetto genetico e di residuo animalesco.
Delitto e castigo diverranno pregiudizi superati dalla lombrosiana
genetica della criminalità, e la Giustizia sarà sostituita da qualcosa
come una Classificazione naturalistica delle tendenze congenite, che
avrà stabilito il nostro debito prima dell’esperienza della vita.


Sull’argomento l’autore ha pubblicato “Il Tao della Biologia: saggio
sulla comparsa dell’uomo”, Lindau, 2007.