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Sport degli antichi e dei moderni

di Carlo Gambescia - 25/07/2008



La morte di un alpinista famoso, Karl Unterkircher, ma anche di scalatori sconosciuti (ieri è addirittura mancata quasi un’intera famiglia(http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/cronaca/incidenti-montagna/morti-monte-bianco/morti-monte-bianco.html), impone di riflettere, anche se sommariamente, sullo sport dei moderni, partendo però dal lontano, come siamo soliti fare.
Ad esempio spesso si discute sulle differenze tra politica degli antichi e dei moderni: la prima fondata sulla democrazia diretta e la partecipazione, la seconda su quella parlamentare e la delega. Ma possibile estendere questa classificazione anche allo sport? E così parlare di sport degli antichi e dei moderni? Riteniamo di sì. Anche se va subito fatta una precisazione: la parola sport è moderna e di origine inglese, risale al XV secolo e indica divertimento, svago o passatempo. Mentre, come è noto, per gli antichi, in particolare greci e romani, lo “sport” come attività fisica e ludica era soprattutto un fatto religioso e di perfezionamento fisico e interiore. Si gareggiava per gli dei della città ma anche per migliorarsi spiritualmente: la sfida riguardava se stessi e non doveva mai suscitare l’invidia degli dei. Oggi invece lo sport significa svago per gli spettatori, e denaro per chi lo svolge a livello professionistico. Permane l’elemento ludico, ma quel che conta è vincere per gratificare economicamente, non gli dei, ma lo sponsor e così guadagnare favolosi compensi.
Ma veniamo all’elemento della “delega”. Se il cittadino antico era spesso un ex atleta, il cittadino moderno è uno spettatore, che in nove casi su dieci non ha mai praticato lo sport che segue in tv. Ovviamente, il cittadino della Roma repubblicana, era anche un soldato, e come è noto, i soldati dovevano tenersi in perfetto esercizio fisico, praticando sport come la lotta e la corsa. Buoni esempi di sport “privi di delega”, che si ramificano fino al medioevo, sono quelle gare come il “lancio della palla”, molto simili alle moderne partite di calcio, cui partecipavano, durante feste e fiere, semplici cittadini ai quali si chiedeva solo di possedere forza bruta nei contrasti e potenza di piede.
Comunque sia, non bisogna idealizzare troppo lo sport degli antichi, né disprezzare quello dei moderni, o sottovalutare le possibilità di riscoprire antichi valori. Ad esempio, i cosiddetti “sport “estremi”, sono un ottimo esempio di fusione tra valori antichi e moderni. Pensiamo a discipline come il surf, il free climbing (la scalata di pareti di roccia senza l’ausilio di attrezzature alpinistiche), il rafting (la discesa su zattera di torrenti), lo sci estremo (la discesa solitaria su neve fresca e pendii molto ripidi), il parapendio, il paracadutismo a caduta libera. In queste nuove pratiche sportive, si recupera l’elemento della crescita, non solo fisica ma anche interiore: la competizione più che con l’altro è con se stessi. Quanto al pubblico, si tratta di gente che ha praticato in precedenza lo sport che segue: perciò chi “delega”, ha un passato da sportivo attivo, la delega non è mai passiva. Infine, intorno all’organizzazione delle gare e alla preparazione degli atleti aleggia uno spirito emulativo o di squadra, che coinvolge tutti: dall’artigiano che fabbrica le attrezzature ai preparatori atletici fino a cuochi e magazzinieri.
Ma quel che distingue queste attività, e ne rappresenta l’aspetto antico, è il principio che la pratica sportiva deve puntare all’ “autoperfezionamento interiore”: il bisogno (moderno) di superare i propri limiti viene così conciliato con un ideale (antico) di perfezione corporea, che ha nell’integrità fisica e nella pace con se stessi, gli strumenti per giungere alla conoscenza del proprio io.
Va però anche detto che per praticare questi sport ad alti livelli, occorre essere ben allenati. Di qui la necessità di addestrarsi in spazi artificiali (pareti di cemento, fiumi con portata d’acqua programmabile, piste sciistiche prefabbricate), e anche di ricorrere agli ultimi ritrovati della tecnica moderna (fibre di vetro e carbone, leghe speciali). Tutto questo fa crescere i costi e rende più difficile sottrarsi agli sponsor (e alla commercializzazione).
Non è perciò difficile ipotizzare che gli sport estremi potrebbero essere trasformati in potenti veicoli pubblicitari, puntati come cannoni verso una platea di spettatori-consumatori passivi. Una passività molto ambita proprio da sponsor commerciali e media. Tutti mossi da un’avidità di profitti che finisce per favorire il costante impiego di atleti professionisti, richiamati appunto dagli alti compensi, fissati dagli sponsor.
Il che purtroppo sta già avvenendo. Per impedirlo si dovrebbe tornare alla politica degli antichi. Ma questa è un’altra storia.