Da settimane in Italia è in corso una campagna strumentale tesa a legittimare il ritorno al nucleare, fiaccare le resistenze popolari e reintrodurre l'olio combustibile
Il giornale El Pais di venerdì 20 gennaio, riportando i dati consuntivi del bilancio energetico spagnolo, ha sottolineato che gli impianti eolici hanno superato di poco i 10.000 megawatt, equivalenti ad una produzione annuale di circa 6 milioni di tep (tonnellate equivalenti petrolio) o di oltre 7 miliardi di mc di gas o 8 milioni di tonnellate di carbone. Con un risparmio di circa 2 miliardi e mezzo di dollari, di minori importazioni che si riversano sulle migliaia di aziende eoliche, sui Comuni, e soprattutto sull'industria, tra le più avanzate del mondo, che produce ed esporta anche in Italia le macchine eoliche. Questo risultato, accompagnato dal successo di altre fonti alternative che però non hanno raggiunto la maturità economica dell'eolico, è il frutto di una lunga politica iniziata dai governi Gonzales, non interrotta durante il periodo Aznar e che ha avuto nuovo vigore con la vittoria di Zapatero. Altro risultato importante l'aumento del 17,6% del consumo di gas rispetto all'anno prima, mentre sono leggermente diminuiti i consumi di petrolio e carbone.
La Spagna così si avvia verso quella transizione energetica basata sullo sviluppo delle fonti rinnovabili e sulla sostituzione del carbone e del petrolio con il metano che, tra l'altro, entro il 2009 riceverà una nuova spinta dall'Algeria, appena completato il gasdotto in costruzione, ritardato dalla necessità di superare l'attraversamento del Marocco.
Naturalmente la stampa spagnola, come del resto quella francese e tedesca, non sta conducendo una campagna allarmistica a proposito della mancanza di gas russo, come si sta verificando, ormai da alcune settimane, in Italia. Campagna condotta in modo particolare dai tre principali quotidiani: La Stampa, Corriere della Sera e Sole 240re nonché dalla televisione di regime e ispirata dai poteri forti dominanti nel campo energetico come l'Enel, l'Eni e il nuovo gigante franco-italiano Edison (50% Edf, compagnia nazionale francese, non privatizzata, principale produttrice di energia atomica e che attraverso la Edison ha accesso diretto ad una vasta platea di utenti delle ex municipalizzate di Milano e di altre città padane).
Naturalmente il governo, e il ministro Scajola in particolare, fa la sua parte in questa campagna di allarmismo e manifesta attraverso le sue proposte di intervento, culminate negli ultimi decreti, i veri scopi di questa campagna.
In primo luogo legittimare il ritorno al nucleare (non certo per oggi, per domani o dopodomani) ma per investire nelle iniziative francesi sul nuovo nucleare di terza generazione che sarà pronto fra 10 o 15 anni. Nell'immediato invece fiaccare le resistenze popolari contro l'installazione delle centrali a carbone di Civitavecchia e Porto Tolle. Infine reintrodurre, anche se si dice a titolo provvisorio, l'uso dell'olio combustibile (residuo della distillazione frazionata del petrolio vero e proprio che trasforma le centrali elettriche in inceneritori di residui tossici vietati per legge).
L'Enel, dopo la sconfitta del nucleare, sui cui aveva puntato negli anni '80, diventò il principale acquirente di olio combustibile prima per aiutare le raffinerie italiane a liberarsi di questo residuo e poi per acquistarne sul mercato internazionale inutilizzabile nell'Europa del nord e trasportato in Italia attraverso carrette, battenti bandiere ombra, per conto di società fantasma ubicate nei paradisi fiscali a cui sembra si riferissero le due tragedie ecologiche causate dai naufragi sulle coste della Normandia e della Galizia.
La coscienza ambientalista e gli accordi di Kyoto hanno favorito la riconversione di queste centrali a gas a ciclo combinato, meno inquinante e con maggiore resa energetica, e soprattutto hanno incrementato le domande di nuove centrali a gas di concorrenti dell'Enel.
Il ritorno all'uso dell'olio combustibile, nelle forme annunciate da Scajola, è perciò non solo pericoloso per l'ambiente ma anche costoso per le imprese e quindi in linea definitiva per i consumatori (è stato calcolato fino al 5% in più delle tariffe per l'anno prossimo) anche perché il ritorno all'olio combustibile farà aumentare il costo dei certificati verdi da acquistare per risarcire questa che è una patente violazione degli accordi di Kyoto.
Esso susciterà anche l'opposizione dell'Unione europea e soprattutto l'opposizione delle popolazioni di cui si sono fatti interpreti non solo alcuni governatori e sindaci del centro-sinistra ma anche lo stesso Formigoni (il quale però ha chiesto che l'uso dell'olio combustibile sia vietato solo in Lombardia). E ciò mentre è in corso in tutte le città, come ad ogni inverno, una campagna per ridurre lo smog della circolazione automobilistica che l'uso dell'olio combustibile, tra i maggiori responsabili di particolato, non farebbe che aggravare.
Ma l'insistenza allarmistica sui rifornimenti dalla Russia ha un altro scopo, quello di impedire che, sulla base dello sviluppo di accordi chiari tra la l'Unione europea e la Russia, si formi un'area non condizionabile dagli idrocarburi liquidi e gassosi del Medio Oriente dominati dalle armi e dalle multinazionali anglo-americane. Questa campagna è pretestuosa perché in primo luogo le riduzioni annunciate dall'Eni sono nell'ordine più o meno dell'1% del consumo giornaliero. Se una riduzione così modesta può produrre tante difficoltà e allarme c'è da domandarsi che politica energetica hanno fatto l'Eni e l'Enel dal momento della privatizzazione in poi. E qual è la responsabilità di questo governo che pure ha nominato a suo piacimento i dirigenti di queste società.
In secondo luogo nessuno mette in evidenza che il gasdotto libico, entrato in funzione l'anno scorso e che doveva portare in Italia 8 miliardi di mc di gas, non ha mai funzionato a pieno regime ed è praticamente bloccato. C'è poi da domandarsi perché quantità così modeste non possono essere aggiunte al principale metanodotto, quello algerino, che l'anno scorso ha veicolato in Italia più gas di quello russo. Ed infine molti giornali hanno persino avanzato l'ipotesi che l'Eni dirotti, alla frontiera austriaca, una parte del gas russo, verso la Francia e la Germania, disposti forse a pagarlo di più.
Da tutta questa vicenda sorge l'esigenza per le forze ambientaliste, di sinistra, e per l'intera Unione, a cominciare da Prodi, di contrapporre un piano energetico nazionale che si basi sul risparmio, sullo sviluppo delle energie rinnovabili ed in particolare l'eolico che è il settore più maturo (nella sola Sicilia ci sono 5.000 megawatt di domande inevase). Senza naturalmente trascurare il biodiesel, il solare (termico e fotovoltaico), le biomasse, etc.
E, per quanto riguarda la transizione, puntare sul metano specie con la diffusione di impianti di cogenerazione ancora più redditizi in termini ambientali di quelli a ciclo combinato.
Un piano che preveda anche qualche rigassificatore, per allargare ancora i rifornimenti di gas non raggiungibili con i metanodotti, senza penalizzare siti già duramente provati dalla presenza di mostri come a Brindisi per la centrale Edipower e soprattutto quella Enel di Cerano che da sola lancia nell'atmosfera il 6% delle emissioni serra previste dagli accordi di Kyoto per l'Italia e brucia milioni di tonnellate di carbone provenienti dal sud est asiatico e dal Sudafrica dove il carbone costa meno a prezzo di condizioni salariali e di sicurezza impensabili nelle miniere europee. Un piano che preveda di ripensare il processo di privatizzazione e liberalizzazione che tanti guasti ha prodotto.
Nell'intervista rilasciata dal presidente dell'Eni Scaroni a questo riguardo c'è un'osservazione che deve fare meditare. Il mercato dell'energia in questa fase di transizione è dominato da grandi complessi statali come la Gazprom, la Sonatrac algerina ed anche l'Edf francese. Non si può andare a trattare con questi colossi sulla base di società privatizzate e scalabili. Occorre quindi riconoscere, almeno per quanto riguarda le reti nazionali ed internazionali di proprietà dell'Enel e dell'Eni e le centrali idroelettriche che forniscono il 18% di tutta l'energia italiana, che queste infrastrutture sono beni comuni da ricondurre sotto la gestione pubblica in modo da garantire un potere contrattuale paritario con gli altri colossi energetici e l'accesso di tutti i consumatori e di tutti i produttori con particolare riferimento alle energie rinnovabili che sono state bloccate, per esempio, in Sicilia da un dictat della Terna (Enel).
Il governo ha annunciato per la fine di febbraio una conferenza nazionale sull'energia. Essa rappresenta un altro imbroglio perché indetta per fine legislatura mentre è già in corso la campagna elettorale, in una situazione di marasma energetico qual è quello creato dai "furboni del quartierone" (ben più potenti dei "furbetti del quartierino") che cercano di strappare accordi bipartisan sul nucleare o su altri passi indietro sotto la spinta di un'emergenza sfruttata fraudolentemente. Bisogna contestare con forza anche questa iniziativa mobilitando sull'esempio di Messina (No Tav, No Ponte) tutte le forze che in questi ultimi anni si sono battute, da Scanzano in poi, in tutta Italia contro le più vistose conseguenze di una politica disastrosa per l'ambiente ed anche per la democrazia italiana.
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