Disastri naturali: l'«annus horribilis»
di Emanuele Giordana - 02/02/2006
Fonte: ilmanifesto.it
Il 2005 sarà ricordato come «l'anno dei disastri»? si chiede Theresa Braine nell'ultimo numero del Who Bulletin (Blt), la rivista dell'Organizzazione mondiale della sanità (http://www.who.int/bulletin/en/) che offre sempre spunti interessanti. La risposta è in un certo senso «no», o «non per forza», anche se l'articolo si preoccupa di mettere giustamente in relazione gli eventi naturali con il contesto ambientale in senso lato: «Non mi piace il termine disastro naturale», dice ad esempio Ciro Ugarte, funzionario della Paho, la branca americana dell'Oms, perché, sottolinea l'esperto, «i disastri naturali non avrebbero effetti così devastanti se la popolazione non fosse tanto esposta ai rischi che ne derivano». In altre parole, se le migrazioni popolano aree già molto abitate, ecco che un terremoto farà oggi molte più vittime che qualche anno fa. Lo si è visto con i sismi del 2005: alcuni di quelli che hanno colpito l'America latina sono stati di magnitudo maggiore rispetto a quello nel Kashmir, ma è stata la densità per chilometro quadrato a fare la differenza. La stessa che fa dire all' United Nations Population Fund (http://www.unfpa.org ), che i disastri fanno più vittime perché la popolazione è aumentata (siamo 6,5 miliardi e saremo 9,1 nel 2050). Sembra l'uovo di Colombo ma in parte è così, anche se la tesi di Ugarte è più articolata. Un tempo non c'era il surriscaldamento del pianeta e industrializzazione e sviluppo (per molti la medesima cosa) avanzavano con passi più incerti. I disastri avevano però un impatto maggiore, in molti casi, proprio per via del sottosviluppo. Nel XIV secolo la peste ammazzò 25 milioni di persone ovvero il 37% della popolazione europea. La peste, in questo caso, viene annoverata nell'articolo sul bollettino dell'Oms tra i disastri naturali... Come dar loro torto? Ma se preferite un evento classico, c'è sempre l'eruzione del Vesuvio del 79 a.C. con 10mila morti in un colpo. E chissà quanto funzionavano allora le statistiche. Una solida fonte che si occupa di disastri è il Cred (Center for Research on the Epidemiology of Disasters) di Bruxelles (http://www.cred.be). Si occupa proprio di indicizzarli e archiviarli. Dice ad esempio che nel `75 furono categorizzati 75 disastri (terremoti, alluvioni, eruzioni vulcaniche - che sono le tre tipologie chiave). Ma nel 2000 ne vennero elencati 525, scesi poi a 400 nel 2004. L'anno orribile pare sia stato il 1984 con 450mila morti. Poi viene il 2004 con 300mila. Il 2005 non era tra i peggiori sino allo tsunami. Che fare? Nell'attesa di capire quali sono i criteri per cui i disastri e il loro impatto aumentano si pensa alla prevenzione (e qui è utile il sito dell'International Strategy for Disaster Reduction dell'Onu http://www.unisdr.org/) o anche alla «mitigazione» dell'impatto, che è un concetto che va integrando la classica «preparedness», ossia la preparazione nelle aree particolarmente a rischio. Che tra l'altro costa poco, ricorda l'Oms. Sicuramente meno che intervenire ex post. Il sito di Reliefweb (http://www.reliefweb.int) è invece importante per seguire quello che avviene durante e immediatamente dopo una catastrofe. Non è un luogo di riflessione ma semmai una sorta di braccio operativo virtuale in una materia che, come si vede, pone tante domande e ha a disposizione altrettante risposte. Un buon indirizzo, che non dà risposte, ma che valuta, tra l'altro, «quanto costano» i disastri naturali, è quello di Swissre (http://www.swissre.com/), società svizzera di valutazione del rischio. Quattrini insomma. Anche questo è un aspetto dei disastri naturali. |