L’uomo si sta spersonalizzando, perde contenuti e identità. Questo, almeno, annunciava la sociologia fino a pochi anni fa (e molti ancora lo credono). Una delle prove di questo svuotamento era che nella vita delle persone i luoghi (spazi da sempre importanti per i gruppi sociali) perdevano importanza rispetto ai cosiddetti non luoghi: spazi di passaggio, anonimi, funzionali, veloci. In futuro, si temeva, ci si incontrerà solo in aeroporto e nei centri commerciali. Non è accaduto.
Sono stati soprattutto i giovani, nel mondo occidentale, a riproporre l’importanza ed il senso dei luoghi «storici». Dove, nelle varie città, ci si incontra da sempre. Tanto che uno dei problemi urbanistici più attuali è come evitare gli ingorghi, gli schiamazzi, il convulso affluire e defluire del «popolo della notte», composto in gran parte di giovani, dai luoghi e quartieri dove ci si è sempre incontrati.
A Londra, Milano, Napoli, Parigi, Barcellona, i giovani accorrono a frotte nei posti dove già i loro padri si incontravano: Sloane Square, i Navigli, Mergellina, Saint Germain, e così via.
I non luoghi invece, i centri commerciali, le stazioni di servizio, dopo le ore di chiusura vengono abbandonati o (più raramente) scelti come punto d’incontro da chi non riesce a stabilire una relazione con i luoghi storici: gli immigrati irregolari, gli individui che, per varie ragioni, non desiderano o non possono rendersi troppo visibili, e reperibili.
In molte città anzi (come a Milano con le «colonne di San Lorenzo»), i giovani hanno riproposto e lanciato luoghi storici che i loro padri avevano quasi abbandonato, per incontrarsi in nuovi luoghi, più anonimi e meno radicati nelle città, già annunciatori dei «non luoghi» di fine millennio. I ragazzi, insomma, prede designate di questi «luoghi del nulla», li hanno fermamente rifiutati, compiendo istintivamente un percorso di valorizzazione dei luoghi storici nella vita sociale delle città.
Come mai questo è accaduto, e cosa significa per il futuro di quei giovani, e delle nostre città? Innanzitutto la passione dei giovani per i luoghi storici delle città mostra bene il loro bisogno d’identità e il loro tentativo di darsene una, rifiutando il modello dell’«uomo vuoto», e neutro dal punto di vista identitario, che molte ideologie, psicologie e sociologie avevano auspicato nel secolo scorso. I luoghi prediletti, infatti, sono degli indicatori (markers) d’identità. Gli artisti scelgono una zona, i discotecari un’altra, i mondani anche, i romantici (quelli che a Parigi salgono a Montmartre) un’altra ancora.
Trovarsi in un luogo ti collega alla sua storia, ed anche se le nozioni che ne hai sono più mitiche che precise, ti sottrae comunque alla figura dell’uomo senza idee e senza tribù di appartenenza che politici ed urbanisti avevano immaginato per il terzo millennio.
È, in fondo, la stessa ragione per la quale i trattati europei, se sottoposti a referendum, vengono spesso bocciati: nessuno ama essere un soggetto esclusivamente burocratico, privo di storia e di contenuti. La generazione dei padri, inorridita dalle guerre europee, ha immaginato uomini e città asettiche, razionalistiche e prive di pathos: ma questa visione (ispirata dalla delusione e da una giustificata paura) non corrisponde ai bisogni umani.
Ecco allora i loro figli lanciarsi in un’operazione di re/invenzione della storia delle città, magari con la scusa di organizzarsi meglio la loro «movida» notturna. Poco eroico, ma significativo. La ricerca del piacere è sempre una bussola precisa della sensibilità del tempo.