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Le paludi della paura

di Marinella Correggia - 31/07/2008

 

Paludi, torbiere, acquitrini, foci a delta dei fiumi, sistemi di mangrovie costiere, tundre, lagune, piane alluvionali: sono le zone umide del pianeta, e occupano il 6% della superficie terrestre. Nell'immaginario collettivo sono zone malsane e in effetti non sono un habitat adatto alla specie umana. Eppure la loro esistenza è essenziale per la nostra sopravvivenza: «imprigionano» non tanto il mostro di Lochness ma un mostro ben più pauroso: 771 miliardi di tonnellate fra carbonio e metano, una quantità che se tradotta in CO2 equivalente - l'anidride carbonica è il principale gas serra - è pari a un quinto del totale dei gas serra presenti in atmosfera. La loro distruzione, se proseguirà, per il pianeta sarà una «bomba C», C come Carbonio: ne rilasceranno una quantità tale da amplificare il riscaldamento del clima a livelli insostenibili. Sono 40 le tonnellate di carbonio rilasciate per ogni ettaro di palude tropicale «bonificata», e sono da 2,5 a 10 le tonnellate di carbonio rilasciate per ogni ettaro di torbiera raschiato via.
Se ne è discusso a una recente conferenza scientifica internazionale, organizzata a Cuiaba (Brasile) dall'Università delle Nazioni Unite e dall'Università Federale del Mato Grosso, con la partecipazione di settecento scienziati da 28 paese. Cuiaba si trova all'imbocco del Pantanal, un complesso patchwork di laghi, lagune, fiumi, foreste e isole forestali, la più estesa pianura alluvionale del mondo: 150.000 chilometri quadrati, suddivisi fra Brasile, Bolivia e Paraguay. Buona parte delle migliaia di specie che lo popolano, fra cui molte migratorie, sono in via di estinzione. Benché sotto pressione da parte dell'agricoltura intensiva, dello sviluppo industriale e urbano, il Pantanal tutto sommato sta abbastanza bene, anche perché è valorizzato e dunque protetto come attrazione turistica. Invece il 60% delle zone umide del pianeta sono stati distrutti negli scorsi cento anni: soprattutto drenati per ottenerne terre agricole ma anche scomparse a causa dell'inquinamento, della costruzione di dighe e canali, del pompaggio dele acque di falda, dello sviluppo urbano e dell'estrazione della torba.
Il cambiamento climatico inaridisce altre terre umide. In effetti l'effetto serra è la principale minaccia alle paludi, soprattutto nelle regioni artiche o vicine all'Artico dove le torbiere un tempo permanentemente ghiacciate si stanno sciogliendo. Se la temperatura globale aumenterà di 3 o 4 gradi centigradi, la maggior parte delle terre umide scomparirà. Succederà anche al Pantanal.
Sono stati grandemente sottovalutati sia il pericolo rappresentato dalla distruzione delle zone umide, sia i grandi servizi ambientali che la loro protezione garantisce. Spesso hanno ecosistemi la cui biodiversità rivaleggia con quella delle foreste pluviali e delle barriere coralline. E poi aiutano il ricarico degli acquiferi, la depurazione delle acque, il riciclaggio dei nutrienti; e fanno da barriera contro le tempeste violente sulle coste e contro la loro erosione. Il disastro di New Orleans sarebbe stato meno tremendo se decenni fa le paludi di quell'area non fossero state drenate. Ma si pensi anche alle mangrovie, la cui distruzione sulle coste asiatiche - per farne resort turistici o allevamenti di gamberetti - ha reso catastrofica la forza dello tsunami del 2004. Gli Stati Uniti stanno dedicando risorse a ripristinare le zone umide in Florida e Louisiana. Con costi esorbitanti. La prevenzione, come al solito, costerebbe molto meno e sarebbe molto più efficace. Gli scienziati a Cuiaba hanno lanciato un appello alla comunità internazionale per un piano d'azione concordato e urgente.