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La distruzione dell'agricoltura africana

di Walden Bello - 11/08/2008

 

 

 

La produzione dei biocarburanti è certamente una delle cause dell’attuale crisi alimentare a livello mondiale. Ma mentre la conversione di colture di grano per ottenere cibo in quelle per produrre bioetanolo sta incidendo sulla crescita del prezzo degli alimenti, la causa originaria della crisi va ricercata nella conversione di economie in larga parte di “autosufficienza alimentare” in sistemi a di cronica importazione di cibo. In questo caso la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, e l’Organizzazione Mondiale del Commercio (il WTO) sono i principali colpevoli.

In America Latina, in Asia e in Africa, la storia è stata sempre la stessa: la destabilizzazione del sistema contadino vigente, attraverso i programmi di riforma strutturale del Fondo Monetario e della Banca Mondiale che hanno portato ingenti investimenti nelle campagne (ai contadini che passavano alla coltivazione di bioetanolo, NdT), accompagnati da pesanti finanziamenti degli USA e della UE una volta che sono stati siglati gli accordi del WTO sull’apertura dei mercati agricoli.

Il caso dell’agricoltura africana è esemplare di come gli interessi delle multinazionali possano distruggere un enorme sistema di produzione alimentare.

 

DA ESPORTATORI AD IMPORTATORI

 

Ai tempi della decolonizzazione degli anni ’60 del secolo scorso, l’Africa, non solo era autosufficiente da un punto di vista alimentare, ma addirittura era un’esportatrice di cibo; le sue esportazioni raggiungevano circa 1,3 tonnellate di cibo all’anno, tra gli anni 1966 e 1970. Oggi, il continente importa il 25% del proprio fabbisogno alimentare;quasi ogni paese è diventato un importatore di cibo. Fame e carestia sono diventati fenomeni ricorrenti, tanto che solo negli ultimi tre anni sono emerse emergenze alimentari nel Corno d’Africa, nel Sahel, nell’Africa del Sud e in quella Centrale.

L’agricoltura sta vivendo un periodo di profonda crisi, e le cause sono molteplici, comprese le guerre civili ed il diffondersi dell’AIDS. Comunque, una parte molto importante nella sua spiegazione, la riveste il fatto che molti governi africani siano stati costretti ad aderire ai programmi di riforme strutturali, posti fuori dal loro controllo, promossi dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale, come condizione indispensabile per aver diritto ai finanziamenti per coprire i loro debiti esteri.

Invece di innescare una spirale positiva di crescite e prosperità, i piani strutturali hanno portato all’Africa scarsi investimenti, aumento della disoccupazione, riduzione delle spese sociali, riduzione dei consumi, e abbassamento della produzione. Il tutto ha creato un circolo vizioso di stagnazione e declino.

 

L’annullamento dei sistemi di accesso ai fertilizzanti, pur riducendo il credito agricolo, ha portato semplicemente alla diminuzione delle applicazioni, a una resa più bassa, ed infine a minori investimenti. Ci si sarebbe potuti aspettare questi risultati di scarsa convenienza economica, che invece fuoriescono dai paradigmi del Fondo Monetario e della Banca Mondiale. Inoltre, la realtà dei fatti ha confutato la teoria secondo la quale tolto di mezzo lo Stato, si crea spazio affinché il mercato ed il settore privato rendano dinamica l’agricoltura. Invece, i privati hanno ritenuto che la diminuzione delle spese creasse troppi rischi, e non hanno più investito. Paese dopo paese, le previsioni della dottrina neo-liberale si sono rivelate opposte alla realtà: la scomparsa dell’intervento statale ha fatto crollare, invece che aumentare, gli investimenti privati.

 Di contro, nei casi in cui i privati sono subentrati agli Stati, un documento della Oxfam riferisce che: “talvolta lo hanno fatto in termini così sfavorevoli nei confronti dei contadini più poveri, da renderne insicuro l’approvvigionamento alimentare, e facendo carico sugli Stati di flussi imprevedibili di aiuti sociali”. L’ “Economist”, solitamente favorevole alle privatizzazioni, concorda, ammettendo che “molte delle imprese agricole che hanno sostituito le ricerche statali, in realtà sono a caccia solamente di posizioni monopolistiche”.

I governi sono stati supportati ,da fondi specifici della Banca Mondiale, all’esportazione dei prodotti agricoli, al fine di far entrare valuta estera per ripianare i debiti che avevano contratto col Fondo Monetario e con la Banca Mondiale stessa. Però, come è successo in Etiopia durante la carestia dei primi anni ’80, questo ha portato a utilizzare i terreni in modo esagerato per coltivare prodotti da esportazione, col risultato che i terreni sono diventati sempre meno fruttiferi, creando una forte insicurezza alimentare. Inoltre, la Banca Mondiale ha incoraggiato diversi Paesi a produrre gli stessi prodotti ed esportarli contemporaneamente, cosa che ha provocato un collasso dei prezzi sui mercati mondiali. E’ stato il caso, ad esempio, del successo del programma di espansione della esportazione di cacao, attuato dal Ghana, che ha causato un calo del prezzo del cacao nei mercati mondiali del 48% tra il 1986 ed il 1989, col risultato di aver reso tutta l’economia nazionale più vulnerabile per i capricci del mercato del cacao. Tra il 2002 ed il 2003, il collasso del prezzo del caffé ha contribuito a creare un’emergenza alimentare in Etiopia.

 

Così come in molte regioni, i piani strutturali hanno distrutto gli Stati. Ma ci sono delle differenze. Nell’America Latina ed in Asia, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario si sono limitati a funzioni macromanageriali o di controllori dello smantellamento dello stato economico. Hanno lasciato il lavoro sporco alle burocrazie nazionali. In Africa, dove hanno trovato governi più deboli, si sono occupate anche delle pratiche più spicciole: decidere la velocità con cui ritirare le sovvenzioni; quanti dipendenti pubblici licenziare; oppure, come nel caso del Malawi, quanto dell’intera riserva nazionale di grano andava venduta e a chi. In altre parole, i proconsoli africani della Banca Mondiale e del Fondo Monetario si sono sostituiti allo Stato nella gestione delle politiche agricole.

 

 

IL RUOLO DEL WTO

 

Un fattore che ha aggravato l’impatto dei programmi di riforme sono state le politiche commerciali imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Le liberalizzazioni commerciali hanno permesso alle carni bovine europee, caratterizzate da prezzi bassi e da sovvenzioni statali, di entrare in molti paesi dell’Africa Occidentale e Meridionale, portandoli alla rovina.

Grazie alle sovvenzioni legittimate dagli accordi del WTO sull’agricoltura, i produttori americani di cotone hanno potuto mettere sui mercati i loro prodotti a prezzi del 20-55% inferiori a quelli di produzione, portando alla bancarotta quelli dell’Africa Occidentale e Centrale.

 

Questi avvenimenti non sono stati casuali. Come ha affermato l’allora Segretario all’Agricoltura degli Stati Uniti, John Block, durante il meeting in Uruguay sugli accordi commerciali del 1986: “l’idea che i paesi in via di sviluppo siano autosufficienti da un punto di vista alimentare è un anacronismo figlio di un’epoca passata. Per loro è più conveniente garantirsi la sicurezza alimentare comprando i prodotti statunitensi, che hanno spesso un prezzo più basso”.

Quello che Block non disse era che i prodotti americani avevano prezzi più bassi grazie alle sovvenzioni statali, che arrivavano massicciamente ogni anno, nonostante il WTO dovesse eliminare ogni forma di finanziamento pubblico. Partendo dai 367 miliardi di dollari del 1995, il primo anno in cui il WTO era in vigore, il totale dei finanziamenti pubblici erogati dai paesi ricchi alle proprie agricolture è arrivato a 388 miliardi di dollari nel 2004. Attualmente i finanziamenti pubblici rappresentano il 40% del settore agricolo della UE ed il 25% di quello statunitense.

 

Le conseguenze sociali dei programmi di riforma sul settore agricolo erano piuttosto prevedibili. Stando a quanto afferma la Oxfam, il numero di Africani che vive sotto la soglia di un dollaro al giorno è raddoppiato nel periodo tra il 1981 ed il 2001, arrivando alle 313 milioni di unità, ossia il 46% dei cittadini dell’intero continente. Il ruolo di questi progetti, nel creare povertà e nel minare le basi del sistema agricolo africano aumentandone la dipendenza dalle importazioni, è difficile da negare. Come ha ammesso lo stesso responsabile economico per l’Africa della Banca Mondiale: “non pensavamo che i costi umani dei nostri programmi sarebbero stati così drammatici, e che la crescita economica così lenta”.

Ma questo è stato solo un momento di innocenza. Infatti, quello che più sconcerta, è che, come ha fatto notare il Professore di economia politica all’Università di Oxford, Ngaire Woods, “l’apparente cecità nel portare avanti questi piani, persiste anche dopo che gli studi condotti dagli stessi Fondo Monetario e Banca Mondiale, dimostrano che non porteranno alcun risultato positivo”.

 

IL CASO MALAWI

 

Questa ostinazione ha portato alla tragedia del Malawi.

E’ stata una tragedia preceduta da un successo. Tra il 1998 e il 1999, il Governo ha iniziato un programmo volto a consegnare gratuitamente ad ogni famigli un “pacchetto per iniziare” di fertilizzanti e di sementi. Ciò avvenne dopo diversi anni di sperimentazione, in cui i “pacchetti” venivano consegnati solo alle famiglie più povere. Il risultato fu un surplus nella produzione di granturco. Quello che è successo dopo, però, passerà alla storia come uno dei 10 errori più clamorosi del neoliberismo.

 

La Banca Mondiale e gli altri finanziatori pubblici hanno fatto pressione affinché il programma di aiuti venisse abolito, in quanto distorceva il mercato. Senza la distribuzione dei “pacchetti”, la produzione alimentare è crollata. Allo stesso tempo, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha insistito affinché il Governo vendesse una larga parte delle sue riserve strategiche di cereali per pareggiare il debito commerciale estero. Il Governo ha accettato. Quando, nel 2001-2002, la crisi alimentare è sfociata nella carestia, non c’erano più riserve alimentari da distribuire nelle campagne. Circa 1.500 persone morirono. Ma il FMI non si è impietosito, anzi ha sospeso i propri interventi economici, per concordare un intervento col Governo, sostenendo che “il settore parastatale continuerà a rappresentare una fonte di rischio per una positiva situazione del bilancio statale per gli anni 202-2003. Gli interventi del Governo nel settore agricolo e sui mercati in generale…causeranno un forte aumento della spesa pubblica”.

Quando una ancora peggiore crisi alimentare si è verificata nel 2005, il Governo ne ha avuto abbastanza della stupidità del FMI. Il nuovo Presidente ha reintrodotto il programma di aiuto per acquistare fertilizzanti, facendo sì che due milioni di famiglie potessero acquistarlo, insieme alle sementi, ad un terzo del prezzo di mercato. Risultato? Una clamorosa crescita per due anni consecutivi, un surplus di un milione di tonnellate di granturco, e il Paese che è diventato un esportatore di mais verso gli altri paesi dell’Africa Meridionale.

Ma la Banca Mondiale, così come la sua agenzia sorella, continua a difendere la sua teoria, rivelatasi errata alla prova dei fatti. Il Direttore della filiale nazionale della Banca ha dichiarato al “Toronto Globe and Mail” che: “tutte le famiglie di agricoltori che hanno pregato, preso in prestito o sono andate a rubare per poter comprare il fertilizzante, stanno ora avendo un ripensamento su quella decisione. Infatti, ora il prezzo del mais è molto basso, cosa utile per la sicurezza alimentare, ma ciò blocca lo sviluppo del mercato”.

 

IN FUGA DAL FALLIMENTO

 

La difesa da parte della Banca Mondiale sulla propria strategia in Malawi è stata un tentativo, tanto eroico quanto vano, di difendersi, ma ormai risale a una decina di anni fa. La situazione è differente oggi. In mancanza di anche un solo caso di successo, i programmi di riforma sono completamente screditati in Africa. Infatti, anche alcuni sostenitori pubblici, che li sostenevano,  hanno preso le distanze dalla Banca; il caso più eclatante è l’ente statale Britannico, il quale è stato co-fondatore dell’ultimo programma di finanziamento per il fertilizzante in Malawi. Forse il motivo di questo nuovo atteggiamento delle istituzioni occidentale, deriva dalla paura di perdere peso nel continente africano, venendo associate a programmi fallimentari. Contemporaneamente, sono preoccupate dal fatto che la Cina cominci a rappresentare una valida alternativa alla Banca Mondiale, al Fondo Monetario Internazionale e ai programmi di intervento varati dai governi occidentali.

 

Anche al di fuori dell’Africa, seppur tra gli ex sostenitori dei programmi, come il “Food Policy Research Institute” (IFPRI) di Washington, o il neoliberale “Economist”, in molti hanno riconosciuto come colpire la produttività agricola sia stato un errore. Per esempio, in un recente studio sull’aumento del prezzo del riso, il IFPRI ha rilevato che “gli investimenti nel settore agricolo sono crollati negli ultimi decenni” aggiungendo che “è ora che si incentivino i governi ad aumentarli nel medio-lungo termine, soprattutto nella ricerca agricola, nell’aumento delle infrastrutture e nel favorire l’accesso al mercato dei nuclei famigliari di contadini”. Nello stesso tempo, le dottrine del libero mercato promosse dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale hanno subito un attacco proveniente dal cuore stesso dell’establishment finanziario, un gruppo di luminari, guidati dal docente di Princeton Angus Deaton, ha accusato il dipartimento di ricerca della Banca Mondiale di essere fazioso riguardo le ricerche e l’esposizione dei risultati ottenuti. Come dice il proverbio, il successo ha migliaia di genitori, ma il fallimento è sempre un orfano.

 

A questo punto, impossibilitata a negare l’evidenza, la Banca Mondiale ha dovuto ammettere che l’intera struttura dei programmi di riforma strutturali è stata un errore, inserendo questa ammissione nel “2008 World Development Report”, forse nella speranza che così facendo non attirasse troppe attenzioni. Ad ogni modo, si tratta di una confessione schiacciante:

“Le riforme strutturali degli anni ’80 hanno smantellato il sistema di agenzie statali che aiutavano i contadini ad avere accesso alla terra e al credito, a garantire la produzione, e all’organizzazione cooperativa del lavoro. L’aspettativa era che togliendo l’intervento statale, liberando il posto per l’iniziativa privata e liberalizzando il mercato, si potessero ottenere gli stessi servizi ma riducendo i costi, aumentandone la qualità ed eliminando le sue distorsioni. Troppo spesso questo non è accaduto. In alcuni paesi, il ritiro dello stato è stato al massimo sostituito dai privati. In altre realtà, il settore privato si è sviluppato troppo poco e troppo lentamente, nella maggior parte dei casi agevolando i grandi contadini, ma abbandono i piccoli ai pericoli maggiori del libero mercato, gli alti costi di gestione, i rischi e la mancanza dei servizi prima garantiti. Mercati deficitari e servizi pubblici carenti hanno imposto costi altissimi per sostenere lo sviluppo e per le spese sociali per i piccoli coltivatori, nel tentativo di facilitare la loro competitività e , in molti casi, la loro sopravvivenza”.

 

CONCLUSIONE

 

In sintesi, i biocombustibili non hanno creato la crisi alimentare globale, ma l’hanno solo esacerbata. La crisi sta crescendo da anni, come risultato delle politiche del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e del WTO, le quali hanno sistematicamente scoraggiato l’autosufficienza alimentare, per favorire le importazioni di cibo, distruggendo il sistema locale basato sui piccoli contadini. In tutta l’Africa, ed in generale in tutto il Sud del Mondo, queste politiche, e le istituzioni che le hanno portate avanti. sono totalmente screditate. Resta da vedere se si riuscirà a rimediare ai danni che hanno causato prima che lo scenario diventi catastrofico.

 

Autore: Walden Bello

Fonte: www.globalresearch.ca

traduzione Manuel Zanarini