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Preistoria dell’Amazzonia

di Yuri Leveratto - 11/08/2008

Fonte: yurileveratto

  L’area amazzonica è stata popolata fin dal decimo millennio prima di Cristo. Vi sono varie teorie che spiegano l’origine del popolamento in America ed in particolare in Amazzonia. E’universalmente accettato che gruppi di indigeni asiatici attraversarono quella che un tempo era una prateria chiamata Beringia (l’attuale stretto di Bering tra Siberia e Alaska), circa 40 millenni or sono. Questi gruppi di Homo-Sapiens, originari della Siberia orientale, avanzarono verso nord-est per intere generazioni, seguendo mandrie di mastodonti, bisonti e caribú.All’entrare nel continente americano trovarono un corridoio libero dai ghiacci che percorsero, giungendo nelle grandi praterie del nord America, gli attuali Stati Uniti del centro e dell’ovest.Inizialmente questi gruppi di umani si sostentavano esclusivamente con la caccia. In seguito, con la rivoluzione neolitica, si dedicarono alla raccolta e all’agricoltura. Con il passare dei secoli varie tribú migrarono verso sud, in un processo di colonizzazione dell’intero continente americano che durò circa 30 millenni. Questi popoli di origine asiatica giunsero anche in Amazzonia, verso il decimo millennio prima di Cristo.Vi sono altre ipotesi, come per esempio la “teoria poligenetica”, secondo la quale popoli di origine melanesiana, polinesiana e persino semitica giunsero in Sud America in epoche arcaiche attraversando gli oceani, mischiandosi successivamente con i popoli di origine asiatica che arrivarono da nord. Questa teoria è supportata dai ritrovamenti nel sito di Piedra Furada, in Brasile, che provano presenze umane risalenti a 48 millenni or sono. In ogni caso in Amazzonia vi sono tracce di un popolamento antico, probabilmente con un clima differente da quello di oggi, più secco. Furono necessari secoli per affinare le conoscenze pratiche e tecnologiche necessarie per l’utilizzo di piante come il mais (zea mais), la yuca o manioca (manihot esculenta), la batata (ipomea batatas) o di piante medicinali ed eccitanti come la coca (erythroxylum coca).  I popoli dell’Amazzonia raggiunsero un elevato grado di conoscenza dei suoli, del clima e dei cicli organici e riuscirono a vivere in sintonia con la natura per millenni. Poco prima dell’arrivo degli europei la popolazione totale dell’America meridionale ammontava a circa trenta milioni di persone. La grande maggioranza (circa 20 milioni) vivevano nell’impero chiamato Tahuantisuyo (l’impero degli Incas), mentre altri 5 milioni circa vivevano tra il cono sud e il territorio che oggi è occupato dalla Colombia e dal Venezuela. Gli ultimi 5 milioni di persone, secondo le stime più accreditate, vivevano in Amazzonia. Le tre lingue dominanti nell’Amazzonia preistorica furono l’Arawak, il Caribe e il Tupì-Guaranì. L’influenza delle etnie parlanti Arawak, prima dell’arrivo degli europei nel Nuovo Mondo, si estendeva dalla attuale Florida fino all’odierna Bolivia. Il nome Arawak deriva da una parola usata dagli spagnoli, Araguacos, per denominare una tribù del Venezuela, mentre loro stessi si denominavano lukkunu (gli uomini). Le loro caratteristiche fisiche erano: statura bassa (non più di 160 centimetri), viso abbastanza largo, capelli neri, occhi a mandorla e pelle olivastra. Gli Arawak si sono espansi su territori enormi, probabilmente per ricercare nuove terre adatte all’agricoltura. Una delle prime migrazioni Arawak fu quella che portò gli Uro a raggiungere l’altopiano andino (ancora oggi tribù di Uro vivono in isole flottanti nel lago Titicaca). L’origine delle etnie di lingua Arawak sembra essere il nord dell’Amazzonia, luogo da dove si dispersero in varie direzioni. I popoli di lingua Caribe furono i primi che gli europei incontrarono al loro arrivo nel Nuovo Mondo. Il  nome Caribe ha un origine antica, apparendo in una mappa dello storico milanese Pedro Martir de Angleria della prima metà del XVI secolo, e deriva dalle parole calina e caripuna, di cui venne a conoscenza Colombo a La Española. Gli indigeni di lingua Caribe erano più alti dei nativi di idioma Arawak e in generale più bellicosi e violenti. Il loro luogo di origine sembra essere l’alto Xingù, nell’Amazzonia meridionale, da dove emigrarono, alcuni colonizzando le Antille, altri valicando le Ande e stabilendosi nelle pianure colombiane (i Sinù, che furono decimati dalle incursioni di Pedro de Heredia nel 1533, parlavano una lingua Caribe.)  I popoli di idioma Tupì-Guaranì si estesero dalle Ande all’Atlantico e dal massiccio della Guayana al Rio de la Plata. All’arrivo dei conquistadores europei, le etnie Tupì vivevano nelle zone costiere, dall’estuario del Rio delle Amazzoni fino all’odierno sud del Brasile. Sembra che il luogo di orine dei popoli di lingua Tupì-Guaranì sia l’alto Paranà, da dove, attraverso il Rio Xingù, si estesero verso l’Amazzonia. Alcuni linguisti, sostengono che i linguaggi Arawak, Caribe e Tupì-Guaranì abbiano delle affinità sorprendenti e forse un’origine comune. Se così fosse si potrebbe giungere alla conclusione che in un remoto passato, un unico popolo vivesse in Amazzonia.  Forse, tra l’ottavo e il sesto millennio prima di Cristo, in seguito a cambiamenti climatici di portata eccezionale, questa etnia primordiale si differenziò e alcune tribù emigrarono verso la zona andina, dove si incorporarono con popoli di lingua Aymara, Quechua e Chibcha. L’analisi dei suoli ci permette di individuare che, in Amazzonia, a partire dal quinto millennio avanti Cristo, fu adottata la tecnica del “taglia e brucia” e delle coltivazioni alternate, che permise di ottenere eccedenze di produzione di yuca e mais. In circa un ventesimo dell’attuale territorio forestale amazzonico (che corrisponde a 250.000 chilometri quadrati), si trova un particolare tipo di suolo, chiamato in portoghese terra preta. Questi terreni, particolarmente fertili, che gli antropologi considerano come un prodotto dell’uomo, a seguito appunto della tecnica chiamata “taglia e brucia”, sono la prova che i popoli amazzonici praticarono una forma di agricoltura intensiva su larga scala. Secondo Donald Lathrap, eminente studioso degli anni 70, un popolo proto-arawak, che viveva nell’Amazzonia centrale nel terzo millennio prima di Cristo, fu in grado, mediante la de-idratazione, di eliminare il nocivo acido prussico dalla yuca (manihot esculenta).Questo popolo praticava la caccia mediante archi, frecce e cerbottane e la pesca con trappole di legno nei fiumi e laghi. Nelle vicinanze della confluenza tra il Rio Negro e il Rio delle Amazzoni sono stati trovati anche dei manufatti in ceramica risalenti al terzo millennio prima di Cristo. Un’altra delle prove del popolamento arcaico dell’Amazzonia è la caverna di Piedra Pintada, situata nella parte nord del Rio delle Amazzoni, vicino alla confluenza con il Tapajos, non lontano dalla città di Santarem. In questa caverna, che fu studiata nel 1950 da Alfred Russel Wallace, vi sono varie pitture rupestri e petroglifi, raffiguranti figure umane e animali stilizzati spesso colorati di rosso, giallo e marrone. Vi sono anche disegni geometrici che fanno pensare a possibili conoscenze astronomiche. Si stima che l’uomo abitò queste caverne in un periodo compreso tra il decimo e il terzo millennio prima di Cristo, dimostrando cosí che popolazioni indigene vivevano e prosperavano in Amazzonia contemporaneamente al fiorire della cultura Clovis nell’America del nord. Dal punto di vista spirituale i popoli dell’Amazzonia seguirono complessi rituali di origine asiatica detti “pratiche sciamaniche”. Secondo questi riti l’uomo veniva concepito come parte dell’universo e delle sue leggi fisiche e cosmiche. Grande importanza ebbero i totem, rappresentazioni simboliche di animali reali o esseri mitici che venivano considerati come gli antenati di un insieme di famiglie (clan) o tribù (gruppi di clan).L’archeologa Betty Meggers si occupò, intorno al 1970, di studiare l’isola di Marajó, situata all’estuario del Rio delle Amazzoni e grande come la Svizzera.In quest’isola si sviluppò la fiorente cultura del popolo Marajoara (idioma Arawak), a partire dal XV secolo prima di Cristo. Furono principalmente i ritrovamenti ceramici, con disegni d’animali e piante amazzonici, che convinsero gli archeologi dell’equipe della Meggers a continuare a scavare. Presto ci si rese conto che i ritrovamenti più antichi erano i più elaborati, come se in passato fosse fiorita una cultura più complessa.Gli indigeni Marajoara non costruirono mura imponenti o monumenti megalitici come quelli di Tiawanacu o Chavin de Huantar, però la loro era una società ordinata e probabilmente governata da Cacique che avevano anche un potere spirituale. In seguito agli scavi di Betty Meggers, si trovarono delle tombe riccamente adornate che probabilmente erano destinate ai capi spirituali. Un altro ritrovamento stupefacente furono i 127 blocchi di granito posizionati in circolo nelle vicinanze di Calcoene, nell’interno dello stato di Amapá, in Brasile. Secondo l’archeologa Martina Cabral, questo monumento è da considerarsi come un osservatorio astronomico la cui età viene stimata in circa tre millenni. Probabilmente questi blocchi di pietra, alti fino a tre metri, venivano usati per calcolare i solstizi, gli equinozi e i cicli della luna per orientarsi, decidere i tempi propizi per la semina e per la divinazione.  Come si vede i ritrovamenti archeologici attuali fanno pensare ad un insieme di popoli dalla cultura avanzata che vissero però in un’Amazzonia dal clima diverso da quello attuale, meno umido. Era quello il famoso “Terzo Impero d’America”, che cercarono a lungo i “conquistadores” spagnoli? Per ora non abbiamo sufficienti informazioni per rispondere scientificamente a questa domanda. Quando il clima cambiò, intorno al sesto millennio prima di Cristo, alcuni di questi popoli migrarono verso ovest, mischiandosi con etnie di lingua Aymara e Quechua e dando inizio a raffinate culture come Tiwanacu e Chavin de Huantar. I popoli che rimasero in Amazzonia, invece, si adattarono a vivere in un ambiente sempre più umido. Non adottarono la metallurgia per mancanza di metalli e le loro società non si stratificarono, salvo forse per i Marajoara, per mancanza di una vera competizione per il cibo. L’abbondanza di risorse infatti, sia vegetali che animali, contribuì a fare di questi popoli delle società praticamente chiuse, dove si praticava poco il commercio tra varie tribù e gli avanzamenti tecnologici erano lenti. Quando i primi europei giunsero presso l’estuario del Rio delle Amazzoni, con le spedizioni di Amerigo Vespucci nel 1499 e di Vicente Yáñez Pinzon nel 1500, si trovarono di fronte a popolazioni dense, la cui economia era basata sull’agricoltura e sulla pesca. Quando poi, quarantadue anni più tardi, Francisco de Orellana percorse quasi interamente tutto il Rio delle Amazzoni, dalla confluenza con il Rio Napo fino all’estuario, venne in contatto con numerosi popoli che vivevano sulle sponde del fiume. Purtroppo i virus trasportati inconsapevolmente dagli europei (e dai loro animali), tra i quali quello del vaiolo, decimarono rapidamente questi popoli.Solo un secolo più tardi infatti, durante la spedizione del portoghese Pedro Teixeira Albernaz, il bacino amazzonico già non era più quel mondo fantastico e ancestrale popolato da numerose tribù che aveva visto Orellana, ma era solo un’enorme foresta quasi spopolata e “senza fine”, attraversata dal fiume più grande della Terra, il colossale Rio delle Amazzoni.     2007 Copyright