Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Per gli aborigeni australiani il mondo fa parte di uno stesso organismo

Per gli aborigeni australiani il mondo fa parte di uno stesso organismo

di Francesco Lamendola - 11/08/2008

 

 

 

I continenti, le montagne, le isole sono delle masse di terra con determinate caratteristiche fisiche e chimiche, formate dall'azione incessante degli agenti endogeni ed esogeni della crosta terrestre, oppure sono un insieme di storie, di pensieri, di emozioni, formate da tutti gli esseri viventi che abitarono e che abitano il nostro pianeta?

E, più in generale, la verità della scienza occidentale moderna è la verità in assoluto,  incompatibile con la verità del mito - come quella degli aborigeni australiani o di altre popolazioni cosiddette «primitive» - e fornita di una autorevolezza che esclude ogni altra forma di spiegazione e interpretazione della realtà?

Abbiamo già tentato, in varie occasioni, di rispondere a tali interrogativi, ad esempio negli articoli  Da dove viene la marea?; La montagna è un essere vivente dotato di anima e volontà?; Il pensiero mitico è diverso, non certo inferiore a quello scientifico; e L'«anarchismo metodologico» di Feyerabend per spezzare la funesta alleanza tra Stato e scienza, tutti consultabili sul sito di Arianna Editrice.

Ora che la doppia ubriacatura eurocentrica e positivistica va lentamente sbollendo, è forse possibile guardare con animo più aperto e sensibile alle mitologie dei popoli nativi - così come, del resto, a quelle del mondo antico, ormai note solo attraverso la tradizione letteraria e archeologica - e cercare di comprendere, meglio di come abbiano saputo fare i nostri predecessori, l'intimo significato del sapere mitico; nella fattispecie, quello relativo alla creazione del mondo e alla struttura delle terre e dei mari.

Al lettore attento non sfuggirà il fatto che la credenza degli aborigeni australiani circa la natura vivente del nostro pianeta presenta analogie sostanziali con l'ipotesi «Gaia» di James Lovelock, sorta nell'ambito della scienza occidentale moderna (o post-moderna), ma ribaltando alcuni paradigmi precedentemente consolidati.

 

In effetti, l'Australia è un luogo privilegiato per lo studio della mitologia di un antichissimo popolo, stanziatosi in quel continente circa 40.000 anni fa, e che è riuscito a conservare in buona parte il suo ricco patrimonio spirituale.

Le pitture rupestri di Altamira e di Lascaux non possono essere oggetto che di congetture, ma le pitture e le incisioni rupestri degli aborigeni australiani possono ancora «parlarci» e svelarci il loro retroterra cultuale, grazie al fatto che esistono, anche ai nostri giorni, delle persone che sanno leggerle e interpretarle. Perciò, se nel caso di Altamira e di Lascaux dobbiamo limitarci a una valutazione prevalentemente di tipo estetico, nel caso delle grotte e delle rupi australiane possiamo andare oltre la dimensione estetica, e addentrarci nel cuore del pensiero mitico degli autori di quelle opere.

Gli aborigeni australiani continuano tuttora a celebrare dei riti segreti nei quali si esprime la loro venerazione per i Wandjina, gli spiriti sacri tipici di questa parte del mondo (spesso raffigurati, nelle incisioni e pitture rupestri, con sconcerto degli etnologi e degli archeologi, «curiosamente» privi della bocca). Si tratta di esseri celesti che hanno origine nel Sogno, sono creatori del mondo e delle leggi che lo governano; Eroi del Cielo che non corrispondono a delle divinità, ma ad entità celesti capaci di agire in qualità di guide e compagni degli esseri umani.

Per capire cosa siano i Wandjina - come osserva lo scrittore australiano (bianco) James Cowan, che ha fatto della sua vita un impegno per penetrare nella cultura dei popoli nativi e per comunicare al pubblico occidentale le loro credenze mitiche - bisogna, innanzitutto, chiarire cosa sia, per gli aborigeni, il Sogno.

Il tempo del Sogno è un tempo che viene prima del tempo; o meglio, il Sogno esiste da prima che esista il concetto stesso del tempo.

Secondo gli aborigeni, il mondo era inizialmente privo di forma. La vita sul nostro pianeta fu il risultato di uno straordinario gesto creatore da parte degli Eroi del Cielo, che emersero da sotto terra per creare le montagne, i fiumi e tutti gli esseri viventi.

Scrive James Cowan nel suo libro Terre incontaminate (titolo originale: Messengers of the Gods, 1993; traduzione italiana di Alessandra De Vizzi, Sonzogno editore, Milano, 2000, p. 200):

 

Al termine del loro lavoro [gli Eroi del Cielo] si trasformarono in ciò che avevano creato, in modo che la terra diventasse un enorme monumento in loro onore: non era più composta semplicemente da rocce, sabbia, terriccio e minerali, ma aveva assorbito la loro presenza mitica ed eterna.

Il Sogno rappresenta un avvenimento soprannaturale avvenuto «prima del tempo» e che si verifica anche ai nostri giorni. Gli aborigeni non fanno alcuna distinzione fra il momento della creazione da parte degli Eroi del Cielo e la loro attuale presenza nel panorama fisico; molti di loro sono convinti di fare parte del Sogno, o ritengono comunque che si tratti del luogo ancestrale dove finiranno dopo la morte. La vita è un fatto ciclico, e non continuativo. Un uomo nasce in seguito a un evento visionario (un sogno), e al termine dell'esistenza terrena il suo spirito è destinato a tornare in una sporta di enorme serbatoio spirituale. La sua presenza sul pianeta rappresenta quindi u ulteriore completamento del Sogno stesso a cui partecipa.

 

Un aspetto particolarmente interessante della mitologia aborigena è quello relativo alla concezione dell'Australia - e, più in generale, del mondo (per gli aborigeni, le due cose sostanzialmente coincidono) come di un grandissimo corpo vivente, caratterizzato dal legame inscindibile fra le rocce, le piante, gli animali e gli esseri umani. Sono tutte creature del Sogno e tutte viventi di una vita cosmica interconnessa.

Come si è visto, gli spiriti Wandjina non hanno creato il mondo una volta per tutte, ma continuano a crearlo con la loro presenza; e a tale opera partecipano anche gli esseri umani, mediante la venerazione degli Eroi celesti. Esiste, quindi, una specie di anima del mondo, che è tanto più viva e tanto più capace di garantire benessere agli umani, quanto più questi ultimi sono consapevoli del legame magico esistente fra tutte le cose e del ruolo che anche ad essi incombe, di preservare l'armonia della creazione.

Scrive ancora James Cowan (Op. cit., pp. 239-241):

 

Waljali prese in mano un pezzetto di legno e tracciò sul terreno il profilo di una mappa che somigliava vagamente a quella dell'Australia.

«Forse è ora che io ti spieghi qualcosa», dichiarò.

Segnò poi sulla mappa una griglia composta da minuscoli cerchi, unita da una rete di sentieri che arrivavano fino all'oceano.

«Noi viviamo qui - mi spiegò. - la mia gente vede in questo modo il nostro continente».

«Dove sono i fiumi e le montagne?», gli chiesi, cercando di trovare qualche elemento familiare fra tutte quelle curve.

«Non contano. Per noi sono importanti le storie. Ogni singola cosa che gli Eroi del Cielo hanno creato è con noi in qualità di storia. Vedi questi cerchietti? Rappresentano una storia: le linee che li uniscono ti mostrano in quale direzione si muove…».

«Grazie a questo sistema, in qualunque angolo dell'Australia ciascun aborigeno è in grado di sapere cosa succede ovunque», osservai.

«Ed è una componente del racconto stesso, dato che ogni tribù ne conosce la parte legata al suo territorio. Mettendo insieme tutti questi pezzi hai la storia completa del nostro continente. Certo, non esiste una sola persona che la conosca tutta, ma tutti insieme la conosciamo… Ecco perché siamo fratelli», concluse Waljali.

«Per noi ciò è wunnan, che significa 'condividere le storie'.  Voi invece dite 'scambiare'. Noi scambiamo storie in tutto il paese; vediamo l'Australia come un uomo gigantesco, un corpo steso nell'oceano e attraversato dalle storie»,spiegò Bungana.

«Che cosa vuol dire?», chiesi a Waljali.

«Consideriamo l'Australia un bandaiyan, un corpo vivente - mi rispose lui. - Non si tratta soltanto di una massa di terriccio e pietre che vediamo con gli occhi, ma di qualcosa che vive e respira come noi».

«La tua nazione ha dunque braccia e gambe?».

«Certo! Il lato anteriore si chiama wadi, che vuol dire 'la parte dello stomaco'. Il continente infatti è stesso sulla schiena, come un uomo che galleggia sull'acqua. Negli abissi ci sono le sue natiche o wambalma. Le giunture delle gambe vano a unirsi con le ossa del bacino e finiscono nel lato opposto del paese».

«Nel corpo di quest'uomo vive Ungud, il Serpente Arcobaleno che fa in modo che la natura cresca nella parte esterna del suo organismo, proprio come fanno i capelli sulla testa. Noi viviamo su tutte queste cose che si sviluppano sul suo corpo, canguri, goanna, coccodrilli, pesci…», intervenne Bungana.

«Il punto qui intorno è ungnun djullu», aggiunse Wankali, sfiorandosi la caccia toracica. «Le costole attraversano il paese sopra l'ombelico, il nostro wangigit che voi chiamate Ayers Rock, e sul quale i turisti amano arrampicarsi. Questo è un nome da uomo bianco, non c'entra niente con noi».

«La parte sotto l'ombelico è wambut, cioè i genitali di un uomo», mi mostrò il suo compagno, indicando con un dito il suo stesso pube. «Quelli di una donna sono ambut. Per noi neri la testa è ulangun».

«Tutta la parte superiore dell'Australia è ulangun. Cape York, Arnhem Land, la regioni di Kimberley dove ci troviamo adesso, Bathurst Island… fa tutto parte della testa dell'uomo», esclamò Waljali.

«È così che vediamo l'Australia… Bandaiyan è un corpo enorme!».

Rimasi profondamente commosso dalla lezione di anatomia cosmica fornita dai miei amici. Gli aborigeni consideravano la terra come una storia infinita o un gigante, e vivevano quindi all'interno del loro stesso mito. La natura poetica della loro percezione rendeva difficile distinguere tra una realtà basata sulla normale osservazione e una fondata invece sul Sogno stesso. Qual era più reale, la terra antica formata dai movimenti geomorfici o quella che ha avuto origine del mito? Era più concreto il continente che discendeva dalla leggendaria terra di Gondwana o l'enorme insieme d storie che formavano la linfa vitale della sua popolazione? Anche se non potevo averne l'assoluta certezza, ero quasi certo che quest'ultima ipotesi aiutasse gli indigeni a vivere con maggiore serenità.

«In pratica mi state dicendo che ogni creatura del mondo fa parte dello stesso organismo», commentai.

«Esatto - mi confermò Waljali. - Ci siamo tutti, bianchi e neri. L'Australia è un corpo enorme pieno di storie, simili alle vene che scorrono nel braccio. Noi, tu e io, siamo come il sangue che vi fluisce dentro. Ci portiamo le storie ovunque andiamo, e senza di loro il mondo non c'è più, è finito».

Bungana avvolse con cura il suo osso Wandijna e lo ripose nella borsa a tracolla. «Devi scrivere che Wandjina è molto importante per l'intero pianeta. Dillo alla gente, in modo che tutti possano stare bene», mi raccomandò.

 

Crediamo vi sia molto da riflettere, per noi membri della civiltà tecnologica, di fronte alla visione del mondo propria degli aborigeni australiani.

Essa rispecchia un grado di saggezza, olismo e spiritualità, quali a stento si trovano nei momenti più felici della storia culturale dell'Europa antica e medievale.

Al tempo stesso, ci sembra che il senso di responsabilità individuale, derivante dalla consapevolezza del legame profondo che esiste fra tutti i viventi, compresa la cosiddetta materia inanimata (concetto estraneo alla concezione mitologica degli aborigeni) sia portatore di un messaggio ecologico ed etico di alto livello e, oggi, più che mai necessario.

Se è vero che qualcuno o qualcosa sta tentando di sottrarre l'anima della creazione (cfr. il nostro articolo Esiste un progetto consapevole per strappare l'anima del mondo?, consultabile sui siti di Edicolaweb e di Arianna Editrice), crediamo che la concezione cosmologica sottesa alla mitologia degli aborigeni possa offrirci gli strumenti concettuali per rafforzare la nostra resistenza a un simile, scellerato progetto.

 

Non solo.

La concezione cosmologica degli aborigeni presenta affinità con quelle della teosofia e dell'antroposofia; e, prima ancora, con quelle dell'antica civiltà indiana.

L'idea che tutti i viventi siano protagonisti solidali  di una creazione che si protrae nel tempo, e che è legata ai pensieri e ai sentimenti di tutti coloro che vivono o che vissero prima di noi, richiama il concetto esoterico dell'Akasha, del quale ci siamo altrove, ripetutamente, occupati.

Un seguace dei nostri giorni delle dottrine di Rudolf Steiner, l'olandese Kees Zoeterman, nel suo libro Gaiasofia (titolo originale: Gaiasofie, 1989; traduzione italiana di Rita Venturelli e Tommaso Latis, Filadelfia editore, Milano, 1994, pp. 51-52), osserva in proposito:

 

La cronaca dell'Akasha sta sul confine del mondo fisico e conserva l'essenza spirituale di ogni cosa concepita nel mondo da esseri coscienti   sotto forma di immagini. Steiner nel suo libro Cronaca dell'Akasha scrive che l'iniziato impara a capire  il carattere eterno degli eventi che sono accaduti  grazie a un intensificarsi della sua capacità di memoria. Gli eventi si presentano di fronte a lui non come morti testimoni della storia, ma  pieni di vita. Chiunque p iniziato a leggere questa speciale scrittura  vivente può vedere molto più indietro  nel passato di quanto è stato registrato nella storia. Inoltre egli afferma che anche nelle percezioni spirituali ci possono essere errori ed inesattezze. Per questa ragione  non ci si deve stupire se le teorie di diverse scuole occulte, pr u coincidendo nella sostanza, non sempre coincidono completamente. Così nella Cronaca dell'Akashsa l'iniziato può sperimentare interiormente la storia,  fino alla più lontana era preistorica, in tutti i suoi aspetti ed emozioni. Tuttavia, poiché l'esperienza non è percepita attraverso i sensi fisici normali, è molto difficile esprimerla con il linguaggio. Messaggi provenienti da un regno senza spazio  e senza tempo devono essere espressi  con termini relativi alle dimensioni spaziali e temporali.  Quando ci scontriamo con queste differenze tra il nostro mondo fisico e il il mondo dall'altra parte del muro, dobbiamo confrontarci (…) con la difficoltà relativa alla terminologia usata per descrivere quell'altra parte della realtà. Per quanto ardua, questa difficoltà deve essere pazientemente affrontata.

 

In altri termini: se l'insieme del mondo, che noi definiamo «fisico», è in realtà la risultante della vita spirituale passata, presente e futura di tutti gli elementi che ne fanno parte, perché questo complesso di eventi, pensieri ed emozioni non dovrebbe lasciare traccia di sé, ad ogni singolo istante, in una sorta di super-archivio che tutto custodisce e tutto preserva?

Anche da questo punto di vista, vivere la consapevolezza del nostro legame olistico con il Tutto,  significa collaborare a mantenere chiara e leggibile la scrittura  di questa registrazione cosmica; e, dunque, in ultima analisi, a mantenere saldi i legami fra tutto ciò che esiste, sotto forma di materia o di energia, nel tempo che noi - immersi nella contingenza - chiamiamo passato, presente e futuro, ma che è soltanto il tempo della creazione,  il tempo del Sogno.