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La desacralizzazione del mondo operata dallo scientismo è iniziata con la Riforma protestante

di Francesco Lamendola - 11/08/2008

 

 

 

 

Rupert Sheldrake, biochimico e filosofico, esperto di biologia cellulare e di flora del Sud.est asiatico, è considerato un pioniere della New Science, la quale, partendo dall'ambito anglosassone, sta ripensando profondamente i postulati razionalisti e materialistici lasciati in eredità dalla scienza galileiana e cartesiana.

Una delle tesi più interessanti del suoi libro-manifesto La rinascita della natura (titolo originale: The Rebirth of Nature, New York-London, 1991; traduzione italiana di Laura Pignatti, Casa editrice Corbaccio, Milano, 1993), è che la desacralizzazione del mondo, la riduzione della natura a puro meccanismo inanimato, non è stata operata, quasi all'improvviso, dai fondatori della cosiddetta Rivoluzione scientifica del XVII secolo - come comunemente si afferma -, ma è stata preparata da un millenario  processo che, iniziato con l'affermazione del giudaismo in Palestina e, poi, con quella del cristianesimo in Europa, è culminata nella Riforma protestante, nella sua versione calvinista non meno che in quella luterana.

A giudizio di Shedrake, infatti, il cristianesimo aveva conservato, per più di mille anni, molti aspetti della precedente concezione pagana (così come aveva fatto il giudaismo con le religioni dei Cananei, Filistei, ecc.), basata sull'idea di una natura animata e di una terra che, attraverso particolari luoghi, tempi e modi, poteva fornire una comunicazione diretta fra l'aldiqua e l'Aldilà;  tradizione che prosegue ininterrotta, dalla «scala di Giacobbe» fino alla grotta di Lourdes (o, aggiungiamo noi, alla montagna di Medjugorje).

La stessa Vergine Maria è venuta assorbendo una serie di caratteristiche delle precedenti divinità femminili, in particolare della Magna Mater; e non è forse una mera coincidenza il fatto, messo acutamente in rilievo da Sheldrake, che la città ove un concilio ecumenico stabilì (nel 431 d. C.) la formula della Vergine come Theotokos, ossia «Madre di Dio», fosse la stessa che aveva ospitato, fino a poco tempo prima, il più grande santuario dedicato a una delle principali divinità femminili del mondo pagano, Artemide.

Aggiungiamo che la venerazione di numerose Madonne nere, in diverse parti dell'antico Impero Romano, e anche in Italia, va nella stessa direzione, ossia sembra confermare che elementi cultuali delle divinità femminili pagane sono entrati, insensibilmente, a far parte dell'immagine devozionale di Maria Vergine; cosa che non deve destare affatto scandalo, essendo ben noti, ormai, agli antropologi i meccanismi di mescolanza sincretistica che si mettono in opera quando una nuova religione soppianta una religione  - o, come nel nostro caso, un gruppo di religioni - più antiche. E la stessa cosa si può dire circa il fatto che il culto mariano si è solidamente instaurato in una serie di luoghi ben precisi, i quali sono divenuti sacri in se stessi, a causa delle apparizioni della Vergine, della comparsa di fonti ritenute miracolose, delle guarigioni di malati che tuttora vi avrebbero luogo.

Un altro aspetto della sopravvivenza di forme di religiosità pagana legate al culto della terra è rintracciabile in vari aspetti del cristianesimo delle origini, particolarmente nei paesi celtici e, più di tutti, in Irlanda. Ma anche restando nell'ambito dei paesi cattolici odierni, chi non conosce il culto delle numerosissime edicole sacre costruite sui rami degli alberi, prosecuzione diretta - ancorché inconsapevole - del culto degli «alberi sacri» nelle varie religioni pre-cristiane?

Il culto dei santi, degli angeli, e il suo corrispettivo «infero», ossia la credenza e il timore di Satana e dei demoni, si può anch'esso considerare come una ripresa e una rielaborazione di antiche credenze pagane, anche se - ovviamente - collocate in una diversa prospettiva e partendo da presupposti profondamente diversi.

L'idea fondamentale, comunque, che sta alla base tanto del culto dei santi, quanto dell'angelologia e della demonologia cristiana, è che, pur esistendo una differenza ontologica fra Creatore e creature, che si traduce in una radicale alterità del primo rispetto alle seconde, e in una sua assoluta trascendenza, esistono tuttavia delle creature spirituali invisibili all'uomo ed esiste, per l'uomo stesso, la possibilità di accedere, già in questa vita terrena, a un livello di esistenza purificata che, di fatto, costituisce già un oltrepassamento del limite antropologico e una prefigurazione della condizione celeste.

 

La vera cesura fra una visione del cosmo come di una realtà vivente, attraversata da forze spirituali, ed una che lo riduce a un insieme di corpi inerti e inanimati, mossi secondo leggi matematiche perfettamente misurabili, non si opera tanto con la Rivoluzione scientifica, che pure porterà questo processo verso le sue estreme conseguenze, e neppure col Rinascimento, ancora pervaso dalla fede in un universo vivo e animato; bensì con la Riforma protestante e con la sua furia iconoclasta,  motivata dal desiderio di «purificare» radicalmente il cristianesimo.

Questo aspetto è stato efficacemente messo a fuoco da Rupert Sheldrake, che vi ha dedicato alcune delle pagine più convincenti del suo saggio La rinascita della natura, di cui riportiamo alcuni passi centrali  (cit., pp. 26-35, passim).

 

Al giorno d'oggi viviamo in un mondo quasi del tutto desacralizzato. (…)

Dal punto di vista convenzionale moderno i nostri antenati, come i popoli primitivi di tutto il modo, non erano in grado di vedere la natura per quello che è - un sistema fisico inanimato e privo di un fine - perché proiettavano su di essa le speranze, le paure e i sogni. Erano vittime di un patetico inganno e attribuivano a oggetti inanimati le caratteristiche delle creature viventi. Riempirono il loro mondo di dei e dee, spiriti, anime e forze sovrumane, attribuirono significati mistici a luoghi e momenti particolari in base a residui primitivi di animismo e superstizione. Ma grazie ai progressi della scienza e all'affermarsi della ragione, ora sappiamo che la natura non può essere influenzata da magie e incantesimi, rituali ed elaborati cerimoniali; è invece governata  da leggi impersonalo che si applicano in modo uniforme in tutti i momenti e in tutti i luoghi Molte cose accadono anche per caso, ma tali eventi casuali non hanno nulla a che fare con l'attività di spiriti o con interventi divini. La magia e le forze mistiche non ci danno alcun potere sulla natura e non possiamo sperare nei miracoli. Possiamo invece ottenere un sempre maggiore predominio su di essa attraverso la scienza e la tecnologia.

Tali note opinioni - le dottrine dell'umanesimo laico - sono strettamente collegate alla teoria meccanicistica della natura che ha dominato il pensiero scientifico sin dal secolo XVI. Il processo di indebolimento della sacralità della natura iniziò tuttavia molto prima. Era già in atto nell'Europa settentrionale in seguito alla Riforma protestante del secolo XVI.  Questa rivoluzione religiosa servì non soltanto a spianare il cammino allo sviluppo della scienza moderna, ma assicurò anche un ambiente favorevole alla diffusione della tecnologia e a un più rapido sviluppo economico. I valori tradizionali religiosi e simbolici  attribuito a luoghi, piante e animali particolari, furono sostituiti da valori monetari. Questo conflitto è visibile nell'atteggiamento che alcuni popoli primitivi assumono nel tentativo - solitamente vano - di evitare che i loro luoghi sacri vengano occupati da attività minerarie e altre forme di sviluppo economico, e, per restare più vicini al nostro mondo, nei continui conflitti tra conservazionisti e progressisti.

La Riforma portò a un restringimento del mondo spirituale e a un allontanamento dello spirito dagli eventi naturali. La sfera dello spirito fu limitata agli esseri umani; il resto del mondo naturale venne a fungere da semplice sfondo davanti al quale si svolge la commedia umana. L'umanesimo laico moderno  ovviamente non crede più nella vita ultraterrena, ma molte sue caratteristiche derivano dalla tradizione protestante, ivi compreso l'atteggiamento nei confronti della natura.

Nonostante ciò, in molti di noi permane una vaga sensazione di sacralità della naura, una sorta di nostalgia inespressa. Il diffuso desiderio di ritornare alla natura, la necessità di cercare ispirazione in campagna o nei luoghi selvaggi, deriva proprio da questa residua sacralità. Nelle società primitive i luoghi e i tempi sacri  vengono riconosciuti in forma collettiva, e con essi  una cornice mitica che li arricchisce di significato. Ma la vita laica moderna si è lasciata alle spalle simili credenze: privati delle forme di espressione religiose, questi sentimenti si riducono ora a esperienze individuali.  Sono «esclusivamente soggettivi»nel senso che non trovano alcun riscontro nel mondo inanimato delle teorie scientifiche; né possono essere riconosciuti in forma collettiva  attraverso cerimonie e riti adeguati.  Si possono definire «poetici», «romantici», «estetici» o «mistici». Ma come tali possono far arte soltanto della nostra vita privata.

Nei luoghi sacri lo spirituale e il fisico vengono percepiti insieme. I luoghi sacri sono varchi tra i cieli e la terra, o tra la superficie della terra e il mondo degli inferi; sono luoghi in cui diversi piani o livelli di esperienza si incontrano.(…)

Le religioni paleocristiane in Europa, come quelle paleoebraiche in Palestina, erano politeistiche; comprendevano una serie di cerimonie e rituali stagionali e riconoscevano molti luoghi sacri, ivi inclusi alberi, pozzi, boschi, pietre, megaliti, montagne e fiumi. Durante le conversione dell'Europa dal culto delle antiche divinità, molti de luoghi sacri tradizionali e delle cerimonie legate alle stagioni vennero inglobati nella religione cristiana. Tale assorbimenti di elementi arcaici religiosi nella religione cristiana risulta evidente a tutt'oggi nei paesi cristiani cattolici e ortodossi. Si pensi, per esempio, ai pozzi e alle fonti sacre in Irlanda o alla montagna sacra Croagh Patrick, che è un importante luogo di pellegrinaggi.

In alcuni casi la cristianità viene considerata come sviluppo o apogeo della religione antica; nella chiesa celtica in Irlanda e Gran Bretagna, per esempio, molti dei prii santi sembrano costituire un armonioso amalgama tra il passato druidico e la nuova religione. (…)

Non c'è dubbio che di pari passo con la diffusione del culto di Maria vi sia stata l'assimilazione di diversi elementi dei culti di dee paleocristiane. Il Concilio del secolo V durante il quel fu ufficialmente proclamata Madre di Dio, ebbe luogo a Efeso - antico luogo di culto di divinità femminili - soltanto qualche decennio dopo la soppressione del tempio di Artemide. Maria è la Regina dei Cieli, un titolo ereditato da Astarte-Astoreth, simbolizzata dal manto azzurro cosparso di stelle; è lunare come Artemide, e spesso viene raffigurata in piedi su uno spicchio di luna; è nata nel Mediterraneo; e in quanto Vergine, Madre di Dio, è erede dell'antica tradizione della Madre originaria. Possiede inoltre alcune caratteristiche della Terra Madre, non ultimo il fatto che i suoi luoghi di culto si trovino in caverne, grotte e cripte; inoltre è la protettrice di numerose fonti sacre. E, come la Grande Madre che dà e riprende la vita, è presente nel momento della morte. La preghiera di essere protetti da lei in quel momento conclude l'Ave Maria: «Ave Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte».

I riformisti protestanti tentarono di istituire una forma di cristianesimo puro, rifiutando le corruzioni e gli abusi della Chiesa di Roma. Contavano esclusivamente la fede e il pentimento; l'osservanza dei riti , delle festività nell'arco dell'anno, i pellegrinaggi, la devozione alla Madonna e il culto dei santi e angeli vengono tutti definiti superstizioni pagane.  Come Giovanni Calvino giustamente osservò: «Le monache si sostituirono alle vergini vestali, la Chiesa di Ognissanti al Pantheon; alle antiche cerimonie se ne sostituirono altre non molto dissimili». Condividendo il rispetto degli umanisti contemporanei nei confronti della cultura e della fedeltà alle fonti originali, i riformisti adottarono al Bibbia come testo base rifiutando molte delle successive dottrine e tradizioni della Chiesa. Ovviamente nella Bibbia non trovarono la giustificazione di pratiche venutesi a instaurare in tempi più recenti. Il potere del pontificato, la dottrina del purgatorio, i culti di Maria e dei santi, l'uso dell'iconografia  e la riverenza nei confronti dei luoghi sacri d'Europa vennero definiti usi pagani e iniziò un'orgia di distruzione.

Le immagini della Madonna, degli angeli e dei santi furono spezzate e bruciate; le vetrate policrome mandate in frantumi; i pozzi sacri e i tabernacoli lungo le strade profanati; le tombe dei santi violate  e le reliquie disperse; i pellegrinaggi furono soppressi; molti dei rituali e delle cerimonie  vennero aboliti e i monasteri e i conventi furono saccheggiati e distrutti. In alcuni casi la devastazione avvenne a opera di fanatici.

«Nessuno che veda gli iconoclasti distruggere legno e pietra  dubiterebbe che in essi si celi uno spirito che semina la morte, non la vita, e che alla prima occasione ucciderà anche gli uomini» (Martin Lutero, 1525).

In altri casi la distruzione venne portata avanti come politica sistematica.  In Inghilterra, dal 1536 al 1540, i commissari di re Enrico VIII liquidarono i monasteri confiscando i tesori e le terre e cacciando i monaci e le monache. Passarono al setaccio anche luoghi sacri importanti come St. Thomas a Canterbury e St. Hugh a Lincoln. Il mandato del re nel caso di Lincoln era molto tipico: «Garantire che i nostri amati sudditi abbiano la giusta nozione della verità eliminando ogni possibilità e superstizione» e, non meno importante, «assicurarsi che le dette reliquie, i gioielli e i preziosi  giungano sani e salvi nella Torre di Londra».

I protestanti cercavano di provocare un irreversibile cambio di atteggiamento sradicando l'idea tradizionale che la forza spirituale pervade  il mondo naturale ed è particolarmente presente nei luoghi sacri  e in certi oggetti materiali. Volevano purificare la religione, e la purificazione richiedeva che il mondo fosse disincantato.  Ogni traccia di magia, santità e forza spirituale  doveva essere cancellata dal regno della natura; il mondo spirituale veniva confinati nelle creature umane. Perfino i sacramenti cristiani vennero privati della loro forza spirituale.  I riformisti affermavano che credere che Cristo fosse realmente presente  nel pane e nel vino consacrati durante la messa era come credere che i santi fossero presenti nelle loro immagini consacrate o nel potere  dell'acqua santa, nelle sacre reliquie o nella terra consacrata. Erano tutte superstizioni, e tutte forme di idolatria.

Il mondo materiale, sostenevano i riformisti, p governato dalle leggi di Dio, e non è in grado di reagire alle cerimonie, alle invocazioni  e ai rituali umani; è spiritualmente neutro  o indifferente e non può trasmettere quindi una propria forza spirituale. Chi la pensava diversamente cadeva nell'idolatria e trasferiva la gloria di Dio al creato Non bisognava cercare, attraverso la religione, di mutare il normale andamento della natura; la natura doveva essere accettata in quanto espressione della volontà divina. Secondo l'autorevole opinione di Calvino, Dio predestinò ogni cosa dall'inizio dei tempi. E Dio può, se vuole, interrompere il corso naturale del mondo e produrre miracoli  per comunicare con gli uomini. Lo fece ai tempi antichi  per diffondere la Parola tra gl'infedeli, anche se solitamente  la sfera divina non intervenne su quella materiale.

La Riforma preparò dunque il terreno alla rivoluzione meccanicistica della scienza che si ebbe nel secolo successivo.  La natura era già priva di magia, il mondo materiale separato da quello dello spirito;  le idee che l'universo fosse soltanto una grande machina e che la sede dell'anima andasse ricercata in una piccola zona del cervello  umano collimavano bene con questa filosofia.  Ora il dominio della scienza poteva essere separato da quello della religione: la scienza si occupava di tutta la natura, incluso il corpo umano, la religione degli aspetti morali e spirituali dell'anima umana.

Benché i re Ezechia e Giosia avessero creato precedenti per la profanazione dei protestanti, gli scopi erano molto diversi. I re non avevano voluto affermare  che luoghi o templi non fossero sacri o negare l'importanza di sacrifici e festività, avevano voluto soltanto accentrare la religione ebraica nella città. Desideravano accrescere l'importanza di Gerusalemme , e in particolare del tempio come luogo sacro.  Allo stesso modo la profanazione degli antichi luoghi sacri a opera   dei missionari cattolici non voleva togliere nulla alla sacralità della terra; l'intento era piuttosto di rendere cristiani i luoghi sacri , i luoghi antichi spesso vennero infatti mantenuti.

Gli iconoclasti protestanti avevano un obiettivo diverso: non la sostituzione  di un luogo sacro con un altro, ma  l'abolizione di tutti i luoghi sacri. Nella migliore delle ipotesi ogni luogo doveva essere sacro; nella peggiore, nessuno. Vinse la peggiore. E anche se il mondo non fu sconsacrato dal fervore della fede protestante, la Riforma contribuì senz'altro a scatenare le forze che da allora continuano ad alimentare questo fenomeno.

 

L'analisi di Sheldrake prosegue, puntuale, evidenziando come la desacralizzazione della natura operata dal protestantesimo si sia accompagnata, da un lato, all'ascesa di Mammona, ossia alla divinizzazione dell'idea del guadagno e della ricchezza (e qui vengono in mente le ben note tesi di Max Weber sull'influsso dell'etica protestante sopra il nascente capitalismo); dall'altro, alla profanazione estrema verificatasi negli ultimi centocinquant'anni.

A un certo punto, infatti, le critiche dei protestanti si sono spostate dalla «corruzione» del cristianesimo operata, secondo loro, dai cattolici, al protestantesimo stesso.  Lutero e Calvino avevano insegnato che solo la Bibbia è il fondamento della religione cristiana, una Bibbia liberamente letta e interpretata. Ebbene: non potrebbe essere, la stessa devozione nei confronti della Bibbia, una forma di superstizione o di idolatria?

Se Dio è radicalmente trascendente, e ci salva esclusivamente per merito della grazia, che motivo c'è per accettare l'autorità della Bibbia? E, procedendo di radicalismo in radicalismo: che motivo c'è per credere in Dio? Non potrebbe essere Egli un fantasma creato dalla nostra immaginazione, proprio come lo erano le antiche divinità del paganesimo?

La debolezza di fondo del radicalismo protestante è la seguente: se esso critica la fede degli altri - non solo dei non cristiani, ma anche dei cattolici - sulla base di una concezione rigorosamente razionale, che vuole espungere ogni elementi di tipo «superstizioso» e «pagano» in nome di una assoluta purezza e trascendenza; come potrà poi difendere la propria fede, senza esporsi allo stesso genere di critiche? In che cosa la fede protestante è più razionale di quella cattolica, o di quelle non cristiane?

 

La protesta radicale del protestantesimo lascia perciò l'uomo padrone di un cosmo meccanico e inanimato; e il suo umanesimo diventa una glorificazione dell'uomo come signore del mondo, un mondo ove non c'è più nulla di sacro. E si è visto, osserva Sheldrake, a quali estremi ci ha portati una simile concezione: con una scienza e una tecnica che sono divenute fattori di sconvolgimento degli equilibri naturali e di gravissimo pericolo per la sopravvivenza dell'uomo stesso.

Eppure, le radici della attuale desacralizzazione del mondo partono proprio da lì, dalla Riforma protestante. Cartesio non avrebbe osato contrapporre il mondo inanimato della res extensa alla realtà umana della res cogitans sulla sola base dell'antico dualismo platonico e cristiano di corpo e spirito; ma ha potuto farlo perché il protestantesimo aveva aperto la via ad una radicale svalutazione del mondo naturale. La stessa fisica newtoniana, che pure non era in se stessa inconciliabile con una visione spirituale del mondo (Newton, come è noto, era un profondo cultore di alchimia e di teologia), venne interpretata in senso restrittivo e riduzionistico, in modo da farne la base definitiva per la concezione meccanicistica del mondo.

Aggiungiamo che Charles Darwin, colui che più di tutti ha contribuito alla desacralizzazione del mondo vivente, era un mancato pastore anglicano; e Friedrich Nietzsche, colui che ha addirittura preteso di trasmutare tutti i valori, mettendo la fedeltà alla terra al posto della religione del Cielo, era il figlio di un pastore luterano.

Molto acuto è anche il passaggio in cui Sheldrake evidenzia l'amalgama di radicalismo evangelico e di avidità capitalistica nelle origini della società moderna e, in particolare, nella genesi della cosiddetta Chiesa anglicana. Quella caratteristica preoccupazione di Enrico VIII per la liberazione dei suoi «amati sudditi» dalle catene dell'ignoranza e, al tempo stesso, per l'incameramento nel tesoro regio dei cospicui beni della Chiesa cattolica, tradisce un aspetto assolutamente peculiare della mentalità protestante, particolarmente di quella anglo-sassone. È, dietro il velo di una mal dissimulata ipocrisia, il trionfo del culto di Mammona; a conferma del fatto che, quando si abbatte una fede, ciò che ad essa fa seguito non è il vuoto, ma un'altra fede, ammantata sotto spoglie che ne dissimulano il carattere sostitutivo.

 

Condividiamo in buona parte l'analisi di Rupert Sheldrake, compresa l'alternativa alla desacralizzazione del mondo, che consiste in una concezione dell'ecologia non solo come «fare», ma anche come «essere», e nello sforzo di meglio comprendere la natura umana, «plasmata dalla tradizione e dalla memoria collettiva, legata alla Terra e ai Cieli e a tutte le forme di vita, e coscientemente aperta alla forza creativa dell'evoluzione».

Così, anche se dissentiamo da talune implicazioni della concezione di questo scienziato-filosofo - come quando, in pretto (e un po' dolciastro) stile New Age, egli sostiene che, nel nuovo Rinascimento che si sta attuando, «Dio si tinge di verde», ci sentiamo di sottoscrivere molti punti del suo ragionamento, e abbiamo trovato di particolare originalità e pregnanza le sue critiche alla concezione della natura sottesa alla Riforma protestante.

Potremmo aggiungere che, con la sistematica demitizzazione della religione operata da Bultmann e con la teologia dialettica di Karl Barth, nonché con la teologia negativa cara a pensatori come Bonhoeffer, il protestantesimo moderno si è spinto davvero molto lontano sulla strada che era implicita nell'atteggiamento di Lutero e di Calvino circa il rapporto tra uomo e Dio da un lato, e tra uomo e mondo, dall'altro. Nato come movimento di protesta e di negazione, il protestantesimo ha subito lo stesso destino di tutti i movimenti analoghi: procedendo audacemente di negazione in negazione, esso ha finto per divorare se stesso.

Ce ne siamo già occupati in alcuni precedenti lavori, ai quali rimandiamo il lettore desiderosi di un approfondimento: Rudolf Bultmann, la religione e l'immagine mitica del mondo; L'unica parola possibile su Dio, per Karl Barth, non è quella dell'uomo, ma di Dio stesso; e Il «caso» Bonhoeffer alle origini della svolta antropologica nella teologia contemporanea, tutti consultabili sul sito di Arianna Editrice; mentre, nel saggio Che cosa accadrebbe al cristianesimo se dovesse rinunciare alla storicità di Gesù?, abbiamo riflettuto sull'audace ipotesi di Eduard Schweitzer di un cristianesimo senza Gesù.