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La fede in Dio era il fondamento dell'educazione presso gli Yamana della Terra del Fuoco

di Francesco Lamendola - 18/08/2008

 

 

 

 

Nel XIX secolo, in omaggio alle filosofie materialistiche di Holbach e La Mettrie, gli studiosi di antropologia cominciarono ad andare in cerca di popoli extra europei che non avessero alcuna nozione del divino e fossero privi di ogni sensibilità religiosa; ma non riuscirono a trovarli, cosa che li costrinse ad ammettere che l'idea di Dio è una struttura originaria della cultura umana.

Eppure, per un momento, era sembrato che i loro sforzi fossero stato coronati dal successo, quando giunsero le prime relazioni dei viaggiatori europei che si erano recati nelle isole all'estremità meridionale del continente americano, ossia nell'arcipelago della Terra del Fuoco, tra lo Stretto di Magellano e il Capo Horn.

Nella parte pianeggiante dell'Isola Grande si muovevano in continuazione gli imponenti Ona, affini ai Teuhelche della Patagonia, cacciatori del guanaco; mentre nella sua parte montuosa e nelle isole minori approdavano le imbarcazioni di due gruppi etnici dediti alla pesca costiera delle foche e dei pinguini, chiamati dagli Spagnoli canoeros, perché trascorrevano gran parte della loro esistenza a bordo delle loro piroghe: gli Alakaluf a sud-ovest e gli Yamana a sud (specialmente nelle isole Hoste, Navarino e nelle altre terre a mezzogiorno del Canale Beagle). Alakaluf e Yamana (detti anche, questi ultimi, Yaghan) erano molto diversi dagli Ona della pampa: di piccola statura, con le gambe corte (forse anche per tutto il tempo che passavano sulle barche), ma con il tronco molto sviluppato e le braccia assai muscolose.

Fu proprio presso gli Yamana che si avventurarono i primi commercianti e i primi missionari europei, riportandone un'impressione estremamente negativa sia per il loro aspetto fisico e l'igiene, sia per l'intelligenza e le qualità morali. Darwin, che li vide durante il suo viaggio intorno al mondo al seguito del capitano Fitz Roy, li descrisse come degli esseri miserabili, di poco superiori alle scimmie.

Ecco le sue precise parole, nel celebre Viaggio di un naturalista intorno al mondo (traduzione di Mario Magistretti, Giunti martello editori, Firenze, 1982, pp. 244245):

 

Mentre ci dirigevamo un giorno verso la spiaggia vicina all'isola Wollaston, passammo a fianco di una canoa con sei Fuegiani. Erano le creature più abiette e miserevoli che avessi mai veduto. (…) Questi poveri infelici erano gracili e avevano tutti facce orribili dipinte di bianco, la pelle sudicia e untuosa, i capelli arruffati, le voci discordanti e gesti molto violenti. Vedendo questi uomini difficilmente si può credere che siano nostri simili e abitanti dello stesso mondo. È spesso argomento di congetture il piacere che possono provare nella vita alcuni degli animali inferiori; con quanto maggior ragione si potrebbe porsi tale domanda  riguardo a questi barbari!

 

E quel giudizio si è impresso in lettere di fuoco, contribuendo a tacitare i sensi di colpa (se mai ne ebbero) dei bianchi i quali, una volta stabilitisi in quelle terre per allevare il bestiame, vedevano gli indiani come una «peste » da estirpare il più presto possibile, con qualsiasi mezzo.

Fra le altre cose, si sparse la voce che gli Yamana erano privi di ogni nozione religiosa; anche Darwin lo credette, prendendo per buone le osservazioni molto superficiali che gli erano state riferite da alcuni Europei e, per parte sua, limitandosi a osservarli da lontano per un tempo assai limitato, senza conoscerne la lingua e senza fare alcun tentativo di penetrare nel loro mondo spirituale.

Egli scrisse testualmente (Op. cit., p. 246):

 

Il capitano Fitz Roy non poté mai accertare se i Fuegiani avessero qualche distinta credenza in una vita futura. Qualche volta essi seppelliscono i loro morti in caverne e qualche volta nelle foreste della montagna, ma non sappiamo che cerimonie vi compiano. Jemmy Buttom non voleva mangiare uccelli terrestri perché «mangiano uomini morti»; essi non nominano volentieri neppure i loro amici morti. Non abbiamo alcuna ragione di credere che essi pratichino qualche forma di culto religioso, sebbene forse il mormorio del vecchio prima di distribuire il grasso putrefatto ai suoi compagni affamati, possa essere di tale natura. Ogni famiglia o tribù ha uno stregone, o dottore degli scongiuri, il cui ufficio non potemmo mai accertare chiaramente.

 

A quanto pare, ad onta della montagna di «non sappiamo» e «non abbiamo potuto accertare», il grande scienziato non si perita di formulare giudizi piuttosto drastici, contraddicendosi vistosamente: se gli indiani seppellivano i loro morti e se le parole pronunciate da un anziano prima di distribuire il cibo potevano essere una preghiera, che cosa lo autorizzava a dire che non esistevano ragioni per crederli religiosi?

Fu solo dopo gli studi sul campo di due antropologi tedeschi, i padri Wilhelm Koppers e Martin Gusinde, fra il 1918 e il 1924, che questa credenza venne completamente sfatata. Gli Yamana erano già in via di estinzione e furono proprio alcuni membri anziani del gruppo a rivelare ai due studiosi, che se ne erano conquistata la fiducia, le idee religiose del loro popolo, le quali, altrimenti, sarebbero andate perdute per sempre.

Risultò in tal modo  che gli Yamana credevano all'esistenza di un Essere Supremo, creatore dell'universo, padrone e signore di tutte le cose, chiamato Wataineuwa; che possedevano un ricco patrimonio orale di lamenti, domande, ringraziamenti, espressioni religiose; che credevano nell'esistenza dell'anima umana e nella sua immortalità; che avevano elaborato un sistema di norme morali elevato ed efficace, dal momento che l'omicidio e il furto erano rarissimi e anche l'adulterio non frequente, pur mancando uno specifico sistema repressivo; che l'educazione dei bambini era ispirata a nobili principi, tali da fare invidia ai così detti «popoli civili».

Risultò inoltre che avevano una chiara nozione dell'anima individuale e della sua sopravvivenza dopo la morte del corpo; e che tali idee (con gran disappunto dei filosofi materialisti di allora e, crediamo, anche di oggi, come Umberto Galimberti, il quale sostiene che l'anima immortale fu una «invenzione» dei cristiani, ben quattro secoli dopo Gesù, e specialmente di Sant'Agostino) non erano affatto una rielaborazione dell'insegnamento dei primi missionari protestanti e cattolici, ma appartenevano ab antiquo al loro patrimonio religioso.

Caratteristica è la ragione per la quale un così ricco patrimonio spirituale era rimasto totalmente celato agli Europei, anche dopo che diversi missionari cristiani si erano stabiliti tra loro per convertirli e «civilizzarli».

Scrive in proposito Renato Boccassino su La religione dei primitivi (in Storia delle religioni di p. Tacchi-Venturi, U.T.E.T., Torino, 1944, vol. 1, pp. 75-76):

 

Poiché gli abitanti della Terra del Fuoco furono ritenuti per lungo tempo popoli senza religione, s'imponeva la necessità d'indagare con ogni rigore se Watauinewa non fosse dovuto ad un influsso cristiano. Il Koppers dichiara: «Di questo ci siamo sincerati con cura particolare. Domandammo anzi tutto alle persone: - Già prima avevate tale concetto -, oppure - vi è stato comunicato dalle missioni cristiane? -. Risposero: - Non abbiamo imparato ciò dalle missioni, ma vi abbiamo sempre creduto -».

L'asserzione degli indigeni non sarebbe stata però sufficiente. Il Koppers e il Gusinde portarono i loro risultati a un vecchio missionario anglicano, J. Lawrence, l'unico superstite dei vecchi missionari, il quale si mostrò dapprima molto scettico:  «Può darsi: ora però si tratta di vedere se ci troviamo di fronte a una credenza originaria o a una importazione cristiana. Ella conosce a perfezione la lingua degli Yamana; esaminiamo dunque insieme i nomi dell'Essere supremo e le preghiere».

Dopo un primo esame il missionario dichiarò che tanto i nomi dell'Essere supremo quanto le preghiere non erano presi da lingue straniere, e concluse: «Se i concetti fossero stati presi da missionari cristiani, anche le denominazioni dovrebbero tradire  la stessa origine». Il missionario invece scoprì  che proprio nelle preghiere e nelle invocazioni si riscontravano parole  e costrutti non più usati nel linguaggio corrente. «Anche la liturgia degli Yamana è conservatrice!». Colpito dalla scoperta, il vecchio missionario interrogò per conto suo gli indigeni su Watauinewa, e giunse allo stesso risultato: gli Yamana hanno un concetto relativamente chiaro e preciso di un solo Dio al quale credono.

Dopo questi accertamenti il Koppers e il Gusinde domandarono ai vecchi indiani: «Perché non avete detto queste cose prima ai missionari?». Le risposte furono molto istruttive: «I missionari non ci hanno domandato nulla di ciò. E se non ci domandavano nulla non avevamo l'occasione di parlare loro di Watauinewa». Oppure: «Appena i missionari cominciavano a parlare con noi di tali cose, immediatamente avvertivamo che essi pensavano: - Le vostre credenze non sono che falsità, dovete abbandonarle -. E ciò ci causava davvero grande dolore; poiché quando i missionari ci parlavano del Dio dei cristiani, subito sentivamo ch'era la stessa cosa col nostro Watauinewa!».

 

Martin Gusinde, etnologo e studioso delle religioni, molto conosciuto in ambito internazionale negli ambienti specializzati per le sue ricerche, ha fornito un contributo notevole alla soluzione del problema relativo alla genesi della religione e della morale presso vari popoli, tra i quali i pigmei dell'Africa centrale e alcune remote popolazioni della Nuova Guinea, oltre agli Yamana della Terra del Fuoco.

Il suo libro Urmenschen im Feuerlamnd (Paul Zsolnay Verlag, Berlino-Vienna-Lipsia, 1946) è una vera miniera di notizie e di preziose informazioni, che attestano la sua scrupolosità e accuratezza di scienziato; e la stessa cosa si può dire per il volume Der Urmenschen und sein Weltbild (traduzione italiana: L'uomo primitivo e il suo mondo, Vita e pensiero, Milano, 1953) del suo collega Wilhelm Koppers.

Il libro di Gusinde, in particolare, mette in evidenza l'importanza della religione degli Yamana quale fondamento dell'educazione dei bambini e dei giovani, ed è su questo aspetto che desideriamo soffermare la nostra attenzione.

Dopo aver sottolineato l'importanza del matrimonio e della prole nella società indiana, e di come la nascita dei figli fosse considerata una benedizione, nonostante le difficili condizioni di vita di quel popolo (ahimé, dobbiamo usare il verbo al passato, perché tutti i fueghini, di qualunque etnia, sono ormai definitivamente estinti), e di come il neonato ricevesse le più tenere cure, e il bambino, crescendo, fosse oggetto di una educazione esemplare, Gusinde scriveva (Op. cit., pp. 255-56 e 288-90; traduzione in: Hubert Muschalek, Dio e gli scienziati, Edizioni Paoline, Alba, 1969, pp. 167-170):

 

È  degno di nota che nella Terra del Fuoco i genitori fanno derivare il loro dovere di educare figli anche da un preciso incarico  dell'Essere Supremo, l'unica divinità che venerano. Per un popolo primitivo del tipo di questi abitatori della Terra del Fuoco non c'è forza più grande che li sostenga nel loro sforzo educativo della convalidazione da parte del Dio Creatore!  Oltre ai genitori, ogni adulto è tenuto a promuovere l'educazione di tutti i bambini, naturalmente con differente responsabilità. In realtà i singoli non tralasciano di farlo; per lo meno si sforzano di dare l'esempio con un comportamento irreprensibile. Il padre si dedica quasi esclusivamente al figlio mentre la madre rivolge tutte le sue attenzioni ala figlia. Ogni bambino riceve l'istruzione adatta all'età e alle disposizioni del carattere.

Fra tutte le virtù insistentemente coltivate, la prima è il rispetto di ciò che è buono e antico, cioè la tradizione, il costume della stirpe e le usanze vigenti; ma anche dei rappresentanti di tutto ciò, i membri anziani e venerabili. Di conseguenza per i bambini è naturale la sottomissione e la puntuale obbedienza. Non meno onorati sono la disponibilità ad aiutare gli altri e l'altruismo.  Sobrietà e parsimonia nelle parole sono il miglior consiglio; così anche l'operosità e la diligenza per servire vantaggiosamente i membri della famiglia. Lo spirito conciliativo nel trattare con gli altri rende ognuno molto amabile. A tali insegnamenti impartiti con eccellente metodo, gli adulti affiancano un'introduzione precisa e paziente all'abilità e destrezza in quei lavori e occupazioni che incombono ad ogni donna o uomo come professione. Il padre compie con il figlio regolari esercizi nell'uso delle armi; anche la ragazza deve perfezionarsi, sotto la guida della madre, nei molteplici compiti femminili. Questo lavoro educativo porta dei risultati positivi e si è dimostrato buono nell'uso secolare di strumenti e metodi sperimentati. Ciò che serve alla formazione dei giovani indiani rivela una straordinaria ricchezza di solida saggezza di vita di cui dispongono da tempo incalcolabile i misconosciuti uomini primitivi della Terra del Fuoco e che solo ora è accessibile a noi europei. (…)

Il lettore mi chiederà ora meravigliato: da dove una tale profondità di contenuto e tale cristallina purezza di principi, da dove la non irrilevante riserva di energie e la volontà decisa ad adempiere alle molteplici e più ampie esigenze? Ebbene, tutto ciò scaturisce dalla fede religiosa dei nostri uomini primitivi della Terra del Fuoco. Per quanto semplice, rappresenta indiscutibilmente la forma più alta di religione, il monoteismo - che sarà ulteriormente illustrata più avanti; e poiché è una fede viva, essa rende capaci i nostri indiani di agore moralmente e li aiuta nelle realizzazione dei più alti scopi educativi. Come promotore del particolareggiato cerimoniale della consacrazione giovanile riconoscono e chiamano il loro Hidabuan (= mio padre), il puro Grande Spirito, che sempre è, come l'unico potente.  Da lui derivano tutte le usanze e forme di vita vigenti, le leggi e gli obblighi; egli vigila sulla loro osservanza e punisce le mancanze con malattie o con morte precoce. Da lui derivano la vita e il benessere, la salute e ogni successo, il tempo sia buono che cattivo. Questo Grande Spirito è vivo nella coscienza dei nostri Yamana, ed ognuno si sente impegnato dalle sue esigenze. Che meraviglia, dunque, se anche tutta l'educazione giovanile è vivificata e sorretta da questa attiva fede in Dio; e poiché essa è un'educazione religiosa, si spiegano così i suoi successi sicuri ed eccellenti. Questi uomini primitivi del capo Horn hanno compreso - e agiscono in conseguenza - che senza una fede in Dio viva ed efficace, manca il fondamento morale all'azione educatrice della gioventù.

«Molto chiaramente ci annunciarono gli antichi: - Tutto ciò che si compie in queste cerimonie non è invenzione degli Yamana, non è invenzione degli Yamana, ciò deriva da Watauinewa (= nome dell'Essere Supremo). Egli in persona ha fatto sapere ai nostri antenati come dovevamo celebrare la consacrazione della gioventù. Noi ci attenemmo esattamente a ciò, poiché egli osserva attentamente! - Poi ci ammonirono ad adempiere  fedelmente al dovere e dissero ad ogni candidato: - Osserva fedelmente i nostri consigli. Watauinewa desidera così. Egli vede esattamente se tu ti attieni ad essi! - A chi dimentica il dovere si minaccia come punizione una morte precoce: - Colui che sta lassù ti osserva, fannullone, e ti farà morire!- Ad un ragazzo dal carattere mediocre, che ricevette insieme a me la consacrazione, il nostro superiore preoccupato, impresse nella memoria: - Se per caso tu in seguito ti sottrarrai alle prescrizioni che qui ti abbiamo dato, noi non te lo impediremo; tu sei infatti maggiorenne e autonomo. Si lascia a te personalmente di attenerti o o alle nostre indicazioni quando sei solo. Ma non ti mettere in testa che se commetti mancanze ne uscirai sano e salvo. Watauinewa stesso ti osserva e ti punirà con la morte precoce. Se non ti prende subito personalmente, farà morire i tuoi figli e allora resterai solo! - Senza dubbio i vecchi trasmettono ai candidati nelle consacrazioni giovanili un vivo timor di Dio, che influisce per tutta la vita seguente».

I giovani naturalmente apprendono le cognizioni fondamentali riguardo all'Essere Supremo non solo in occasione dei riti della pubertà; già nell'ambito della loro famiglia hanno sentito spesso il suo nome e ne sono venuti a conoscere in molteplici occasioni la personalità. La fede in Dio è presso gli Yamana una faccenda pubblica da cui non si escludono assolutamente i bambini.

Per comprendere a pieno l'efficacia degli sforzi educativi dei nostri indiani della Terra del Fuoco, si noti che presso di loro non ci sono né polizia né tribunale né capitani né autorità punitive. La vita in comune degli sposi appare armoniosa, i giovani si comportano con gran riverenza verso i membri anziani della stirpe, la vita comunitaria scorre ordinata ed è determinata dalla sincera benevolenza dell'uno verso l'altro. Qua e là, certo, può accadere un adulterio, ma assai di rado un furto o un omicidio. Chi tuttavia è incline a queste o a simili mancanze, deve, presto o tardi, mutare il suo comportamento; altrimenti la comunità lo allontana in totale prescrizione.

 

Non vogliamo, a questo punto, rispolverare il logoro mito illuminista del «buon selvaggio», ma riflettere sulla solidità di un sistema educativo che affonda le sue radici in una salda e viva fede religiosa, niente affatto mummificata in un insieme di riti e formule consunti, ma sinceramente vissuta da una intera comunità sociale.

Proprio questo, ci sembra, è il maggiore elemento di debolezza del sistema educativo proprio della modernità (accompagnato da molti altri, che qui non è però il caso di discutere): la sua radicale separazione dalla sfera del religioso, ridotta - quest'ultima - a una faccenda privata, che non ha nulla a che fare con l'educazione dei bambini e dei giovani.

Abbiamo già avuto occasione di sostenere che una chiara visione del mondo e di se stessi è un requisito indispensabile per volgere correttamente il timone nel corso di quella navigazione, spesso perigliosa, quasi sempre ambigua, che è l'esistenza umana (cfr., in particolare, Per poter scegliere se stessi occorre prima sapersi riconoscere; e Per essere persone e non pecore nel gregge è necessaria una visione unificatrice della vita, sempre sul sito di Arianna Editrice). Ora, è chiaro che lo stesso concetto vale, a fortiori, per la sfera attinente l'educazione.

Educare vuol dire prendersi cura della formazione spirituale del bambino, prima ancora che di quella operativa e intellettuale. I genitori della tribù Yamana e, in generale, tutti gli adulti delle singole comunità, sapevano bene che insegnare alle bambine a cucire o a raccogliere i mitili (la pesca era riservata alle sole donne), o ai bambini a costruire un arco o tendere trappole, non era certo più importante che insegnare loro i precetti di Watauinewa, le regole del buon vivere in armonia col prossimo, il rispetto degli anziani. Essi, cioè, sapevano bene che una salda educazione morale, basata sui precetti e sulle eventuali sanzioni dell'Essere supremo, costituisce la miglior base per guidare i giovani a divenire membri del gruppo a pieno titolo, attraverso il possesso di determinate abilità manuali e di nozioni di ordine pratico.

Si direbbe che la società occidentale moderna abbia smarrito completamente questa fondamentale intuizione, concentrata com'è ad imbottire la mente dei giovani di una grande quantità di nozioni più o meno astratte e di capacità manuali più o meno «spendibili» (orribile neologismo, entrato purtroppo nell'uso scolastico) nella vita di ogni giorno, ma sostanzialmente dimentica dell'importanza di un elemento unificatore di natura spirituale.

Di più: a dispetto della sua frenesia per l'agire e per il produrre, la società occidentale moderna ha abdicato al proprio ruolo educativo nei confronti delle giovani generazioni, delegandolo ad agenzie formative, ciascuna delle quali persegue un proprio disegno circoscritto, ma nessuna - famiglia compresa - sembra capace di agire efficacemente, essendo state tutte scavalcate dalla potenza della tecnologia. Oggi la televisione, il computer e il telefonino cellulare, con i suoi molteplici usi, esercitano la funzione che dovrebbe essere svolta dalle agenzie educative tradizionali, la famiglia prima di tutte.

Ciò viene spesso letto come un effetto della tecnicizzazione della società, mentre è vero piuttosto il contrario, ossia che ne è la causa. Il fatto che la tecnologia si è sostituita all'educazione deriva dalla circostanza che la società odierna ha smarrito la visione dell'unità della persona, anzi,  dell'idea stessa della persona. Non si vede più nel bambino una persona in formazione, bensì una somma disorganica di potenziali attitudini, prive di un elementi unificatore - a meno che si voglia considerare tale l'edonismo più sfrenato; per cui ci si ingegna di insegnargli il calcio, il pianoforte, la danza, la chimica e magari il latino e il greco, ma non ci si preoccupa di coltivare la sua unità coscienziale e la sua armonia complessiva.

Se a tutto ciò si aggiunge il fatto che la lontananza, fisica o psicologica, dei genitori, apre la strada a quel pessimo surrogato dell'educazione che è offerto dalla tecnologia, anche nelle sue versioni «ludiche» (ad es. i videogiochi elettronici), non ci si dovrebbe meravigliare poi troppo se le  generazioni di nuovi adulti presentano una caratteristica disarmonia interiore, derivante dalla sproporzione tra ciò che essi sanno e ciò che sentono, tra la sfera della vita pratica e ordinaria e quella della vita affettiva e morale.

Possono essere, cioè, dei buoni «tecnici», nel senso più ampio della parola (anche un direttore d'orchestra è, in un certo senso, un tecnico), ma troppo spesso si rivelano inadeguati sul piano umano: come colleghi di lavoro, come amici, come amanti, come coniugi, come genitori, come - appunto - educatori. E questa inadeguatezza vien fuori continuamente, ed è sotto gli occhi di tutti; ma, si direbbe, la società stenta a riflettere su di essa, ossia a trovare quel minimo di coraggio per interrogarsi seriamente sulle sue cause profonde.

Quando, ad esempio, un famoso campione sportivo viene colto in flagrante uso di sostanze proibite,  per migliorare le sue prestazioni atletiche, e non sa trovare nemmeno una parola di scuse nei confronti dei suoi tifosi, nonché della società in generale, per il pessimo esempio che egli ha dato, in quanto personaggio pubblico, alle giovani generazioni, siamo in presenza di questa caratteristica inadeguatezza umana. E questo è solo uno degli infiniti episodi che potremmo citare a conferma di quanto abbiamo sostenuto.

La conclusione è che lo studio delle società tradizionali può aiutarci a riflettere e a interrogarci in profondità su quei presupposti spirituali (e, per chi ci crede, religiosi), senza i quali il fatto educativo decade a mera techne, a semplice addestramento all'acquisizione di questa o quella specifica abilità, ma perde di vista l'essenziale: ossia la ricchezza, la complessità e l'unità fondamentale della persona umana.