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Riconciliarsi con un luogo è più facile che riconciliarsi con una persona?

di Francesco Lamendola - 18/08/2008

 

  

Riconciliarsi è, notoriamente, un'arte difficile, perché è più facile strappare che ricucire, mandare in pezzo che ricomporre.

Ora, davanti alla parola riconciliazione, il pensiero corre istintivamente alle persone con le quali abbiamo rotto i rapporti, ma con le quali potremmo, forse - beninteso, se lo volessimo fortemente - giungere a un chiarimento e tornare ad instaurare relazioni amichevoli o, per lo meno, di civile convivenza. E questo è, senza dubbio, il caso tipico della riconciliazione: quello fra esseri umani che sono entrati in conflitto e che vorrebbero sanare le reciproche ferite e giungere, se possibile, a una qualche forma di accomodamento.

Caso tipico, ma non unico: perché si può pensare anche ad altre forme di riconciliazione.

In breve, ve ne sono almeno altre tre, delle quali poco si parla e poco si ragiona:

a)      la riconciliazione con se stessi;

b)      la riconciliazione con Dio (questo, per i credenti, non è affatto un concetto nuovo, anche se nuova (e più giusta) è la terminologia; un tempo si parlava del sacramento della confessione;

c)      la riconciliazione con un determinato luogo che, nell'economia della nostra vita, ha svolto - o svolge tuttora - una funzione rilevante.

Del primo di questi tre casi, abbiamo già avuto occasione di ragionare in altre sedi, ad esempio nell'articolo Per poter rispondere alla «chiamata» bisogna anche sapersi perdonare (consultabile  sul sito di Arianna Editrice).

Anche del secondo ci siamo spesso occupati, sia pure- incidentalmente e non affrontando la questione in termini esplicitamente religiosi; in particolare, negli articoli: Possiamo contare solo su noi stessi per realizzare l'oltre-uomo?, e Voltar  le  spalle  alla  grazia: il  peccato  d'origine  della  modernità (anch'essi consultabili sul sito di Arianna).

Proveremo invece, questa volta, a riflettere sul terzo caso, quello riguardante la eventuale riconciliazione di un essere umano con un determinato luogo, o con più luoghi, i quali esercitino (o abbiano esercitato) una parte importante nel suo vissuto.

 

Cominceremo dal fatto che un luogo non è mai neutro nei nostri confronti, e ciò per almeno due buone ragioni (ma forse anche per altre, che per ora non vogliamo approfondire): l'una, per così dire, oggettiva, e l'altra soggettiva.

La ragione «oggettiva» (ma con le debite virgolette) è che un luogo non è un insieme inerte di oggetti, naturali e artificiali - case, campi, persone, alberi, ecc. -, ossia la cartesiana res extensa; e non lo è neanche nel caso si tratti di un luogo disabitato. Come osserva Platone (e non parlando di Talete, ma per conto proprio: in Leggi, 899 b), non è forse vero che «… tutte le cose non sono piene di dei?».

Ogni luogo ha un'anima, né più né meno che un essere umano; e la sua anima non può essere neutra, ma sempre benefica o malefica, fino ai due opposti casi limite della maledizione e della benedizione. Noi conosciamo tali luoghi, o almeno alcuni di essi, ossia quelli più noti: Lourdes è un luogo benedetto, perché vi sono dei malati che guariscono, delle anime tormentate che vi trovano sollievo; una casa infestata, viceversa, è un luogo maledetto, tanto è vero che vi si rende necessario un rito di purificazione simile all'esorcismo.

La ragione «soggettiva» (sempre tra virgolette e sempre per lo stesso motivo: che i limiti tra l'una e l'altra non sono sempre facili da riconoscere) è che un determinato luogo, interagendo con noi, con la nostra sfera profonda emozionale ed emotiva, genera una risposta di tutto il nostro essere, per cui quel luogo diviene un luogo della nostra geografia interiore, sia che ne siamo consapevoli oppure no.

Non lo vediamo quale esso è, ma quale lo ha filtrato la nostra coscienza; e, da quel momento, le risonanze che desterà in noi, positive o negative che esse siano, avranno poco a che fare con la sua natura originaria e molto con le nostre più segrete aspettative, paure e speranze. Bisogna essere in due per amare o per odiare; e sia che noi amiamo un certo luogo, sia che lo detestiamo (per quello che ci ricorda, per quello che rappresenta), il nostro amore o la nostra avversione verso di esso metteranno a tal punto radici entro di noi, da toglierci radicalmente, e forse per sempre, la facoltà di vederlo e di viverlo in maniera distaccata ed equanime.

Certo, esistono dei differenti gradi in un tale atteggiamento degli esseri umani verso i luoghi che incontrano nella loro vita.

Colui che, già piuttosto avanti sulla via della illuminazione interiore, ha imparato ad essere equanime verso gli oggetti del mondo esterno e verso i suoi stessi pensieri e sentimenti, tenderà ad esserlo, naturalmente, anche verso i luoghi.

Al contrario, colui che si muove in una sfera esistenziale ancora tutta ribollente di passioni disordinate, caratterizzata dall'attaccamento e dalle sue ancelle inseparabili, la paura e il desiderio, si lascerà trascinare da violenti moti dell'animo ad amare e odiare i luoghi, non meno delle persone - e di se stesso.

 

Abbiamo affermato, poc'anzi, che ogni luogo ha un'anima.

Precisiamo ora che, con una tale espressione, non intendiamo dire, semplicemente, che tale anima è la risultante delle anime di coloro che vi abitano o vi lavorano o vi si muovono abitualmente; ma che, oltre a tali influssi, esiste un'anima del luogo in quanto tale.

Per gli antichi, la sacralità di un luogo dipendeva dal fatto che esso fosse consacrato a una divinità, magari all'insaputa degli umani: donde l'ira degli dei contro i lordatori di luoghi sacri, benché costoro agissero, forse, più per ignoranza che per deliberata empietà (si confronti, nel Museo Romano di Aquileia, il bassorilievo di Zeus che lancia la folgore contro un cacator, per punirlo di aver profanato un luogo a lui sacro).

Ma, a nostro parere, la sacralità (o la nefandezza) di un luogo deriva essenzialmente dalla sua natura di essere vivente.

La Terra è un essere vivente, e possiede un'anima; i continenti e le isole sono esseri viventi; i fiumi e le montagne sono, anch'essi, creature viventi: e tutti possiedono sensibilità e coscienza; tutti, dunque, possiedono un'anima (cfr. i nostro articoli: Esiste un progetto consapevole per strappare l'anima del mondo; Per gli aborigeni del Sogno, ogni creatura del mondo fa parte di uno stesso organismo; La montagna è un essere vivente dotato di anima e volontà?; I cristalli dell'acqua sono parte di un dialogo che la natura ci invita ad instaurare con lei, tutti consultabili sul sito di Arianna Editrice).

Ed è necessario ricordare che per Origene, uno de più grandi teologi cristiani dei primi secoli (nato ad Alessandria d'Egitto verso il 185 e morto a Tiro verso il 253), il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle sono tutti esseri creati da Dio e dotati di libero arbitrio?

Occorre tener presente questo aspetto, quando si parla del rapporto esistente fra un essere umano e un certo luogo.

 

Riconciliarsi con un luogo, dunque.

Perché sorga in noi una tale esigenza, bisogna che quel determinato luogo ci abbia inferto una ferita; o - il che è lo stesso, agli effetti pratici - che noi gli imputiamo la colpa di avercela inflitta, quantomeno prestandosi a fare da scenario di una pagina triste e dolorosa della nostra vita. E già questo fatto ci conferma nella convinzione che nessun luogo si possa considerare neutro dal punto di vista di coloro che si trovano ad interagire con esso.

Ora, che cosa si fa quando si decide di riconciliarsi con una persona?

Innanzitutto, si rievocano le circostanze per cui ci è sentiti offesi da lei; poi, si cerca di rappresentarsi le sue qualità, le quali senza dubbio esistono, dal momento che, un tempo, avevano esercitato un certo fascino; infine, si mettono da parte l'amarezza, l'orgoglio ferito, il desiderio di vendetta, per assaporare il piacere della rappacificazione.

Ebbene, nei confronti di un luogo, il procedimento è esattamente il medesimo.

Se riteniamo che un determinato luogo ci abbia ferito, ma che noi portiamo almeno una parte della responsabilità di quello che di spiacevole ci è accaduto, dobbiamo chiederci se giungere a una riconciliazione con esso non potrebbe portarci un benessere maggiore di quello - sempre relativo e spesso illusorio - recatoci dal fatto di continuare ad odiarlo.

È noto che l'odio altro non è che una forma di amore capovolto: non si odia ciò che è indifferente, ma ciò che si è amato o che si vorrebbe, segretamente, amare (beninteso, in genere senza avere il coraggio di ammetterlo neanche con se stessi).

Di conseguenza, detestare un certo luogo in maniera virulenta, significa riconoscere il fascino che esso esercita su di noi; fascino che, per quanto perverso e apparentemente inspiegabile, gli conferisce un indubbio potere nei nostri confronti. Se noi smettessimo di odiarlo, esso non potrebbe esercitare più quel potere, né stregarci con quel fascino indecifrabile. Basterebbe questa semplice riflessione per giungere alla logica conclusione che è sempre cosa opportuna riconciliarsi con i luoghi che odiamo e che ci hanno ferito, o che sono stati testimoni delle nostre ferite, antiche e recenti.

Riconciliarsi con un luogo, vuol dire - per le ragioni dette sopra - riconciliarsi con la sua anima; meglio ancora: riconciliare la nostra anima con la sua.

Ora, è vero che ogni luogo ha un'anima; ma non tutte le anime sono uguali. Vi sono dei luoghi che ne hanno in misura maggiore o minore; alcuni che la stanno arricchendo ed ampliando (come quelle vallate alpine rimboschite con amore, delle quali ci parla lo scrittore francese Jean Giono nell'apologo L'uomo che piantava alberi); altri che la stanno perdendo, soffocata dal cemento o dall'incuria degli uomini.

Vi sono perfino dei luoghi che un tempo l'avevano, ma che poi l'hanno persa del tutto, o quasi; così come si dice che esistano, confuse in mezzo a noi, delle creature apparentemente umane, ma, in realtà, aliene e prive di anima.

Fare i conti con l'anima di un luogo, significa fare i conti con la sua essenza più profonda. Le persone spiccatamente sensitive, come gli artisti, possiedono gli organi invisibili per tale operazione: ne fanno fede i giardini di Renoir; le cattedrali di Monet; i pascoli d'alta montagna di Segantini; i cieli stellati, gli alberi e i girasoli di Van Gogh. Vi sono persone che, ad esempio, percepiscono di primo acchito la malvagità dell'anima di un luogo: il reverendo Donald Oman era convinto di questo ed esorcizzava i luoghi malefici (tra i quali il Lago di Loch Ness), proprio come se si fosse trattato di persone.

In ogni caso, i luoghi che ci hanno ferito, e con i quali vorremmo, o dovremmo, riconciliarci, sono il teatro di episodi passati della nostra vita. Non si odiano i luoghi che ci angustiano al presente, perché si sa bene che le circostanze potrebbero mutare in senso a noi favorevole; ma bensì quelli che hanno «registrato» episodi e situazioni infausti della nostra vita.

 

Così, abbiamo stabilito un punto fermo nella nostra indagine: riconciliarsi con determinati luoghi ha a che fare con momenti della nostra vita passata.

Il che non significa che il passato non possa continuare a esercitare tutto il suo peso sul nostri presente, e perfino sul nostro avvenire; ciò ben sanno le persone il cui carattere è contrassegnato da una forte componente di secondarietà o risonanza; quelle che, in parole più semplici, restano a lungo sotto l'influenza delle esperienze e delle emozioni occorse loro in passato.

Un secondo punto fermo potrebbe essere questo: l'avversione viscerale per determinati luoghi non poggia su una base razionale, ma solo su delle ragioni emotive.

La maggioranza delle persone, ad esempio, ripensa con orrore al luogo in cui è stata allestita la camera ardente dei propri cari, mentre pensa con dolcezza e quasi con affetto al luogo in cui sono state collocate le loro spoglie mortali, all'interno di un cimitero.

In entrambi i casi, peraltro, emerge chiaramente la dimensione passata che ci lega emotivamente - in senso negativo, nei casi qui addotti - a certi luoghi ben precisi. Non è dunque, propriamente, il luogo in se stesso che odiamo, ma odiamo l'esperienza che vi abbiamo fatto; o, per essere ancora più precisi, il ricordo di quella tale esperienza.

Un luogo può anche essere estremamente ameno; ma, se ad esso è legato il ricordo di un evento assai doloroso, noi ci sentiremo feriti dal solo fatto della sua esistenza, e tanto più dal fatto di doverci ritornare (o rimanere).

Pertanto, riconciliarci con esso coinvolge direttamente la nostra capacità di riconciliarci con noi stessi, con la parte più profonda delle nostre emozioni, dei nostri ricordi, del modo in cui noi guardiamo a noi stessi e al mondo che ci circonda.

 

Analizzando ulteriormente le cose, non tarderemo ad accorgerci che i luoghi da noi odiati sono essenzialmente di due generi.

Al primo genere appartengono i luoghi in cui abbiamo vissuto delle esperienze fortemente negative. Non sono stati quei luoghi a farci del male, ma per noi è impossibile separarli dal ricordo di quelle esperienze; per cui essi, nella nostra sfera emotiva, costituiscono un tutt'uno con il male morale che vi abbiamo patito.

Al secondo genere appartengono quei luoghi che noi, a torto o a ragione, riteniamo responsabili di un nostro stato di sofferenza, disarmonia, solitudine.

Un esempio tipico di questa seconda categoria potrebbe essere un trasferimento, per ragioni di lavoro, in un'altra città, con conseguente perdita di amicizie, affetti, benessere interiore. Pieni di nostalgia e di rimpianto per ciò che abbiamo lasciato alle nostre spalle, noi non riusciamo a vedere niente di buono nella città o nel paese in cui siamo stati, per così dire, scaraventati; e di tutta la solitudine, l'amarezza e la negatività che caratterizzano la nostra nuova vita, noi attribuiamo la causa al luogo in cui siamo venuti, nostro malgrado, a trovarci.

Per quanto riguarda la riconciliazione con tali luoghi, sia del primo che del secondo genere, il problema fondamentale è di sapere se siamo disposti a sbarazzarci di quella incrostazione di vittimismo e di quel sottile piacere del rancore che hanno preso il posto, nella nostra anima, di uno sguardo limpido e spassionato sul mondo che ci circonda.

Con pochissime, rare eccezioni (quelle dei luoghi realmente malefici, cui abbiamo già accennato), i luoghi del mondo esterno non sono che un riflesso del nostro sguardo interiore; e perciò, in linea di massima, non migliori né peggiori della media degli esseri umani.

Certo, vi sono circostanze storiche che imprimono un pesante condizionamento negativo a determinati luoghi: l'anima di un luogo come Auschwitz o come Hiroshima, ad esempio, rimarrà a lungo un'anima tormentata. E l'anima di un luogo il Bosco Boemo, in California, o - in genere - dove hanno luogo riti satanici, o dove si raccolgono folle abbrutite dalla crudeltà (come il Circo Massimo nell'antica Roma) dovrà essere purificata, in un modo o nell'altro, prima di poter espellere da sé il male che vi si è rappreso.

Si tratta, comunque, di situazioni particolari.

In linea generale, non sono i luoghi che costituiscono una minaccia per noi, ma la nostra mancanza di equanimità verso di essi, che deriva, a sua volta, dalla nostra mancanza, o perdita, di equilibrio interiore. Ed è l'equilibrio che dobbiamo ristabilire; altrimenti, nessun luogo al mondo riuscirà a vederci pacificati con noi stessi, ovunque ci spostiamo.

 

Resta da vedere se, una volta presa la decisione di riconciliarci con un certo luogo, anch'esso voglia farlo con noi.

Se tutti i luoghi hanno un'anima, allora non possiamo pensare che i sentimenti negativi da noi nutriti verso un certo luogo non abbiano prodotto una reazione da parte sua. E ciò vale in misura anche maggiore per un luogo abitato, le cui persone non avranno mancato di cogliere la negatività dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti verso di esse.

Gli atteggiamenti mentali e le emozioni che proviamo emettono delle vibrazioni energetiche, di segno positivo o negativo, che trovano risonanza nell'ambiente esterno. Vi sono luoghi nei quali, appena giunti, percepiamo un'atmosfera benefica o malefica; ebbene, essa è, almeno in parte, la «risposta» alle vibrazioni emesse da coloro che vi si trovano.

L'angoscia, il terrore e la disperazione degli animali condotti al macello impregnano quei luoghi, caricandoli di energie negative.

Ma, se le energie negative partono intenzionalmente da noi per dirigersi contro un certo luogo, anch'esso «risponderà» a noi in modo negativo. Questa è la grande legge del dare e del ricevere, alla quale nulla si può sottrarre.

Volersi riconciliare con un luogo, quindi, richiede la stessa delicatezza e la stessa umiltà con le quali cerchiamo l'approccio per riconciliarci con un essere umano: si tratta, infatti, di riparare a un atteggiamento negativo da parte nostra, che non può essere istantaneamente annullato, ma che deve essere espiato con un'azione mentale intenzionale.

 

Vorremmo concludere queste brevi e sommarie riflessioni, cui tante altre cose sarebbero da aggiungere, con un'ultima osservazione.

L'amore rende più belli gli esseri umani: colui che ama si trasfigura, colui che è amato si fa radioso: entrambi vengono ingentiliti da una misteriosa forza benefica, che rimpicciolisce i loro difetti fisici e mette pienamente in risalto la loro gioia e la loro esultanza.

La stessa cosa vale per i luoghi.

Il giardiniere e il floricoltore lo sanno bene: amare un luogo (o un gruppo di piante), prodigandogli non solo tecniche di coltivazione appropriate, ma anche benevolenza, significa vederlo diventare sempre più bello e rigoglioso.

Un cortile sporco, trascurato, è brutto perché nessuno lo ama. Ma basta un cespuglio fiorito, un alberello su cui i passeri facciano il nido, per trasfigurarlo e donargli una sua grazia discreta.

Allo stesso modo, un luogo che sia oggetto del nostro rancore tenderà a restituirci i sentimenti negativi con i quali lo investiamo: a noi apparirà sempre più brutto, ma anche noi stessi - nel medesimo tempo - tenderemo a imbruttirci, probabilmente senza accorgercene. Perché, se amare ed essere amati rende più belli, odiare ed essere odiati rende, inevitabilmente, più brutti.

La Terra è un luogo meraviglioso, e tutti i luoghi naturali hanno una loro bellezza: foss'anche nella landa più arida e desertica o nella più gelida solitudine glaciale.

La stessa cosa non si può certo dire dei luoghi artificiali, o parzialmente antropizzati, in cui criteri esclusivamente funzionali e produttivi hanno trascurato e calpestato ogni esigenza di armonia e benessere interiore. E tuttavia, anche in essi, è raro che non vi sia almeno un elemento di gentilezza, tale da poterli rendere belli: come lo stento alberello nel grigio cortile, ove però risuona fresco e  vivace il canto di un uccellino.

Riconciliarsi con i luoghi, anche se legati al ricordo di esperienze dolorose, significa, pertanto, contribuire al circuito virtuoso dell'amore, che collega il più piccolo filo d'erba alla più lontana delle galassie, in una meravigliosa sinfonia di pace, gioia e splendore.