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L'invasione della Cecoslovacchia

di Manuel Zanarini - 29/08/2008

 

 

 

“Martedì 20 Agosto fu un tipico giorno estivo, caldo, con un sole velato. Praga era piena di turisti, intere famiglie passeggiavano o sedevano nei parchi. La città, anzi l'intero paese era tranquillo...era inconcepibile pensare che nel giro di poche ore i carri armati sovietici ci avrebbero assalito” (Alexander Dubcek)

 

 

 

Il 20 Agosto 1968, l'Armata Rossa invade la Cecoslovacchia, ponendo fine alla “Primavera di Praga”.

 

Subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, alla Cecoslovacchia viene imposta la dittatura comunista. Ma fin dagli inizi degli anni '60, all'interno della nazione, si moltiplicano i segnali di malcontento verso il regime marionetta sostenuto da Mosca. Portavoce di tal malcontento era l'ala riformista del Partito Comunista Cecoslovacco (PCC), capeggiata da Alexander Dubcek, il quale propugnava l'avvento del “Socialismo dal volto umano”. L'idea era quella di mantenere il sistema economico collettivistico, ma affiancandogli maggiore libertà politica (quindi accettando il pluralismo partitico), di stampa e di espressione. Così nel 1968 il nuovo governo cecoslovacco dava il via ad una serie di riforme libertarie, accolte con entusiasmo da tutto il popolo.

 

Ciò gettò nel panico Mosca ed il suo regime imperialista. Infatti, la politica sovietica, da Stalin in poi, era diretta all'insegna dell'egemonia sull'intera Europa Orientale, basata sul sostegno a regimi dittatoriali e sanguinari. Il riformismo cecoslovacco poteva essere d'esempio ad altri popoli che mal digerivano la perdita della libertà: dai polacchi agli ungheresi, dai rumeni agli albanesi.

 

La stagione riformatrice cominciò il 5 Gennaio 1968 e venne interrotta nel sangue la notte tra il 20 ed il 21 Agosto dello stesso anno. Quella sera si tenne la riunione della direzione del PCC, guidata da Dubcek, per rafforzare le conquiste della “Primavera di Praga” e preparare il “Programma d'Azione”, volto ad aumentare le riforme. Ma poco prima della mezzanotte, il Primo Ministro Cernik la interrompe una volta che venne avvisato dell'inizio dell'invasione sovietica. Cosa che prese il Paese completamente alla sprovvista, visto che Dubcek era convinto che Mosca avrebbe rispettato la libertà del suo popolo. Egli stesso affermò che “le esperienze drastiche dei giorni e dei mesi che seguirono mi fecero capire che avevo a che fare con dei gangsters”. Le forze messe in campo da Beznev, leader dell'URSS, e dai suoi stati satelliti, erano composte da un numero tra i 200.000 e i 600.000 soldati di terra e tra i 5.000 e i 7.000 veicoli corazzati. L'esercito cecoslovacco era stato preventivamente inviato, dalla elite del Patto di Varsavia, al confine con la Germania Ovest, così da non essere presente sulla frontiera orientale e  prevenire un, peraltro improbabile, intervento delle forze occidentali.

 

A questo punto la dirigenza del PCC si riunisce clandestinamente in una fabbrica e approva, inutilmente, il programma riformatore. Sul campo scatta la resistenza popolare, prevalentemente ad opera di studenti ed operai. Ma ovviamente, le forze popolari praghesi non poterono in alcun modo opporsi al forte invasore comunista, così in pochi giorni, e dopo migliaia di morti, la resistenza è vinta. I leaders riformisti, tra i quali Dubcek, vengono sequestrati e trascinati a Mosca, per permettere alla dirigenza moscovita di instaurare un regime più fedele. L'occupazione della Cecoslovacchia fu feroce e duratura. Nonostante questo, la popolazione cecoslovacca continuò nella lotta per la libertà.  Il caso più clamoroso si verificò il 19 Gennaio 1969, giorno in cui un gruppo di studenti decise di darsi fuoco in segno di protesta verso l'invasore comunista e la totale indifferenza con cui l'Occidente era stato a guardare i giovani massacrati dai carri armati dell'Armata Rossa prima e la dignità della Cecoslovacchia schiacciata dall'imperialismo comunista. L'ordine con cui darsi fuoco fu lasciato al caso, il primo  fu Jan Palack, uno studente di filosofia 21enne, che lasciò scritto: “Io ho avuto l'onore di essere estratto a sorte per primo, di cominciare ad essere la prima torcia”. Ovviamente, questo estremo gesto non impietosì Mosca e non smosse l'Europa Occidentale.

 

Nel 1969, Dubcek fu espulso dal PCC e si trasferisce in Slovacchia dove lavorò come manovale in un'azienda forestale. Dopo la caduta del regime comunista, a seguito della “rivoluzione di velluto” del 1989, viene eletto Presidente del Parlamento federale cecoslovacco, battendosi contro la divisione in due del Paese e  rifiutandosi di firmare la legge che prevedeva l'epurazione indiscriminata per tutti i membri dell'ex PCC, per timore di vendette personali. Morirà poco dopo a causa di un sospetto incidente stradale.

 

La crudeltà dell'invasione cecoslovacca segnerà l'inizio di un periodo di ripensamento all'interno dei partiti comunisti occidentali, nei confronti di Mosca. Ciò nonostante molti di essi, tra i quali quello italiano, continueranno a giovarsi dei fondi segreti del KGB, come candidamente ammesso da Cossutta. Inoltre, pur trovandosi in pieno '68, le masse di contestatori non mossero un dito per sostenere gli studenti praghesi, anzi quel vergognoso episodio fu eliminato dal dibattito “rivoluzionario” dell'epoca. La cosa più grave è che quel silenzio dura fino ai giorni nostri, visto che oggi che cade l'anniversario della fine della “Primavera di Praga”, non si notano discorsi o manifestazioni di commemorazione. Non sarebbe ora di finirla con la storia scritta a senso unico e che, di contro, cominciasse un periodo di costruzione di una memoria storica europea veramente condivisa?