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In Kenya si lavora per il consumo locale

di John Kariuki - 29/08/2008



Mentre l’ambizioso piano dell’Onu si propone di dimezzare entro il 2015 il numero delle persone nel mondo che soffrono a causa della fame, è emerso un nuovo, imprevisto problema riguardante i prezzi e la scarsità di cibo
Nel 2007 un declino senza precedenti nell’approvvigionamento dei generi alimentari ha visto ridurre le riserve mondiali di cereali e aumentare parallelamente i prezzi dei generi alimentari, saliti del 40%.
In Africa la grave scarsità di cibo e l’inflazione stanno causando tumulti e proteste senza precedenti che hanno già prodotto molte agitazioni e sofferenze.
Le risoluzioni adottate, unite a una amministrazione mediocre hanno causato la distruzione e il deterioramento dell’ambiente, della biodiversità e dei terreni agricoli, mentre l’influenza coloniale ha minato notevolmente l’orgoglio e le tradizioni di molte culture indigene.
In gran parte dell’Africa, l’eterogeneità delle produzioni alimentari ha tradizionalmente fornito una garanzia contro l’imprevedibilità delle circostanze e degli eventi naturali. I produttori hanno integrato la coltivazione di raccolti misti e l’allevamento di bestiame, e questa è la ragione per cui la cucina si basa proprio su questa vasta gamma di prodotti freschi. Tuttavia, la spinta impressa dalla modernità ha fatto sì che si riducesse la base delle risorse, portando a un minor numero di raccolti, in grado di soddisfare diete limitate. Le Nazioni stanno cercando di fare tutto il possibile per reperire cibo e scongiurare in questo momento una carestia. Tuttavia, l’aiuto e le politiche commerciali internazionali spesso aprono la strada a poteri esterni in grado di influenzare il futuro agricolo di questi Paesi, come nel caso dell’introduzione di colture geneticamente modificate. Gli aiuti internazionali destinati a Paesi che non hanno possibilità di scelta riguardo al tipo e alla quantità degli aiuti alimentari, genera distorsioni nei loro mercati, danneggia i mezzi di sostentamento dei contadini e l’economia locale. I piccoli agricoltori devono fronteggiare l’aumento dei costi e la concorrenza proveniente dal cibo “a buon mercato” prodotto da agricoltori iper-sovvenzionati dei Paesi sviluppati: non potendo competere con loro, ai piccoli contadini non resta che rivolgersi alla coltivazione di raccolti destinati alle compagnie produttrici di biofuel o ad altre multinazionali.
Per molti, i biofuel rappresentano un nuovo tentativo di diffondere in Africa un modello agro-industriale che aumenterà il disboscamento e la perdita di biodiversità e sottrarrà ancora più terra produttiva e acqua ai piccoli agricoltori, devastando così la sovranità alimentare locale. I biofuel potrebbero fornire delle opportunità, ma bisognerebbe dare la priorità ai possibili programmi agricoli incentrati su produzione e consumo locale. Al contrario, tutte le discussioni sui biofuel sono invece focalizzate sulle produzioni destinate all’esportazione.
Varie organizzazioni stanno collaborando con Slow Food per promuovere l’agricoltura sostenibile e le tradizioni alimentari locali in Africa. I convivium Slow Food stanno lavorando a stretto contatto con le comunità del cibo di Terra Madre, con una varietà di gruppi di comunità rurali e organizzazioni agricole sostenibili regionali per potenziare le capacità produttive delle comunità. Queste partnership lavorano per reintrodurre gli alimenti locali, per sviluppare i rapporti tra i produttori agricoli e gli chef e per dar vita a programmi educativi come gli orti scolastici, dove gli studenti imparano attraverso la partecipazione attiva.
È collaborando in questo modo che possiamo sperare di difendere sistemi agricoli adatti alla regione, alla salute e alla sicurezza delle comunità locali, sistemi che salvaguardano la biodiversità e che sono in grado di proteggere le risorse idriche e la fertilità dei terreni.
La mia speranza è di continuare a rinforzare questi progetti e la collaborazione per sviluppare in Africa un sistema agricolo democratico e per attenuare gli effetti della crisi alimentare globale sulle vite e sulle colture del continente.

John Kariuki è Studente dell’Università di Scienze Gastronomiche e Vicepresidente internazionale di Slow Food.