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Alitalia. Qualche riflessione

di Carlo Gambescia - 01/09/2008

 
 
Vogliamo parlare seriamente di Alitalia?
Bene, prima domanda: che cosa si voleva e si vuole fare nei riguardi della “compagnia di bandiera”.
Prodi voleva svendere ai privati stranieri (Air France), Berlusconi sta svendendo ai privati italiani (Colaninno e “cordata tricolore”). Dov’ è la differenza? E quel che è peggio nessuno si è mai interrogato sulla possibilità di mantenere pubblica Alitalia. Mai contraddire i professori neo-liberisti…
Di qui la seconda domanda: dove sta scritto che privatizzare è “bello”? Entriamo subito nei dettagli.
In primo luogo privatizzare, e a prezzi di vendita estremamente bassi (perché altrimenti le imprese pubbliche non le rileva nessun privato: le privatizzazioni funzionano universalmente così...), e per giunta in un settore strategicamente delicato come il trasporto aereo, significa fare un regalo ai privati, prescindendo dalla nazionalità di appartenenza.
Infatti, per quel che riguardava gli acquirenti privati di Alitalia c’erano tre possibili vie, tutte rovinose per la comunità: 1) i soliti noti italiani, indebitati fino al collo, avidi di profitti a breve, e prigionieri delle banche, le vere artefici di qualsiasi operazione. Come purtroppo sta avvenendo; 2) le piccole e medie imprese (anche consorziate), capaci di raggranellare i fondi necessari per acquisire Alitalia, rivolgendosi alle stesse banche di cui sopra. Senza poi però avere liquidi a sufficienza per gestirla: il che, di regola, rischia di risolversi con la cessione del bene privatizzato a terzi, e a prezzi stracciatissimi; 3) i grandi gruppi stranieri, in grado solo di acquistare, scorporare, rivendere a pezzi e filare via. Cosa che avrebbero fatto i francesi, e che, scommettiamo, farà, a sua volta, fra cinque anni, la cordata italiana, una volta venuto meno l’obbligo quinquennale di non rivendere ad altri. Pertanto nessun vantaggio per consumatori e dipendenti.
Ma c’è dell’altro. Una privatizzazione, in termini di allocazione efficiente delle risorse investite e di effetti di ricaduta sui consumatori, va a regime dopo almeno tre-cinque anni (insomma, tre-cinque bilanci di assestamento). Il mordi e fuggi di privati indebitati fino al collo o quasi, non produce utili per nessuno. O, probabilmente, ne produce solo per le banche da cui dipendono le imprese indebitate... Ma anche qui fino a un certo punto, vista la crisi creditizia internazionale in atto.
In secondo luogo, i servizi privatizzati, come è risaputo, vengono gestiti in outsourcing (a prescindere dalle dimensioni e dalla nazionalità dell’impresa privata subentrata a quella pubblica). Appena subentra il privato sono subito imposte tutte quelle forme di lavoro flessibile collegate, in qualche modo, all'esercizio dei servizio acquisito: lavori di pulizia, trasporto, manutenzione, sicurezza, elaborazione dati, ricezione chiamate telefoniche utenti. Il che significa - cosa del resto nota agli addetti ai lavori - che le privatizzazioni favoriscono la crescita del lavoro flessibile. E dunque anche del lavoro precario, già facilitato in Italia da una legislazione gradita, guarda caso, sia al centrosinistra che al centrodestra.
Perciò per dipendenti e consumatori le cose non possono non peggiorare qualora si rinneghi, come sta avvenendo in Italia, l’idea della proprietà pubblica della “compagnia aerea di bandiera”. E magari solo per fare una impossibile e pericolosa concorrenza (per passeggeri ed equipaggi) alle compagnie private low cost. Invece di puntare sulla autorevolezza, qualità e sicurezza del servizio pubblico. Certo, valorizzando opportunamente tra il personale una necessaria etica del dovere, come specificità di una compagnia aerea nazionale.
Per dirla fuori dai denti: il vero punto della questione non è l’italianità o meno della cordata, ma la forma giuridico-societaria di Alitalia. Che doveva restare pubblica, come nei suoi anni migliori: i costi si possono sempre razionalizzare, basta avere "nerbo organizzativo"… L’ attitudine al comando non è una prerogativa del solo manager privato. Come del resto la capacità di visione strategica: si pensi a "imprenditori pubblici" come Enrico Mattei. Il che implica che Alitalia, a far tempo dagli anni Novanta dell’altro secolo, ha pagato per errori gestionali dovuti a cattive scelte “politiche” nella designazione dei suoi amministratori delegati.
Non amiamo la dietrologia, ma probabilmente dietro le scelte sbagliate vi era la volontà politica di affossare Alitalia per svendere ai privati e così compiacere la retorica dei professori neo-liberisti, favorendo in realtà gli “affarucci” o “affaracci” dei soliti noti dell’economia italiana. E, attenzione, la “voglia” di spartirsi (privatamente) i beni pubblici risale sempre agli anni Novanta, allorché in un clima da Otto Settembre dell’economia mista italiana, partirono le prime privatizzazioni a cavallo - quando si dice le coincidenze - degli eventi di Tangentopoli.
E, guarda caso, nel 2006, proprio come la classica ciliegina sulla torta, Prodi, uscito indenne dalle inchieste dei giudici milanesi, deciderà di mettere Alitalia sul mercato. E in questo senso Berlusconi, che invece è tuttora sotto tiro, si sta comportando come degno erede del professore emiliano. Evidentemente ha imparato ( o sta imparando) la lezione…
Comunque sia, per Prodi e Berlusconi volare privato “è bello” e svendere ai privati (con coccardina tricolore o meno), demonizzando il sindacato, ancor più bello… E ciò che più delude è che anche l’ ”antimercatista” Tremonti sia d’accordo…
Ne riparleremo di qui a cinque anni. O forse anche prima.