La nostra è la società dei consumi, tutto è fatto per essere consumato in fretta e gettato altrettanto rapidamente. Il modo disordinato e precipitoso con cui ci nutriamo rispecchia pienamente questo stile di vita: nessuno si prende più il tempo di porsi delle domande, di fronte ad uno scaffale del supermercato o ad un piatto già preparato. Come se le nostre azioni quotidiane non influissero sui meccanismi del mercato, non avessero ripercussioni sulla nostra salute, non rappresentassero una parte importante della nostra cultura.
Da queste considerazioni nasce il progetto “Orto in condotta”, promosso dal Comune di San Miniato (PI), insieme a Slow Food, l’organizzazione internazionale di Carlin Petrini. Oggi ci spostiamo dunque in Toscana, per una nuova tappa del nostro “Viaggio nell’Italia dei Comuni a 5 stelle”.
Il Comune, che ha partecipato alla seconda edizione del Premio nella categoria “Nuovi stili di vita”, ha intuito l’importanza di investire nei giovani, partendo dai bambini delle scuole elementari, per cercare di contrastare un modello di sviluppo ormai insostenibile ed iniziare, finalmente, ad invertire la rotta. Partendo dal cibo.
Slow Food si è schierata da tempo dalla parte del mangiar bene, del recupero dei vecchi saperi e dei piatti tradizionali. Oggi però ritiene che si debba fare un passo ulteriore, che coinvolga i grandi, ma soprattutto i piccoli che hanno ancora un mondo da scoprire: cambiare le nostre abitudini alimentari quotidiane cercando di avvicinarle ai concetti del buono, pulito e giusto.
Cosa significano questi principi e in quale modo i bambini possono attuarli? I bambini devono essere considerati nel loro ruolo di piccoli consumatori, o, come preferiremmo chiamarli, di piccoli coproduttori, le cui scelte dipendono non solo dall’esempio fornito loro dai “grandi”, ma, ahimè, anche dalla pubblicità e dalle influenze di amici e conoscenti. Avvicinarli alla terra facendo loro coltivare dei frutti e delle verdure più o meno conosciuti è un modo per educarli alla varietà, alla stagionalità, ai metodi di coltivazione biologici e biodinamici, al rispetto della natura e di tutte le creature viventi, ad incuriosirsi per ciò che è diverso e ad assaggiare ciò che loro stessi coltivano.
Il Comune e Slow Food hanno intuito che l’orto può diventare uno strumento straordinario per trasformare il piccolo consumatore in un coproduttore, cioè un cittadino consapevole che le sue scelte d’acquisto hanno delle ripercussioni sul mondo che lo circonda, in primo luogo tra gli agricoltori e gli allevatori.
Gli stimoli dati ai bambini con il progetto “Orto in Condotta” vanno nella direzione del buono, del pulito e del giusto, perché viene trasmesso loro l’idea che ciò che è coltivato in maniera non intensiva, che è raccolto al momento giusto e non fa centinaia di chilometri per arrivare a destinazione, non può che essere organoletticamente più buono ed ecologicamente più sostenibile. Il concetto di responsabilità verso l’ambiente e verso il prossimo viene trasmesso attraverso il lavoro di gruppo nell’orto e la cura che ogni bambino deve avere della propria piantina.
Ci piace pensare che degli stimoli educativi di questo tipo possano insegnare qualcosa ai bambini, ma anche alla comunità a cui questi bambini appartengono. Il coinvolgimento più o meno diretto dei genitori, il contatto con i nonni ortolani che aiutano maestre e bambini nell’orto, l’interazione con alcuni operatori del settore agroalimentare aprono la realtà dell’Orto in Condotta a scambi con l’esterno, con la comunità che deve imparare insieme ai bambini a consumare in modo più consapevole a partire dalle mense scolastiche.
Dopo un percorso formativo rivolto agli insegnanti ed una serie di incontri con i genitori per metterli a conoscenza del progetto, Slow Food ha individuato tra i residenti alcune figure di “nonni ortolani”, che hanno adottato gli orti prendendosene cura insieme agli alunni delle scuole coinvolte.
Alla fine dell’anno scolastico una festa suggella il lavoro svolto, per un progetto pensato su tre annualità e che Slow Food vorrebbe estendere al maggior numero di scuole possibili, in Italia e all’estero. Una buona prassi da esportazione!